Le indagini dei P.M.? Dovere non aggressione

15 Dicembre 2009
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Carlo Dore jr.

Tra le tante reazioni che il mondo politico ha proposto a seguito della sconcertante aggressione subita dal Presidente del Consiglio al termine del comizio di domenica sera, le parole di alcuni esponenti del PDL – i quali hanno dichiarato che taluni Pubblici Ministeri “non sarebbero estranei al clima di odio che si è innescato nel Paese” – meritano una riflessione ulteriore.
Una volta ribadita la totale, assoluta estraneità alle logiche della normale dialettica democratica di qualunque atto diretto a confondere la protesta con la violenza, il diritto di critica con il delitto di aggressione, non si comprende come il legittimo esercizio delle prerogative che la Carta Fondamentale riconnette alla Magistratura – ed in particolare alla Magistratura requirente – possa alimentare quel diffuso “clima di odio” che costituirebbe il retroterra culturale dell’aggressione di cui il Premier è stato vittima.
Premesso infatti che l’art. 104 della Costituzione descrive la Magistratura alla stregua di un ordine autonomo ed indipendente rispetto ad ogni altro potere e che l’art. 101 precisa che i giudici sono soggetti “solamente alla legge” (e non alla contingente volontà di una determinata maggioranza politica), l’art. 112 della stessa Carta Fondamentale configura in capo al Pubblico Ministero l’obbligo di esercitare l’azione penale. Attraverso quest’ultima disposizione (da interpretarsi alla luce del principio dell’eguaglianza formale di cui all’art. 3 Cost.), il Legislatore Costituente richiede al Pubblico Ministero che riceve una notizia di reato di svolgere le relative indagini, indipendentemente dalle condizioni personali del soggetto a cui quel reato viene contestato, spettando quindi allo stesso P.M. il potere di valutare, al termine dell’attività istruttoria, se sussistono o meno le condizioni per domandare il rinvio a giudizio.
Alla luce dei principi appena esposti, operano dunque nel pieno rispetto della legalità costituzionale tanto quei Pubblici Ministeri che svolgono delle indagini su soggetti chiamati a ricoprire una carica istituzionale di primo piano (posto che l’assunzione di tale carica, pur conseguente all’investitura popolare, non implica di per sé l’automatica attribuzione al titolare della medesima di un’immunità riferita a qualunque ipotesi di reato), quanto quei magistrati che riaffermano, anche attraverso i mezzi di informazione, il loro diritto di esercitare le funzioni che ad essi competono nelle condizioni di autonomia ed indipendenza dal potere politico a cui fa riferimento la stessa Costituzione.
E’ vero, c’è un brutto clima oggi in Italia: ma, in base al ragionamento finora svolto, occorrerebbe forse riflettere su quanto i continui attacchi, condotti dagli esponenti di una determinata parte politica, ad alcuni settori della Magistratura, alla funzione di garanzia svolta dalla Corte Costituzionale, all’imparzialità ed all’equilibrio del Capo dello Stato abbiano contribuito ad elevare il livello della tensione che caratterizza lo scontro politico al momento in atto nel nostro Paese. Nella piena consapevolezza del fatto che la necessità di non confondere il diritto di critica con il delitto di aggressione non può e non deve produrre, quale assurdo effetto collaterale, il superamento della cultura della legittimità.

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