Andrea Pubusa
“Facc’e sola” si dice in sardo. In italiano la frase è più scurrile. Ma ben si adatta al Cavaliere, quando davanti ai delegati del Ppe dice: “La sovranità in Italia è passata dal Parlamento al partito dei giudici”. Come se non fosse a tutti manifesto che in Italia più che nei giudicii la sovranità stà proprio in capo a lui, Berlusconi, dominus di un partito-azienda, per il tramite del quale, è anche dominus del Parlamento. E ancor di più è “facc’e sola” quando soggiunge: “In Italia succede un fatto particolare cui dobbiamo rimediare”: il Parlamento “fa le leggi ma se non piacciono al partito dei giudici questo si rivolge alla Corte Costituzionale” e la Corte “abroga la legge” in quanto da “organo di garanzia” si è trasformato in “organo politico”. Dice questo senza premettere che le leggi di cui si parla sono leggi volute da lui e per lui. Leggi che violano in modo plateale il principio di eguaglianza.
Coglie bene la situazione Di Pietro. “Berlusconi sta stracciando la Costituzione, prima riducendo il Parlamento a servizio privato, ora volendo eliminare la Consulta. Se non è fascismo, cosa ci vuole, l’olio di ricino?”. Per quel che conta, ha ragione anche Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria PdCI - Federazione della sinistra: “Il vaso è colmo. Il premier usa un linguaggio eversivo”, ha affermato. Se lo avessero capito prima, quando hanno contribuito a far cadere Prodi, forse non saremmo a questo punto. “La deriva populista è sempre più evidente, ormai parla come un caudillo sudamericano”, afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. “Berlusconi ha le palle ed è l’unico che non si preoccupa della giustizia”, è il fine commento del leader della Lega Nord Umberto Bossi.
Ma forse il Cavaliere dice queste cose proprio perché le palle le ha sì, ma sgonfie. Sembra se ne stia rendendo conto anche Bersani. “Oggi abbiamo un motivo in più per andare in piazza perché queste frasi sconsiderate provano che Berlusconi dal suo punto di vista vuole coprire il grande tema economico e sociale. Con le ‘Mille piazze’ diremo la nostra sia sul versante della democrazia sia su quello economico e sociale”. Così il segretario del Pd lancia la mobilitazione di piazza che vedrà impegnato nei prossimi giorni il Pd. Ben detto, anche se il buon Bersani poteva accorgersi della gravità della situazione prima del 5 dicembre, giorno del NO B-Day. Finalmente si rende conto che col Cavaliere non c’è possibilità di dialogo. Meglio tardi che mai.
Ma il pallino lo prende ancora una volta il presidente della Camera. “Non condivido” - ha detto - le parole di Silvio Berlusconi sulla Corte Costituzionale e sui giudici nell’intervento al congresso del Ppe. E lo ha invitato a “precisare meglio” il suo pensiero ai delegati del Partito Popolare Europeo per “non ingenerare una pericolosa confusione su quanto accade in Italia e sulle reali intenzioni del governo”.
Fini con queste parole si accredita come leader di una destra costituzionale e si allinea a Napolitano che ha espresso “”profondo rammarico e preoccupazione” per “le espressioni pronunciate dal presidente del Consiglio in una importante sede politica internazionale, di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla Costituzione italiana”. Ma il Presidente della Repubblica torna nel mondo dei sogni quando auspica “leale collaborazione” e lo spirito di “condivisione”. Fintanto che non si prenderà atto che Berlusconi non ha alcun interesse a serie riforme istituzionali, ma pensa solo ai cavoli suoi e per questo è disposto a mandare a fondo il Paese, ogni decisione sarà al di qua di quanto la pericolosa china in cui versa l’Italia richiede.
Ci sono tanti segnali di smarcamento. Fini e una destra costituzionale in fieri; Casini più nettamente; Bersani più nettamente ancora, ma come leader dell’opposizione dovrebbe delineare un progetto per mettere all’angolo la destra anticostituzionale di Berlusconi e Bossi. E così un fronte in difesa della Costituzione è di là da venire. Ed è questo che occorre: un governo di transizione che riconduca alla normalità democratica il Paese, spungendo dal suo corpo il Cavaliere, per poi ridare spazio alla normale dialettica democratica fra forze politiche di segno contrario, ma tutte rispettose della Carta fondamentale. In realtà è quanto si sarebbe dovuto fare dopo la vittoria risicata di Prodi alle elezioni politiche. Ma per la sinistra questa era un politica troppo di destra e così si è lasciato che a decidere delle sorti del Paese fossero Mastella e Dini. Ed eccoci qua sull’orlo del baratro. Sarebbe stato sufficiente ricordare cosa fece Togliatti col patto di Salerno per capire che ci sono momenti in cui un apparente passo indietro crea le premesse per molti passi avanti. Allora, dopo Salerno, ci fu la Repubblica, la Costituente, la Costituzione e un’impetuosa crescita della democrazia in Italia. La sinistra, che concorse a tutto questo, si radicò e crebbe. Oggi, volendo essere molto più a “sinistra”, la sinistra è scomparsa. Il centrosinistra arranca. Il centro e la destra costituzionale non riescono a sganciarsi dal cavaliere. Come si vede, esistono molti spunti per una riflessione a sinistra, nel centrosinistra, nel centro e anche nella destra costituzionale. Ci vorrebbe, però, testa e coraggio. Ma l’una e l’altro per ora latitano. E mancano leaders affidabili e all’altezza.
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