Antonio Pigliaru, intellettuale del dubbio

13 Dicembre 2009
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Gianluca Scroccu

Domani, Lunedì, alle 16,30 nella nuova Aula Arcari (via S. Ignazio 86 - di fronte alla Facoltà di Giurisprudenza)  si terrà un incontro per ricordare la figura  e la lezione culturale di Antonio Pigliaru nel 40° dalla morte.  In calce pubblichiamo la locandina dopo questo profilo dell’autore de “La vendetta barbaricina” di Gianluca Scroccu.

Secondo Norberto Bobbio l’intellettuale doveva essere soprattutto un “seminatore di dubbi”. Nessuno, nella Sardegna dell’Autonomia, è riuscito meglio di Antonio Pigliaru ad incarnare la definizione del grande filosofo torinese. Eppure quella dell’autore de La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico fu un’esistenza breve, iniziata ad Orune nel 1922 e conclusasi prematuramente a Sassari nel 1969. A quarant’anni dalla morte il grande intellettuale verrà ricordato oggi a Cagliari in un convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza in collaborazione con l’Elsa, l’associazione che riunisce gli studenti e i neolaureati in legge di tutta Europa. Dalle ore 16 si confronteranno, nell’aula Arcari in viale Sant’Ignazio 86, giuristi e uomini politici che di Pigliaru sono stati allievi e hanno avuto modo di riflettere sul suo lascito intellettuale. In un periodo di crisi profonda delle culture politiche la lezione di Pigliaru appare infatti di una straordinaria attualità soprattutto rispetto alla sua concezione dell’Autonomia come partecipazione continua e collettiva del popolo sardo in vista di una vera rifondazione dello Stato. Solo attraverso il coinvolgimento della cittadinanza democratica era infatti possibile a suo avviso creare le condizioni per la nascita e la maturazione di una classe dirigente realmente capace di guidare e ispirare una concreta opera di rinnovamento della politica. Per fare questo era necessario sprovincializzare la cultura non “negando il contenuto”, ma superando “alcune sue forme tradizionali di espressione”. L’importanza strategica della discussione come fattore di crescita civica fu del resto dimostrata dal suo impegno assiduo all’interno del gruppo di lavoro che si raccolse attorno alla rivista Ichnusa, una delle più feconde esperienze di riflessione sulla Sardegna della Rinascita. Quest’opera di organizzatore e suscitatore di cultura, che si affiancava alla sua feconda attività di docente di Dottrina dello Stato presso l’ateneo sassarese, rappresentò un’azione di impegno finalizzata alla maturazione di una consapevolezza di pensiero capace di andare oltre gli interessi particolari dei singoli partiti senza scadere in quello che egli definiva il “cosmopolitismo chiuso”, ovvero la tendenza, dietro un’attenzione spiccata per la storia più generale, a manifestare un certo disinteresse per la realtà isolana. Pigliaru fu tra i primi a capire come la lotta politica in Sardegna dovesse superare qualsiasi dimensione particolaristica o di “regionalismo chiuso”, legata alla tutela di privilegi individuali o territoriali, per assumere invece una valenza collettiva e partecipativa che doveva iniziare dalla scuola. In quest’ottica era compito dello Stato modificare la propria presenza sul territorio valorizzando la prospettiva unitaria nazionale e cercando contemporaneamente di garantire le autonomie locali, prima espressione di una democrazia diffusa a tutti i livelli. Un processo storico e politico basato sulla critica e la continua verifica sui fatti, che non doveva esimere gli intellettuali dal rivedere le proprie posizioni sulla base delle modificazioni intercorse nel cammino della Storia. Atteggiamento che egli dimostrò di mettere in pratica quando ritornò criticamente su alcune questioni della giustizia barbaricina, come nell’intervista concessa nel 1963 a due giovani redattori del periodico “Rinascita Sarda”, Sandro Maxia e Francesco Cocco, dove sembrò ripensare la sua analisi sul diritto delle zone interne all’interno di un discorso che non evitava di fare i conti con le modificazioni imposte dal miracolo economico alla società sarda.

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