Nuove povertà e welfar

8 Novembre 2009
1 Commento


Gianfranco Sabattini

Pubblichiamo la seconda parte della riflessione avviata ieri dal prof. Gianfranco Sabattini, che delinea le diverse ipotesi di fuoriuscita dalla crisi formulate dai “laissezfairisti” e dai “welfaristi”.

1. L’idea di una riforma radicale dell’attuale sistema di sicurezza sociale solleva in Italia, ma non solo, molte perplessità. Nel nostro Paese, ad esempio, si osserva che l’introduzione di un reddito e di una pensione di cittadinanza incondizionati varrebbe, non solo a determinare una possibile riduzione della domanda di lavoro, ma anche ad inasprire le pressioni già alte che, allo stato attuale, gravano sulle finanze dello Stato, soprattutto dopo tanti anni di neoliberismo e di silenzio progettuale delle forze politiche di sinistra e dei sindacati. Questi ultimi, in particolare, per iniziativa della CGIL, si sono sempre limitati ad organizzare seminari di studio nei quali sono intervenuti in momenti successivi celebri studiosi del reddito di cittadinanza, quali James E. Meade, Edwin Morley-Fletcher e Philippe Van Paris. Le loro idee non hanno avuto tuttavia alcun seguito, neppure a livello di dibattito. Per le ragioni esposte, le forze politiche, sindacali e gli esperti di sicurezza sociale italiani hanno sempre concluso che la sostenibilità fiscale di un’innovazione istituzionale fondata sull’introduzione di un reddito e di una pensione incondizionati risulterebbe tanto gravosa da indurre il rischio di un non sopportabile aumento della pressione fiscale. E’ questa la ragione per cui in Italia ci si è sempre limitati a proporre e qualche volta solo a sperimentare, per tempi limitati, l’introduzione di forme di reddito garantito condizionato.
In un tempo in cui la principale preoccupazione all’interno del sistema economico è espressa dalla presenza di una crescente forma nuova di povertà strutturale, che ostacola la ripresa della crescita e dello sviluppo, sembra essere eccessiva la profusione di energie nell’elaborazione di critiche indirizzate contro una innovazione istituzionale di natura sociale ed economica orientata a rimuovere quella preoccupazione; ciò, perché viene trascurato il fatto che l’istituzionalizzazione di un reddito e di una pensione incondizionati di cittadinanza avrebbe l’effetto di “svincolare” l’accesso al reddito dei singoli soggetti dalla famiglia, dalla classe sociale di appartenenza e dall’anzianità lavorativa accumulata, contribuendo anche, per tale via, a separare il lavoro dalla status di cittadino e a distanziare l’accesso al reddito dal “lavorismo” delle forze politiche di sinistra e dal “familismo” delle forze politiche della destra conservatrice. A tutto ciò va aggiunto che l’istituzionalizzazione di un reddito e di una pensione incondizionata di cittadinanza consentirebbe di realizzare una maggiore giustizia distributiva per via del fatto che il finanziamento attraverso la fiscalità generale dell’accesso generalizzato al reddito cesserebbe di gravare prevalentemente solo sulla forza lavoro occupata. Certo, l’introduzione di un reddito e di una pensione incondizionati di cittadinanza richiede riforme istituzionali implicanti conseguenze etiche, politiche, economiche e distributive di larga portata e tali da indurre chiunque proponga un rilancio della crescita e dello sviluppo nei moderni sistemi economici di essere consapevole che, un conto è condividere l’efficacia di una cosi larga e profonda riforma, altro conto è proporre, da subito, un modello esaustivo di tutte le precondizioni che si ritiene siano necessarie per la sua attuazione.
Allo stato attuale, si può solo tentare di mettere a fuoco la necessità che l’attenzione per le riforme richieste per rilanciare la crescita e lo sviluppo del Paese non privilegi solo la discussione di quelle di breve respiro dei “welfaristi” nostrani, ma includa anche il dibattito su tutti gli aspetti riguardanti il progetto col quale molti Paesi europei tendono a risolvere il problema dell’accesso al reddito generalizzato per rimuovere dai sistemi sociali moderni il fenomeno della povertà, non attraverso procedure ridistributive tradizionali fondate sulla prova dei mezzi, ma attraverso l’introduzione nel funzionamento del sistema sociale di “meccanismi” atti a garantire la rimozione o l’affievolimento automatici dei processi di impoverimento dei cittadini. Al presente, il reddito e la pensione incondizionati di cittadinanza non sono istituzionalizzati, con l’ecceszione dell’Alaska, in nessun Stato europeo, sebbene a livello di Unione Europea da tempo se ne discuta. In Norvegia, fuori dall’Unione, è stato invece costituito un “Government Pension Fund”, alimentato dai proventi della vendita del petrolio. Tale fondo, costituito nel 1990 dalle formazioni partitiche di ispirazione socialista, nonostante il prevalere per lunghi periodi dopo il 1990 dei partiti “laissezfairisti-riformisti”, è stato sinora conservato e potenziato.

2. Sul piano dell’azione riformatrice, “laissezfairisti” non conservatori e “welfaristi” sono stati molto spesso (in occasione dell’introduzione delle precondizioni richieste dall’istituzionalizzazione del welfare tradizionale) protagonisti di dure contrapposizioni, piuttosto che di progetti collaborativi. Ma, alla luce dell’esperienza vissuta sia gli uni che gli altri hanno maturato in comune un interesse al riformismo molto più esteso di quanto non siano disposti ad ammettere. Il riformismo dei “welfaristi” rimarrà, tuttavia, sempre critico nei confronti del riformismo dei “laissezfairisti”. I “welfaristi riformisti” è però auspicabile che possano divenire anch’essi, al pari dei “laissezfairisti”, dei presìdi della libertà della società civile più di quanto non lo siano stati nel passato. D’altra parte, ci si può anche augurare che i “laissezfairisti riformisti” continuino a persistere nel loro atteggiamento critico nei confronti delle pretese dirigiste dei “welfaristi riformisti”. E’ anche auspicabile che tra “welfaristi riformisti” e “laissezfairisti riformisti” permangano rapporti “concorrenti”, soprattutto in relazione all’equilibrio che dovrà essere realizzato tra il libero mercato ed il controllo democratico della sua libertà. Tra essi rimarranno, quindi, motivi di “concorrenza” che costituiranno il fondamento della competizione politica, utile al sistema sociale per “stimolarlo” ad acquisire una costante propensione al riformismo, con il quale adattare nel continuo i contenuti delle politiche pubbliche ai problemi nascenti dall’evoluzione del sistema economico. Quando le procedure di formazione e di attuazione delle politiche pubbliche saranno costantemente ispirate al riformismo, il reddito e la pensione incondizionati di cittadinanza potranno realmente divenire le variabili strategiche delle politiche pubbliche, il cui governo, realizzato in presenza di procedure democratiche, non implicherà alcuna alterazione delle caratteristiche organizzative del sistema economico.

1 commento

  • 1 Bomboi Adriano
    8 Novembre 2009 - 15:49

    Mah…non so di quanta utilità possa essere la sua giusta riflessione Sabattini in un Paese la cui (quasi) metà del PIL è prodotta dal crimine organizzato (che poi reinveste nei grandi gruppi). Forse quest’unità d’Italia è meno vantaggiosa di quanto si pensi.

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