Dematerializzazione nella PA: una favola a rovescio

13 Febbraio 2010
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Carlo Mochi Sismondi

La dematerializzazione della Pubblica Amministrazione è uno degli strumenti fondamentali per realizzare una vera riforma dell’amministrazione in direzione del buon andamento, della trasparenza e dell’imparzialità. Il processo d’informatizzazione va però a rilento e incontra molti ostacoli. Ecco il punto sulla situazione in questo articolo di Carlo Mochi Sismondi per il ForumPA.

C’era una volta un povero lupacchiotto, che portava alla nonna la cena in un fagotto…”
Uno degli zoom tematici che stiamo preparando per FORUM PA 2010 tratterà della “Pubblica Amministrazione senza carta”. Così ho cominciato a ripercorrere la storia infinita della dematerializzazione nella PA e mi è tornata in mente la filastrocca di Gianni Rodari, che proponeva un bouleversement delle favole più note tirandone fuori situazioni esilaranti, ma anche qualche insegnamento. Cominciamo comunque a raccontare la storia per benino.
Il termine “dematerializzazione” identifica la tendenza alla sostituzione della documentazione amministrativa solitamente cartacea in favore del documento informatico. Il costo stimato di gestione annuale, comprendente la trasmissione, la protocollazione, le copie e lo stoccaggio per conservazione dei documenti solo nelle PA centrali è superiore a 3 miliardi di euro.
Come faceva già notare il Libro Bianco del CNIPA nel 2006, gli obiettivi della dematerializzazione sono due, ben distinti tra loro: da una parte si punta ad eliminare i documenti cartacei attualmente esistenti negli archivi, sostituendoli con opportune registrazioni informatiche e scartando la documentazione non soggetta a tutela; dall’altra si adottano criteri per evitare o ridurre grandemente la creazione di nuovi documenti cartacei.
Il lieto fine atteso è ovviamente meno carta, meno alberi abbattuti, meno costi, flussi più veloci e certi.
In una famosa conferenza stampa, che nel 2005 presentava il CAD, si disse che si sarebbe potuto risparmiare un miliardo di euro l’anno solo con l’archiviazione ottica dei documenti (e non mi ricordo più quanti milioni di metri cubi di archivi) e un altro miliardo tra posta elettronica certificata (se ne parlava anche allora come di cosa immediatamente operativa), firma digitale e decertificazione.
Quel che è successo invece lo vediamo: tutto il processo della gestione elettronica dei documenti, dopo le speranze degli anni ’90, si è tradotto nella maggior parte dei casi nell’applicazione del livello minimo del protocollo elettronico, tutta la dematerializzazione, dal lato della produzione dei documenti, rischia di essere confusa con la dematerializzazione della posta (tramite PEC) e la trasformazione in digitale degli archivi cartacei per ora ha visto coraggiosi tentativi solo in alcuni enti (penso alla regione Toscana, alla regione Emilia e Romagna e per certi versi alla Banca d’Italia, alla Guardia di Finanza, ai Carabinieri e pochi altri) e ha trascurato completamente le raccomandazioni della Commissione per la dematerializzazione.
Insomma ci aspettavamo molto e abbiamo stretto poco: ma perché? Per dirla con Mariella Guercio, una delle più attente studiose del “record management” in Europa:
“Un duplice fenomeno ha caratterizzato i processi normativi in questo ambito e ha determinato conseguenze significative tutt’altro che positive in fase applicativa”:
- lo spostamento dell’attenzione e dell’impegno del legislatore dagli investimenti sugli assetti organizzativi a quelli – pur rilevanti e cruciali - di natura tecnologica (la dematerializzazione, la comunicazione telematica, l’interoperabilità dei sistemi);
- la progressiva disattenzione, se non una vera e propria trascuratezza, da parte delle amministrazioni pubbliche (soprattutto centrali) per le iniziative in materia di trasparenza, soprattutto in relazione all’applicazione della legge 241/90.
Proviamo allora a scombinare la favola e ad ammettere per un momento che i protagonisti siano gli stessi, ma la trama diversa: proviamo, ad esempio, a pensare che il fine ultimo non sia la dematerializzazione e quindi i risparmi che ad essa sono connessi, ma che invece sia la trasparenza e l’open government. Che la dematerializzazione, l’archiviazione sostitutiva,la gestione elettronica dei documenti siano solo indispensabili mezzi (i doni magici nella struttura classica della favola), ma non l’obiettivo finale che invece è fornire ai cittadini, con un’amministrazione aperta, con archivi accessibili e strutturati per la trasparenza, con la messa a disposizione dell’enorme patrimonio informativo della PA, nuove “capabilities”. In altre parole il fine è abilitare i cittadini e le imprese a nuovi progetti e a nuove potenzialità, ad una più efficace partecipazione democratica.
In questo nuovo schema l’informatizzazione non è mai fine a se stessa, ma è al servizio della trasparenza. Compito minore? Certamente no, anzi, ma compito da svolgere in stretta connessione con investimenti in innovazione organizzativa e normativa.
Per le amministrazioni diventa un impegno politico primario, sancito per altro come principio pure dalla recente “riforma Brunetta”, per le aziende di tecnologie avanzate diventa un eccezionale campo di impegno, molto maggiore che non la sola gestione documentale, che potrebbe diventare domani una nuova importante frontiera per dare un’organica strategia al processo di informatizzazione della PA.

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