Gianluca Scroccu
Gli scandali che hanno travolto nelle ultime settimane la nostra classe politica ci dicono molto della situazione cui siamo giunti in questi ultimi quindici anni. Incredibile come quella che sarebbe dovuta essere la nuova età dell’oro della politica, dopo l’era della cosiddetta “partitocrazia”, si sia rivelata tanto fragile ed inconcludente.
Il caso Marrazzo, al di là di quelli che sono i suoi aspetti giudiziari, ci ha ribadito una cosa: il fallimento della personalizzazione della politica ben identificata dal potere assegnato ai governatori regionali. Troppo lungo è l’elenco dei Presidenti di Regione coinvolti in indagini o rimandati a giudizio: i nomi sono noti e non hanno una particolare collocazione geografica, andando dal Sud al Nord del Paese. Il nuovismo di questi personaggi, anche al di là delle loro intenzioni e intuizioni, peraltro non tutte negative, si è infranto contro il muro eretto dall’evidenza: senza cultura non c’è spazio per la buona politica. Nei giorni che ci avvicinano alla ricorrenza del ventennale della caduta del Muro di Berlino proprio la sinistra dovrebbe approfittarne per riflettere criticamente sul baratro cui è stata trascinata dopo aver sposato la retorica di un’indefinita governabilità e della riduzione degli spazi di verifica democratica dei cittadini a favore della concentrazione dei poteri nelle mani ritenute taumaturgiche di leader presi dal mondo della tv o dell’imprenditoria. Quando si riflette sui caratteri del berlusconismo bisognerebbe soffermarsi anche su questi temi che appaiono veramente centrali e destinati, se non cambierà la rotta, a sopravvivere all’attuale Presidente del Consiglio. La riduzione degli spazi di democrazia, a partire dallo svuotamento dei poteri delle assemblee elettive, è forse l’elemento centrale dell’attuale crisi della politica. Viviamo, del resto, in un’epoca di paradossi. più o meno uno l’abbiamo visto una settimana fa, durante le primarie del PD. Il vincitore, Pierluigi Bersani, è forse il più convinto nel ritenere che non sia possibile che un segretario di partito venga eletto non dagli iscritti, o meglio non solo, ma anche da chi non ha nessun interesse per le vicende interne di quel soggetto politico. “La democrazia di un giorno”, che ha spinto persone di centrodestra o magari dei partiti a sinistra del PD a deporre la loro scheda, avrà certamente rappresentato un segnale di partecipazione ma effimera, perché da lunedì tantissimi di quelli che hanno votato non sono certo tornati nei circoli del PD a commentare i risultati, né avranno nessun interesse per le assemblee che pure hanno contribuito ad eleggere. Speriamo veramente sia stato l’ultimo lascito di politici che sembrano vivere solo per presentare i loro romanzi o per essere presenti nell’ultimo libro di Vespa. Persone come Bersani o Rosi Bindi hanno infatti dalla loro la serietà e la scuola della cultura cattolica e marxista per ricostruire almeno in parte il tessuto della partecipazione che è andato dissolvendosi in questi anni di “turbopolitica mediatica”. Già veder finita l’era dei politici-narcisi non sarebbe una brutta (ri)partenza.
2 commenti
1 Massimo Marini
3 Novembre 2009 - 09:17
Continuo a sostenere che per problemi nuovi si stanno proponendo soluzioni vecchie. E’ vero che stiamo assistendo, in Italia, ad un sostanziale fallimento del leaderismo, da noi più che in altre nazioni spesso mediatico, patinato e sostanzialmente vuoto - specie a sinistra. Ma è vero anche che a questo, alla necessità che i cittadini elettori sembrano avere di riconoscersi in un leader “easy”, siamo in primis destinati geneticamente, e nella fattispecie ci siamo arrivati dopo tangentopoli, dopo lo sputtanamento delle pratiche indecenti e amorali della partitocrazia tutta degli anni ‘70 / ‘80 (almeno nel suo culmine per intenderci). Ci siamo arrivati per via dell’invasione del fenomeno tv, che si è portato dietro la cultura degli annunci, degli slogan, degli spot, dell’immagine patinata appunto. Ci siamo arrivati perché il cittadino elettore ha sentito la necessità di riconoscersi in qualcuno di esterno a certe logiche, o magari, anche se appartenente al sistema, personalmente affidabile, empaticamente degno del suo voto. Da questo fenomeno non si torna indietro con una inversione a U che pretenda di ricreare la partecipazione come l’abbiamo conosciuta 20 o 30 anni fa: questo non potrà MAI accadere. Prima ce ne rendiamo conto, prima la nostra democrazia tutta farà un passo in avanti. E’ naturale che le assemblee devono tornare ad avere il loro giusto peso, ma è anche vero che l’elezione di queste assemblee non si può chiudere ai soli tesserati, perché il corpo elettorale VUOLE contare, VUOLE partecipare, VUOLE dire la sua. E se per farlo lo si costringe in qualche modo ad una partecipazione attiva di vecchio stampo, ecco che non si fa altro che allontanarlo nuovamente. E questo è un danno non solo per il PD o per chiunque prenda questa decisione, ma soprattutto per la salute della democrazia partecipativa italiana, che deve essere stimolata, non soffocata da formalismi novecenteschi. La partecipazione stimola all’informazione critica, alla decisione, al coinvolgimento. E’ crescita, comunque. Il fenomeno del voto alle primarie, o in futuro anche alle doparie - a mio giudizio una vera rivoluzione di cultura e partecipazione che va assolutamente perseguita - di persone NON interessate realmente alla vita di quel partito (ad esempio destra che vota per il segretario del PD) è un qualcosa di estremamente marginale e destinato a scomparire - come dimostrano proprio i dati delle primarie assolutamente allineati (ad eccezione dell’exploit di Marino) ai voti di circolo.
Bersani ha vinto (anche) perché riesce a sintetizzare la caratura da leader con quella dell’uomo affidabile e preparato. Bersani ha ottenuto lo stesso gradimento dai congressi di circolo e dalle primarie, ed ora, da leader, è legittimato non dalla maggioranza dei tesserati ovvero 250mila, ma da circa 1,4 milioni di persone che hanno scelto lui come segretario del partito.
E a Bersani questa investitura non dispiace affatto, dato che “dentro la vittoria di tutti, c’è anche la mia”. Se non è un messaggio chiaro questo?!
2 Francesco Cocco
3 Novembre 2009 - 20:08
Leggo nell’articolo di Gianluca un’invocazione di serietà. Da troppo tempo la cialtroneria è diventata categoria dominante nel “far politica”. Certo nessuno invoca il “buon tempo antico” che non è mai esistito. Purtroppo nella ricerca del nuovo vedo tanta improvvisazione ed avventurismo. Certo non dobbiamo cristallizzarci. Occorre sperimentare, guardare al passato ed al futuro rifuggendo da nostalgie e schematismi. Ma Gianluca pone problemi di sostanza dai quali non si può prescindere se la sinistra vuol riguadagnare il terreno perduto.
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