Carlo Dore jr.
“Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare: così solita e banale come tante. Che non merita nemmeno due colonne su un giornale, o una musica, o parole un po’ rimate: che non merita nemmeno l’attenzione della gente, tante cose più importanti hanno da fare…”.
Le parole di Francesco Guccini, provenienti dal lontano 1976, introducono il racconto di questa ennesima piccola storia ignobile dell’Italietta berlusconiana, solita e banale come tutte le altre vicende a cui siamo stati costretti ad assistere in questi anni, ora manifestando sconcerto, ora rassegnazione, ora speranza, ora un disperato desiderio di reazione.
E’ la storia di una lista presentata, ritirata, e poi ripresentata fuori tempo massimo, quando l’ufficio elettorale aveva già chiuso i battenti. E’ la storia di una candidata sull’orlo di una crisi di nervi che apostrofa con un inequivocabile “manica di imbecilli” gli autori del colossale papocchione; di firme non riscontrate e di timbri non visibili; di una piazza gremita di neo-fascisti urlanti che scandiscono ossessivamente lo slogan “boia chi molla!” sotto la pioggia gelida da cui sono sferzati i tetti di Roma.
L’epilogo di questa storia dovrebbe essere scontato: ci si aspetta che le liste irregolari risultino escluse dalla competizione elettorale; che il leader del partito estromesso dalle elezioni pretenda la testa dei dirigenti dimostratisi incapaci di assolvere al loro compito se non con efficienza, quantomeno con dignità; che i responsabili dell’autogol vengano identificati ed esposti alla reazione degli elettori inferociti.
Tuttavia, questo lineare percorso logico collide con la strana realtà di fatto che al momento caratterizza un Paese alla deriva: le liste indubbiate non sono liste qualsiasi, sono le liste del Partito del Capo, di un partito che da anni declina una concezione della politica in forza della quale la cultura delle regole, il rispetto degli equilibri tra le Istituzioni, l’autonomia dei garanti sono costantemente sopraffatte dal risuonare della voce del Princeps, sempre amplificata dall’immancabile coro a bocca chiusa condotto da giornalisti asserviti, solerti scherani, intellettuali fasulli, sottoposti più o meno ambiziosi. Le regole si cambiano, la Costituzione si aggira, le garanzie si sabotano, le Istituzioni si attaccano: conta solo la voce del Princeps, conta solo ciò che lui impone o vieta.
E così, al termine dell’ultima delle tante notti dai lunghi coltelli che hanno scandito l’evoluzione della Seconda Repubblica, ecco che il Princeps promette e minaccia, programma e smentisce, e alla fine vede e provvede: arriva il decreto che sana le irregolarità, che cancella i ritardi e le omissioni, che consente a dirigenti e candidati di tirare il classico sospiro di sollievo, che restituisce il fiato ai neofascisti congelati dall’incessante pioggia romana. Il tutto, come da copione, in ragione della suprema necessità di tutelare il supremo diritto (invero, mai messo in discussione) dei cittadini di esprimere correttamente il loro voto.
Ora, mentre quest’ultima piccola storia ignobile trova rapidamente il suo epilogo, mentre il popolo viola invade le piazze e mentre l’opposizione si prepara all’ennesima battaglia democratica, non è forse più il caso di evidenziare ancora una volta i molteplici profili di illegittimità che contraddistinguono un provvedimento volto semplicemente a realizzare l’ennesimo abuso di potere. Per quanti individuano nella Costituzione il substrato fondamentale del proprio pensiero politico, rimane spazio solo per un ultimo, disperato grido di indignazione: di quella indignazione sottile e fastidiosamente abituale accumulata in occasione della vicenda di Eluana Englaro e dell’approvazione del Lodo Alfano, dello scandalo della Protezione Civile e della Vallettopoli del potere.
E’ l’indignazione di chi fatica a riconoscersi in un Paese ormai privato dei tradizionali punti di riferimento che governano la normale convivenza democratica – volendo riproporre le parole di Gustavo Zagrebelsky
2 commenti
1 Giulio C.
8 Marzo 2010 - 22:25
D’accordo sul tuo intervento, ti posto una mia considerazione.
Napolitano e la giustificazione della firma.
Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, nella sua lettera giustificativa del decreto interpretativo del Cdm, elenca i motivi che l’hanno portato alla firma: «non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente costituito presso la corte d’appello di Milano», considerando quindi il testo giusto nella sostanza. In più aggiunge che «i tempi si erano a tal punto ristretti - dopo i già intervenuti pronunciamenti delle Corti di appello di Roma e Milano - che quel provvedimento non poteva che essere un decreto legge». Quindi d’accordo con il Governo pure nella forma.
Bersani di fronte all’accadimento così si pronuncia: «il presidente della Repubblica non c’entra niente, non si nascondano dietro al presidente della Repubblica. La Costituzione la conosciamo. Loro sono responsabili di quello che hanno scritto, del trucco vergognoso che hanno introdotto». Mi pare che ci sia in questa tesi una netta contraddizione perchè se è un trucco vergognoso, allora chi lo difende nella sostanza e nella forma, come fa il Presidente della repubblica, ne è compartecipe.
Capisco i motivi politici che portano Bersani al tentativo di difesa del garante della Costituzione, il ruolo merita un rispetto in quanto perno della nostra democrazia, al di là di chi lo interpreta. E certo le urla intorno al golpe, al regime, al paragone vittorio emanuele III non aiutano. Perchè non aiutano nell’interpretazione e nella chiarificazione di ciò che è successo. Sono slogan, dureranno solo una campagna elettorale.
