Andrea Pubusa
Che differenza c’è fra gli immigrati di Rosarno e i lavoratori dell’Alcoa? Molti, direte. I primi sono neri e i secondi bianchi, ed in Italia - si sà - anche questo - a dispetto della Costituzione - purtroppo conta. Per i secondi partono anche le fucilate per i primi no. Poi i secondi sono più pagati dei primi. Hanno un normale salario sindacale, che consente loro una vita dignitosa come dice la Costituzione, anche se non libera, come vuole sempre la nostra Magna Carta. I neri invece lavorano per 20-25 euro tutto il giorno e in nero. 600 euro al mese. Del resto, essere neri qualche svantaggio dovrà pur comportarlo! Vivono in capannoni dismessi, mentre i lavoratori Alcoa hanno casa (magari in affitto), scuola, sanità e previdenza. La differenza insomma è quella che intercorre fra lavoratori e schiavi. I neri di Rosario sono un esempio della schiavitù moderna, perfino peggiore di quella antica. Il padrone infatti aveva interesse a tener bene lo schiavo, che era un bene produttivo e commerciabile. Non lo avrebbe mai preso a fucilate né avrebbe consentito ad altri di farlo. E poi c’era la morale che valeva perfino più delle leggi: imponeva di trattare gli schiavi con umanità.
Ora su Rosarno c’è stata una vasta reazione dell’opinione pubblica democratica, che spontaneamente reagisce indicando il vero nemico dei calabresi non negli immigrati, ma nella N’drangheta. E’ intevenuto perfino il Presidente della Repubblica. A Rosarno si è costituito un Comitato civico, che ha diffuso un comunicato in cui condanna “tutte le forme di violenza contro il popolo degli immigrati e la stessa popolazione rosarnese, prendendo le distanze da qualsiasi atto di aggressione verso persone e cose”. Ed auspica “momenti di integrazione, scambi culturali e affiancamento tra la comunità di Rosarno e quella di colore”. Pure la CGIL è ovviamente al loro fianco. Epifani ha detto parole importanti.
Tutto questo è positivo. Serve ad isolare i razzisti e chi - come lo stesso Ministro Maroni - lo alimentano, con dichiarazioni irresponsabili ed ipocrite che nascondono la realtà di sfruttamento bestiale che stà dietro questa vicenda. E’ positivo reagire, dicevamo. Ma non basta. Bisogna allargare la solidarietò, ma è ancora troppo poco. Che altro occorre, dunque? Occorre considerare i neri di Rosarno e tutti gli altri immigrati come lavoratori senza diritti e organizzarli perché li ottengano. Nè più né meno come i sindacati fanno per gli operai Alcoa e tutti gli altri a rischio licenziamenti. Ecco allora ciò che unisce P. Vesme e Rosarno: c’è una questione di classe, di difesa del lavoro, della dignità e dei diritti dei lavoratori. C’è un problema di lotta anticapitalistica. A Rosarno sono i proprietari terrieri e compagnia bella a sfruttare questi lavoratori ed è tutto il sistema a tollerare questa vergogna. A. P. Vesme è una grande multinazionale e la politica della U.E. a mandare a casa i lavoratori. Alcoa che tratta i lavoratori come cose, irrilevanti nelle sue scelte imprenditoriali. L’UE che, col feticcio della concorrenza, impedisce ogni intervento di sostegno o di riconversione. Concorrenza e profitto valgono più degli uomini e dei diritti. Il profitto innanzi tutto e sopra tutto a P. Vesme come a Rosarno. Ed allora ecco perché lo spirito umanitario o compassionevole nei riguardi degli immigrati sono importanti, ma sono mille miglia lontani da ciò che dobbiamo fare. Ciò che è necessario è organizzarli affinché con la lotta ottengano i diritti che la Costituzione loro garantisce né più né meno che come facciamo per i lavoratori italiani. E la lotta deve unire tutti i lavoratori e i democratici. E’ un po’ la stessa questione che si pose all’inizio del Novecento nei riguardi della politica coloniale. Fra i progressisti e gli stessi socialisti c’era chi vedeva nell’occupazione dei territori d’oltremare da parte delle potenze europee un’occasione per emancipare quei popoli. Furono i comunisti i primi a combattere quest’idea affermando che l’emancipazione delle popolazioni extraeuropee poteva venire solo con la lotta organizzata di tutti gli sfruttati in Europa e fuori. Ed oggi è ancora così. Nell’epoca della globalizzazzione nessun moto è più vero del vecchio “Proletari di tutto il mondo unitevi!”. Del resto non fu il buon Marx, insieme ad Engels, a descrivere nel Manifesto del 1848, con rara e insuperata potenza, la globalizzazione capitalistica? No, a P. Vesme come a Rosarno, non bastano lw parole buone. Occorre una lotta che, partendo dalle realtà produttive, diventi lotta popolo.
1 commento
1 Giulio C.
11 Gennaio 2010 - 13:48
Vorrei prendere in considerazione due questioni che n una prima occhiata sembrano distanti: i fatti di Rosarno e la riforma fiscale a 2 aliquote che intende varare il governo.
Sono nel solco dei progetti del centrodestra italiano degli ultimi 15 anni.
Da una parte si cerca di coagulare il sottoproletariato intorno alla paura del diverso, del nuovo arrivato, dall’altro si riconoscono alla borghesia i profitti, e si aumentano le disuguaglianze di questo Paese. E’ la vecchia politica della destra americana applicata all’Italia. E sappiamo bene cosa vuol dire economicamente la riduzione delle aliquote nell’economia usa. E’ la base della politica di Bush.
Il nucleo propagandistico era quello della “caduta pioggia”. Siccome i ricchi avrebbero guadagnato di più, avrebbero speso di più, l’aumento dei consumi avrebbe portato ad una crescita complessiva.
Invece è successo l’inverso. I profitti sono finiti dritti in borsa per effettuare speculazione, e i consumi sono stati tenuti alti dai debiti e mutui contratti dalle fasce medie e basse della popolazione.
Il centro sinistra saprà fare una politica alternativa che cementi i ceti più deboli con quelli dei nuovi arrivati (ed è questa la chiave elettorale della vittoria di Obama working class+ afroamerican+latinos), che non ripeta le follie di Tps, e che scelga chi aiutare economicamente e chi colpire?
E’ proprio in questa scelta che il “ma anche” ha fatto gravi danni. E una politica che si concentri unicamente sul colpire gli speculatori e i detentori di rendite, coglierebbe solo un epifenomeno, utilizzato da capro espiatorio.
Lasciatemi aggiungere che proprio in quei territori si gioca la “battaglia”. Proprio dove la paura attanaglia una plebe informe. E non basta internet. Ci vuole un’organizzione ben più solida.
p.s. Don Pino di Rosarno fa capire che in Italia un partito soltanto socialista non è possibile, siamo minoranza e senza l’apporto della tradizione cattolica migliore, che non ha nulla da invidiarci, non andiamo tanto lontano.
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