Craxi: più che riabilitazioni occorre rigore storico

18 Gennaio 2010
4 Commenti


Andrea Pubusa

Che ieri mattina alla commemorazione di Bettino Craxi, a dieci anni dalla morte, sulla tomba nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet, siano arrivati i fedelissimi di un tempo, Gianni De Michelis e Rino Formica e centinaia di militanti e nostalgici, è naturale. In fondo Bettino è stato leader del PSI e capo del governo italiano. E’ stato uno dei protagonisti della storia d’Italia per almeno un decennio. E’ anche naturale che una commemorazione di un personaggio politico di questo calibro non avvenga in silenzio. Possono mancare gli interventi dei familiari e degli esponenti politici, ma sono del tutto scontate le esagerazioni. E così è naturale ma esagerato sentir gridare dalla folla: “Bettino, Bettino, sei il vero socialista”. In realtà, la grandezza del PSI, condivisa del resto con tutti i partiti del Movimento operaio, è quella di aver avuto fra le sue fila fior di galantuomini, persone integerrime, modelli di virtù civiche. Almeno fino ad un certo punto della loro storia, quando erano prevalentemente forze d’opposizione e alternative che organizzavano le masse operaie e l’intellettualità democratica e progressista. Ebbene Bettino tutto fu, fuorché un modello di pubbliche virtù.
E’ poi un sicuro eccesso il grido dell’assessore di Reggio Calabria, Candeloro Imbalsato: “c’é tutta l’Italia in onore di Bettino Craxi, tutta l’Italia”. In realtà, partecipazione italiana ce n’è poca. E qui emerge un primo elemento da considerare nella riflessione sul personaggio. Craxi fu amato dalla cerchia dei fedelissimi, ma non dal popolo italiano. Ne è prova il fatto che abbia dovuto abbandonare il Paese clandestinamente. L’episodio del lancio delle monetine di fronte all’albergo Raphael di Roma non fu un frutto avvelenato della propaganda avversaria, ma rispecchiava gli umori di larga parte degli italiani, stanchi degli eccessi dei craxiani a partire dal governo fino a giungere al più piccolo comune d’Italia. La spegiudicatezza politica e l’ostentato cattivo uso delle funzioni pubbliche, gli scandali continui suscitarono una rabbia diffusa. “Mani pulite” ebbe, seppure per pochi anni, un appoggio popolare convinto e diffuso. Non è un caso che Berlusconi, amico ed erede politico di Craxi, presti molta attenzione al consenso. Sa che senza questo verrebbe travolto nello spazio di pochi mesi.
I fedelissimi di Bettino Craxi e i suoi amici, a partire da Berlusconi e dai suoi fedelissimi, spingono per la riabilitazione del leader socialista. Lo fanno passando sopra più d’una sentenza dei giudici di questa Repubblica, che hanno reso sentenze fondate su prove, non su teoremi. Del resto - ha ragione in questo Di Pietro - Craxi fu reo confesso: “così fan tutti”. Questa fu la linea difensiva. Forse parizialmente valida sul piano politico, ma non certo su quello giudiziario. E poi, anche sul terreno politico, non è vero che tutti i partiti italiani fossero un covo di ladri. Una cosa erano i contributi delle cooperative rosse, altra la richiesta di tangenti per ottenere questa o quella autorizzazione o questo o quell’appalto. Ed anche i contributi USA alla DC o dell’URSS al PCI sono un’altra storia. L’assoluta diversità delle situazioni è ben rispecchiata dagli stili di vita dell’allora segretario del PCI Berlinguer e quella di Craxi. No. Quando Craxi diceva: siamo tutti uguali, non coglieva nel segno. Proprio in casa sua c’era un altro personaggio del tempo a smentirlo, il socialista Pertini, presidente della Repubblica, alto esempio di virtù civiche.
Ma obiettano, stizziti, i fedelissimi d’un tempo, da De Michelis a Cicchito: di Craxi va valutata l’opera politica e qui - dicono - Bettino fu senza dubbio uno statista. Ora, ammesso che machiavellicamente debban valutarsi le gesta e i risultati dell’uomo politico, senza considerare i mezzi. Ma anche questa idea - sia detto per inciso - è frutto di una lettura superficiale dell’opera del Segretario fiorentino, che svaluta i mezzi e le forme quando la politica non sia retta da regole e manchi un ordinamento. Ma in Italia, vivaddio, esiste una costituzione e un ordinamento. E i politici debbono mostrare il loro valore in questo contesto. Ma anche volendo ammettere che lo statista è colui che crea ordinamenti, forzando i vecchi, che orienta e organizza forze verso nuovi orizzonti, non si può dire che la figura di Craxi esca rafforzata. Il problema storico che Craxi aveva di fronte era quello non tanto di battere il compromesso storico, quanto di riunire le forze della sinistra, riunificare PSI e PCI, creando un moderno partito della sinistra. I tempi erano maturi, il PCI era oramai un partito socialista, la vicenda storica che aveva portato alla scissione del 1921 a Livorno, era ormai chiusa. C’era da lavorare molto, ma si poteva fare. Anche nel PCI questa esigenza era diffusa. Craxi, invece, creò una conflittualità a sinistra mai vista. Pensava l’unità col PCI come annessione. Ipotesi assurda e poco utile. L’unificazione avrebbe dovuto esaltare le due trasizioni, entrambe originali: il PSI fu un partito molto particolare nel contesto del movimento socialista internazionale, non meno di quanto lo fu il PCI nel movimento comunista internazionale. Su queste peculiarità bisognava lavorare. Così si batteva l’idea del compromesso storico, non muovendosi col moto: “mors tua, vita mea”. Il risultato è stato tragico. Alla fine del suo percorso Craxi è riuscito a distruggere il suo partito, il PSI, un partito glorioso con 100 anni di storia. Ed anche qui non la si meni con la storiella del complotto dei giudici, d’intesa coi comunisti. In realtà, il fascismo fu ben più distruttivo, ma il PSI, come il PCI, non furono cancellati. Anzi furono protagonisti della Resistenza e della costruzione dell’Italia democratica, un merito storico non cancellabile dai revisinsmi. E perché superono il ventennio nero? Perché interpretavano i sentimenti profondi dei democratici italiani, davano loro risposte, preparavano il futuro. Se Craxi si diede alla latitanza, dopo aver sfasciato il suo partito, la responnsabilità è solo o prevalentemente sua. Gli alibi non servono.
Sul piano istituzionale Craxi ha iniziato la stagione delle picconate alla Costituzione da cui nasce l’attuale depotenziamento della Carta fondamentale. Anche qui, non può dirsi che Craxi lo abbia fatto in direzione di maggiori libertà o di una più profonda socialità, come ci si sarebbe aspettati da un leader socialista. La direzione è quella che poi Berslusconi ha tracciato con più decisione e miglior successo: più liberismo, niente socialismo. E non è un caso che proprio dal seno dei fedelissimi al Cavaliere venga la spinta più forte in favore di Bettino. A loro in fondo non interessa tanto riabilitare Craxi, quanto sancire il trionfo del berlusconismo. E proprio questo dovrebbe mettere in guardia i veri socialisti della dispora: l’opera di Craxi va valutata senza animosità, ma anche con rigore ciritico. E’ poi dirimente il punto di vista, che dovrebbe essere quello socialista, di sinistra, non quello della destra.

