Ricordo di Walter Tobagi

29 Maggio 2008
1 Commento


Gianluca Scroccu

Walter Tobagi era uno dei giornalisti più importanti del Corriere della Sera, dove si occupava di terrorismo, ma era anche un esponente importante del sindacato dei giornalisti della Lombardia, un valido studioso della storia della sinistra italiana e del sindacato e un simpatizzante socialista che sapeva però anteporre la deontologia e l’indipendenza del cronista alle proprie idee politiche. Ed era un uomo molto giovane, di appena 33 anni, con una moglie e due figli piccoli che amava molto. La mattina del 28 maggio 1980 due killer lo uccisero senza pietà lasciandolo crivellato con sei colpi vicino al marciapiedi. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini (che stimava e apprezzava molto Tobagi) ebbe la notizia dell’assassinio mentre era in visita di Stato in Spagna; appartandosi da re Juan Carlos e dalla regina Sofia, si mise a piangere coperto dal fumo della sua pipa.  Protagonista del delitto era la “Brigata 28 marzo”, un gruppuscolo imbevuto di ideologia che, uccidendo i giornalisti che come Tobagi avevano contribuito con le loro inchieste a far scoprire ai lettori dei giornali le caratteristiche e i folli obiettivi del brigatismo, si prefiggeva di acquistare visibilità all’interno della galassia terrorista. Marco Barbone era uno dei due killer del cronista del Corriere ed era anche il capo di questo gruppo; era un figlio della borghesia benestante milanese che si era fatto folgorare sulla  via della P38. Catturato, si pentì subito e al processo venne condannato a pochi anni di carcere (come pentito ebbe la libertà provvisoria, scoprendosi poi cattolico e fervente aderente di Comunione e Liberazione).
I giornalisti come Tobagi venivano uccisi o feriti perché il terrorismo giudicava pericoloso il loro saper spiegare ai lettori il carico di follia della lotta armata, quel sognare la rivoluzione con la violenza, la logica del sangue e delle barbarie. Chiunque contribuisse ad isolare il terrorismo presso l’opinione pubblica doveva essere eliminato; una logica perversa che ha lasciato tante vedove e tanti orfani che si sono visti privare della gioia di crescere insieme al proprio marito o al proprio padre. Nella trasmissione che La storia siamo noi di Giovanni Minoli ha dedicato al delitto Tobagi colpiva il composto dolore della figlia del giornalista, Benedetta (al tempo del delitto una bambina), il suo dichiararsi priva di sentimenti di odio verso gli assassini del padre ma nello stesso tempo il suo essere piena di sofferenza per esser stata privata per tutta la vita dell’affetto del babbo.  Questa è una delle ragioni per le quali diventa un dovere ricordare le vittime di quella stagione, la loro passione civile e il senso dello Stato.
E poi, ci appare forse così lontana quella uggiosa mattina milanese del 28 maggio 1980? Non tanto, se pensiamo ai nomi di Massimo D’Antona, di Marco Biagi e del sovrintendente di polizia Petri. Vittime recenti di una follia che ha tolto anche in questi ultimi anni a questo Paese tanti uomini giusti e intelligenti e soprattutto li ha sottratti all’affetto e all’amore dei familiari.

1 commento

  • 1 Lello Usai
    29 Maggio 2008 - 22:11

    Bene ha fatto G.L. Scroccu a ricordare Walter Tobagi. La sua è stata una delle esecuzioni più barbare del terrorismo rosso. Gli fu inferto anche il colpo di grazia. Per questo suscitò profonda emozione e un grande dolore. Inoltre, si trattava di un giovane e valoroso giornalista democratico, molto aperto e attento alle questioni sociali. Ma i terroristi pridiligevano vittime intelligenti e democratiche, considerandole, nella loro follia, concorrenti pericolosi. Ricorderei anche il padre di Tobagi. Seguì con perseveranza tutte le vicende giudiziarie e le udienze, non stancandosi mai di chiedere giustizia; giustizia che gli sembrava negata da quelle pene miti, conseguenti a pentimenti disinvolti e non sofferti, così come disinvolte e inutili erano state le uccisioni. Quel vecchio e degnissimo signore subì anche l’onta di essere criticato da una certa stampa, che non gradiva la sua insistente richiesta di giustizia. In effetti per molti il dolore dell’assassinio crudele di un congiunto in quegli anni si è accompagnato al dolore provato per una giustizia imbelle e una stampa talvolta priva di sensibilità umana. Non dimentichiamoci poi che il terrorismo ha cambiato il corso della storia del nostro Paese. Volendo fare storia controfattuale, potremmo chiederci quali sarebbero state le vicende italiane senza il terrorismo a partire da P.Fontana. E come sarebbe oggi il nostro Paese? Visto l’approdo si può dire che la strategia della tensione ha raggiunto a pieno i suoi obiettivi antidemocratici e antipopolari.

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