Francesco Cocco
Con un approccio saggistico e nel contempo ricco di sprazzi narrativi, Carlo Dore (in un libro ed.ANPPIA – Cagliari) ci restituisce, nella pienezza di un pensiero maturo e di un impareggiabile esempio di coerenza umana, la fulgida la figura di Piero Gobetti, morto a Parigi nel 1926 a causa delle percosse ricevute a Torino dalle squadracce fasciste.
Piero Gobetti è uno dei primi martiri della lotta al antifascismo che ha lasciato una grandissima eredità morale. Essa non è data solo dal suo esempio di vita, nonostante non avesse compiuto ancora 25 anni (19 giugno 1901- 16 febbraio 1926) aveva già elaborato un suo pensiero originale sui caratteri della società italiana, sul processo risorgimentale, sul significato e le potenzialità della Rivoluzione d’Ottobre. Non è quindi difficile immaginare quale ulteriore e immenso contributo egli avrebbe dato alla cultura italiana se la morte non l’avesse colto così giovane .
Merito di Carlo Dore è di avercelo riproposto alla riflessione. Lo fa non solo analizzando gli aspetti più rilevanti del pensiero gobettiano, ma in qualche modo collegandole alla sua dimensione morale, vissuta con grande coerenza nella quotidianità.
Dimensione morale: è questo un aspetto che segna la vita del giovane Piero e lo accomuna ad Antonio Gramsci, di cui diventa amico e collaboratore. Gramsci in quegli anni fondava a Torino un circolo di formazione morale. Aspetti da tener presenti se vogliamo cogliere, rispetto ai nostri giorni, una diversa dimensione del “far politica” di quella generazione, al cui esempio occorre tornare se vogliamo sfuggire alle angustie del tempo presente.
L’attualità dell’azione e del pensiero gobettiano è anche in certa angolazione “liberale” che egli seppe dare della rivoluzione russa del ’17. Siamo abituati a considerare quell’evento storico in una maniera unidimensionale a causa della vulgata staliniana e soprattutto della dimensione antilibertaria del cosiddetto “socialismo reale”. Il pensiero gobettiano può essere un valido strumento nel superamento di certo manicheismo interpretativo.
Sono aspetti presenti negli acuti capitoli che l’autore dedica alla rivista “rivoluzione liberale”, ai rapporti con i cattolici, e soprattutto ai rapporti con Gramsci. Quindi lettura utile a noi tutti, e segnatamente alle nuove generazioni.
1 commento
1 GIORGIO COSSU
6 Giugno 2008 - 14:29
CHE IL POSITIVO, anche, sia nell’angolazione “liberale” della rivoluzione del ‘17 è difficile da dire allora per la negazione del pluralismo e della stessa strada dell’egemonia gramsciana, improponibile oggi come visione politica, i conti con gli errori su cui la sinistra ha fallito bisogna pur farli fino in fondo, specie oggi che la società e la sua dinamica è cambiata. E’ cambiato il motore dell’economia e sono cambiate le forze sociali, devono cambiare le forme istituzionali per divenmtare più aperte e pluraliste, non c’è da affidarsi a classi omogenee ed egemoni ma a diverse articolazioni a cui offrire spazi di ricomposizione proprio in livelli istituzionali pluralisti. La crisi ambientale e economica dipende dall’assenza di quelle articolazioni istituzionali che offrano progetti di largo respiro fuori dai conflitti fra gruppi di interesse ristretti. Cosa che non sta avvenendo per l’assenza di una visione adeguata del riformismo a livello nazionale e regionale, IN CUI NON è DIFFICILE CAPIRE IL PERCORSO ED IL PROCESSO da avviare per riprendere un controllo democratico e di respiro ampio delle scelte politiche, che non dipendono dal prevalere di un gruppo ma dall’affermarsi di un processo unitario dentro un strategia di riforme che ha bisogno di idee e qualità e non di processi sommari o di rinnovamenti di facciata
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