Andrea Raggio
Ricordo il 14 luglio 1948, giorno dell’attentato a Togliatti. Lavoravo nel cantiere del palazzo dove sta oggi la Rinascente, allora in via di ristrutturazione per essere adibito ad albergo. Appena si diffuse la notizia abbandonammo tutti il cantiere per confluire nel grande corteo che andava formandosi spontaneamente nella via Roma. La protesta divampò con la stessa spontaneità in tutto il Paese. La tensione fortissima giunse, in particolare nelle grandi città del Nord, sul filo dell’insurrezione. La protesta venne incanalata nell’alveo della democrazia grazie al forte appello di Togliatti, benché gravemente ferito, a non perdere la testa e alla strenua azione dei massimi dirigenti comunisti impegnati nei punti più caldi del Paese a spegnere l’incendio. Così il Pci reagì alla violenza di Pallante alimentata dal feroce anticomunismo (non si dimentichi che i comunisti erano stati persino scomunicati).
Ricordo quella vicenda per sottolineare sia la gravità sia la differenza del momento che viviamo. Berlusconi vittima dell’attentato insiste nella perversione di additare la critica e il dissenso come fomentatori di odio e di offrirsi all’adorazione come messaggero d’amore. I massimi esponenti del PDL e i giornali loro portavoce sono impegnati, alcuni con furia libidinosa, a gettare benzina sul fuoco. L’obiettivo è chiaro: picconare ulteriormente la Costituzione per cambiarla. Per difendere la Carta e salvaguardare la democrazia occorre spegnere l’incendio, condannando innanzi tutto la violenza senza ipocrisie, d’accordo, ma anche senza indulgenza. Il gesto di Tartaglia è non solo folle, ma anche influenzato dal clima politico rovente e di questo Berlusconi porta indubbiamente la principale responsabilità. Di Pietro sin qui ha ragione ma, a mio parere, commette un grave errore quando lascia intendere di giustificare l’aggressione. Così non solo trascura di considerare che sull’incolumità della vita non si deve mai transigere, ma porge benzina agli incendiari e offusca il valore della democrazia e della legalità come principali armi di tutela dei cittadini.
Il proposito dei berlusconiani di usare l’aggressione di Milano per esasperare la stretta antidemocratica accentuerà inevitabilmente il vuoto di governo del Paese con conseguenze sempre più pesanti sulla situazione economica e sociale e sulle prospettive del dopo crisi. Il rischio è che si vada a un aggravamento della doppia spaccatura della società nazionale, quella sulla persona di Berlusconi e quella caratterizzata dagli squilibri sociali e dal divario Nord-Sud. E’ questa doppia spaccatura che sta trascinando l’Italia al declino. Ecco perché per andare verso un governo che governi è indispensabile che al “Fronte della legalità” si accompagni un “Fronte dello sviluppo”. E’, infatti, nell’intreccio tra democrazia e sviluppo che si costruisce l’alternativa al berlusconismo.
In Sardegna lo schieramento di centrodestra è più ampio di quello nazionale e perciò più a disagio nella gabbia berlusconiana. Un disagio accentuato dalle mancate promesse del “governo amico” e dalla minaccia di cambiamento delle Costituzione. E’ inevitabile che un governo che non governa abbia parte grande di responsabilità del livello di esasperazione cui sono giunte le lotte sociali nell’isola. Ed è innegabile che un cambiamento costituzionale che affidasse al capo del governo un potere sovraordinato rispetto a tutti gli altri, compreso il sistema regionale, ridurrebbe le regioni a puri e semplici enti amministrativi, privi di autonomia. Non sfugga questo pericolo nel momento in cui ci accingiamo - spero che questa sia la volta buona - a scrivere il nuovo Statuto. Ben venga, perciò, ogni iniziativa che aiuti il centrodestra ad allargare le maglie della gabbia in cui si è imprigionato e all’opposizione di connotarsi come forza unitaria ma non subalterna.
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