Mentre è evidente a tutti che si tratta di un “atto di arroganza che non ha precedenti e interviene per cambiare le regole del gioco”, e che è ”un insulto a tutti i cittadini italiani”come sostiene D’Alema, e che ”crea una ferita difficile da sanare nei rapporti politici”, solo per salvare la tenuta di una coalizione pasticciona e pericolante.
Il problema è che questo decreto-truffa viene completamente giustificato dal Presidente della Repubblica.
Ha sicuramente ragione D’alema a sostenere che “non siamo in una Repubblica presidenziale e al presidente della Repubblica spetta un vaglio formale” ma non spetta al presidente Napolitano neanche di far sue le motivazioni della maggioranza, se non le condivide. Cioè quello che differenzia l’ultima firma dalle precedenti. Effettivamente non vedo come non avrebbe potuto firmarlo, ma non riesco a comprendere la lettera presente nel sito della PdR, in cui tra l’altro vengono parificate le “colpe” di maggioranza e opposizione: “sappiamo quanto risultino difficili accordi tra governo, maggioranza e opposizioni anche in casi particolarmente delicati come questo e ancor più in clima elettorale: difficili per tendenze all’autosufficienza e scelte unilaterali da una parte, e per diffidenze di fondo e indisponibilità dall’altra parte”. Lo ritengo un netto stravolgimento della realtà.
E che causa soprattutto negli elettori di centrosinistra una sorta di amaro in bocca, che difficilmente scorderemo. Che rende molto difficile la posizione dell’intero pd.
2 Carlo Dore jr.
9 Marzo 2010 - 00:20
Caro Giulio,
in primo luogo, grazie per il tuo intervento, che nella sostanza condivido.
Mi permetto, a tal proposito, di aggiungere un paio di considerazioni sparse.
1) La posizione del PD in generale e di Bersani in particolare è, almeno dal mio punto di vista, ragionevole e condivisibile. In un momento come questo, il tentativo (forse persino inconsapevole) di fare ricadere sul Capo dello Stato le responsabilità di un provvedimento di provenienza esclusivamente governativa appare infatti perfettamente funzionale alla strategia del Cavaliere, che da sempre risulta affetto da una palese idiosincrasia per le Istituzioni di garanzia e che sarebbe felicissimo di mettere in discussione un Capo dello Stato con il quale (dai tempi della vicenda di Eluana Englaro) dimostra (per usare un eufemismo) di non avere grande feeling.
2) Il dl salva-liste non è il Lodo Alfano: non si tratta di un provvedimento la cui incostituzionalità risulta così palese da poter essere rilevata anche dall’ultimo dei non addetti ai lavori. Si tratta di un provvedimento che giunge al termine di uno scontro istituzionale durissimo, che evidentemente il Colle ha cercato di non far degenerare.
3) La storia politica di Napolitano è ben nota: non è mai stato un barricadiero come Ingrao o Pajetta, o un partigiano come Pertini o un combattente come Berlinguer. E’ un uomo portato al dialogo e alla mediazione più che allo scontro frontale: forse un Presidente della Repubblica con un profilo diverso avrebbe tenuto duro e rifiutato di promulgare un dl sul quale comunque permangono molte ombre, anche oggi lo stesso Scalfaro ha qualificato la promulgazione alla stregua di una sorta di atto dovuto.
4) L’esigenza di evitare lo scontro istituzionale a cui ho fatto prima cenno e la complessità del provvedimento (parliamo di un decreto interpretativo e non innovativo: dunque, almeno formalmente, non genera l’introduzione nell’ordinamento di una nuova norma potenzialmente incostituzionale, ma si limita ad interpretare - in base a quella che è una prerogativa del legislatore - una norma già esistente) erano ragioni sufficienti per giustificare la promulgazione: non occorrevano spiegazioni o chiarimenti ulteriori. Avrei considerato (come in effetti considero) la firma del Capo dello Stato un atto discutibile, ma non scandaloso. La lettera apparsa sul sito del Quirinale ha invece lasciato perplesso anche me: in primo luogo, perchè può essere interpretata come la classica excusatio non petita, potenzialmente indicativa di un atteggiamento di fondo quantomeno incerto. In secondo luogo, in quanto vuole dare una giustificazione politica ed etica ad un provvedimento politicamente ed eticamente (oltre che giuridicamente) non giustificabile: non si può tenere fuori il PDL dalla competizione elettorale, anche se il PDL ha commesso delle irregolarità nella formazione delle liste? Ma allora, il candidato più autorevole che intende partecipare ad un concorso pubblico deve essere ammesso anche se la sua domanda o i suoi titoli non sono regolari; e la squadra più forte che partecipa ad un campionato non può subire nè squalifiche nè penalizzazioni, anche se i suoi giocatori tengono comportamenti non regolamentari o se i suoi dirigenti tentano di truccare le partite…
Tutti questi rilievi in ogni caso non mutano la mia affermazione di partenza: il 13 sarò anch’io in piazza con il PD, ma solo e soltanto contro il Governo dei privilegi e delle leggi ad personam, dei condoni e delle cricche, e non contro Napolitano. Il nostro atteggiamento (voglio dire, il mio e il tuo) sarà sempre ispirato ad un parametro di correttezza incancellabile: le Istituzioni di garanzia come il Capo dello Stato e la Consulta possono criticate nel merito del loro operato, ma devono sempre essere rispettate per la funzione che svolgono.
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