4 commenti

  • 1 Bomboi Adriano
    18 Gennaio 2010 - 15:46

    Mi scusi Pubusa ma Berlinguer non qualificava tutto il PCI e viceversa. Pensiamo pure a personaggi come Cossutta. Il rigore storico impone di ricordare che i due più grandi partiti d’Italia (e lo dico da Nazionalista Sardo) hanno preso denaro da potenze straniere, le quali hanno fatto il bello ed il cattivo tempo in un clima che ancora oggi questo Stato si trascina dietro. E’ inoltre altrettanto ovvio che il livello di corruzione (con relativa gestione dei fondi esteri) sia stato commisurato al livello di potere amministrativo gestito (quindi largamente in mano alla DC). Bisogna poi ricordare che il PSI ha governato l’Italia in un momento storico di massificazione dei media, i quali notoriamente hanno fatto lievitare verso l’alto i costi della politica. Questa non vuole essere una giustificazione agli eccessi del Craxismo, ma sicuramente anche dall’altra parte non ci sono stati dei santi…Cordialmente.

  • 2 lorenzo
    18 Gennaio 2010 - 18:46

    Ha ragione Adriano. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Su una questione concordo con Pubusa:
    ” a loro ( i berlusconiani ex socialisti) non interessa tanto riabilitare Craxi, quanto sancire il trionfo del berlusconismo.

  • 3 M. Liscia
    18 Gennaio 2010 - 22:38

    Dissento coi commenti, il rigore dello storico impone di analizzare i fatti senza mettere a paragone il “craxismo” coi coevi partiti al fine di rivalutare lo statista, questo è un revisionismo facile facile. Ed è simile in fondo al rigore che impone alla magistratura di perseguire i reati senza soprassedere se il fatto è pratica comune (finanziamento illecito di partiti).
    Insomma è proprio la teoria del “chi è senza peccato scagli la prima pietra” che porta dritto alla giustificazione del “tanto lo facevano tutti”. Ciò che sorprende (ma forse neanche) è il candore dei giornalisti che con il loro artato terzismo trattano Craxi come il grande statista: neanche si pongono la questione della rivalutazione storica della figura.
    Ieri come oggi, un uomo di governo, che rifugge dall’accertamento giudiziario o non crede nella democraticità del suo Stato oppure ha molte ragioni per averne paura.

  • 4 Bomboi Adriano
    19 Gennaio 2010 - 15:31

    La storia si domanderà come mai la Magistratura non si è fatta venire problemi sulla durata del processo di Craxi (con sentenza da guinnes dei primati) e come mai Occhetto non si è accorto di cosa facevano alcuni suoi fiduciari: Ripeto, a me pare che in Italia ci sia da un lato la tendenza di santificare la sinistra post-PCI e dall’altro di santificare più di quello che è stato il percorso di Craxi. Non c’è equilibrio, da una parte sembra quasi che il denaro al PCI non sia stato un crimine, mentre dall’altra si giustifica appunto Craxi con il “problema di sistema”…E’ evidente che ad un Paese così fortemente ideologizzato 10 anni non sono sufficienti per tirare le somme su quello che è successo. Se ne riparlerà nelle prossime generazioni, magari meno appassionate sulla materia e quindi più obiettive.

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