Ma quale programma di sviluppo regionale! E’ propaganda di stampo berlusconiano

11 Novembre 2009
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Andrea Raggio

Il “Programma regionale di sviluppo” presentato dalla Giunta riguarda le strategie che la Regione intende perseguire nella legislatura. La finalità ambiziosamente dichiarata è quella di governare la crisi fronteggiando l’emergenza in una prospettiva di sviluppo. Gli interventi previsti rispondono a questo obiettivo?
Le prospettive di ripresa dell’economia regionale appaiono difficili, premette il documento. In effetti l’ampia rassegna statistica allegata fotografa una situazione talmente grave da rischiare l’irreversibilità. La crisi ha provocato e sta provocando non solo un’acuta emergenza economica e sociale ma un ulteriore indebolimento strutturale del sistema. Riguarda soprattutto l’impoverimento quantitativo e qualitativo del capitale umano, la fragilità della struttura produttiva in particolare nel settore industriale e della piccola impresa, la debole produttività e, quindi, l’accresciuta difficoltà del sistema a produrre reddito e lavoro. La disoccupazione è salita al 14,1%, l’occupazione potrebbe calare di altre 18.00 unità nel 2010, nell’intero periodo 2009-2013 le unità di lavoro in Sardegna diminuiranno ulteriormente dello 0,18 l’anno, mentre in Italia cresceranno dello 0,37, e aumenterà l’occupazione a tempo parziale sostitutiva di quella a tempo pieno; la povertà coinvolge ormai circa il 19,4% delle famiglie; gli investimenti sono diminuiti del 13,7% e non vi sono prospettive di miglioramento; la graduatoria europea e nazionale sui livelli d’istruzione secondaria superiore e universitaria pone la Sardegna agli ultimi posti; in questi due anni di crisi il PIL è diminuito di oltre cinque punti e continuerà a diminuire, potrebbero essere necessari non meno di quattro anni perché ritorni al livello del 2009; il reddito pro capite dovrebbe calare del 5,2% nel 2009 e ancora dell’1% nel 2010. Allo stato delle cose, dunque, le previsioni dicono che il difficile processo di fuoriuscita della crisi sarà accompagnato da una ripresa del divario rispetto al resto del Paese e all’Europa. Insomma, un cammino opposto a quella della rinascita.
A questa preoccupante prospettiva il PRS risponde prospettando non una strategia di sviluppo ma una politica di affannosa sopravvivenza. Gli interventi previsti si riducono, in concreto, al recepimento di misure già adottate o proposte, in specie l’esiziale incentivazione volumetrica nell’edilizia e la cosiddetta riorganizzazione della sanità (la cui spesa salirà dagli attuali 2.847 milioni di euro a 3.940 milioni di euro a fine legislatura “per mantenere il sistema attuale senza futuri sviluppi rilevanti”) e a una rete di provvedimenti assistenziali in campo sociale. Quanto all’istruzione la preoccupazione dominante è quella di favorire la scuola privata. Per il resto il programma è un elenco dispersivo di mere ipotesi.
Si può fare di più e meglio? Si può, concentrando gli interventi, come chiedono i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali, a sostegno dei settori capaci di produrre occupazione in tempi brevi: piccole e medie industrie, artigianato, turismo, infrastrutture, formazione professionale vera, non assistenziale. Si può, migliorando il “rendimento istituzionale”, cioè la vitalità democratica e l’efficienza delle istituzioni a tutti i livelli.
Il documento in questione rispecchia, purtroppo, l’impostazione programmatica del centrodestra regionale, in ossequio alla legge regionale del 2 agosto 2006 la quale dispone che il PRS sia “elaborato in sintonia col programma della coalizione di Governo”. E il programma della coalizione sottovaluta l’incidenza della crisi globale sulla situazione economica e sociale dell’isola e trascura il rapporto tra l’emergenza e lo sviluppo. Il PRS proposto è, in conclusione, un documento di stampo berlusconiano.
Nonostante la norma della legge del 2006 pretenda di legargli le mani, è ragionevole prevedere che il Consiglio regionale si impegni per apportare al PRS le modifiche possibili. Non v’è dubbio, però, che la risposta forte alla crisi difficile può venire principalmente da un mutamento profondo della politica nazionale. Bisogna, dunque, accelerare i tempi dell’alternativa. Accentuare l’iniziativa dell’opposizione nelle istituzioni è indispensabile ma non sufficiente. Occorre superare quella rassegnazione diffusa che frena la capacità della società civile di esprimere politica. Gustavo Zagrebelsky ha sottolineato anche recentemente che l’impianto della Costituzione è quello della democrazia politica, presuppone cioè “una società civile che esprime politica, a partire dai diritti individuali e collettivi”. E ha ammonito che non basta la denuncia delle insidie e degli attacchi. La Costituzione vive se vive la democrazia politica.
C’è molto da chiedere, dunque, ai partiti e a tutte le organizzazioni della società civile, e c’è molto da fare per unire le forze. Se viene meno questo impegno, non prendiamocela soltanto con Berlusconi.

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