Sicurezza e welfare locale

26 Maggio 2008
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Ugo Gallo

L’ultima campagna elettorale e questo avvio di legislatura si sono caratterizzate con un dibattito sulla sicurezza delle città tutto orientato sulla repressione; un dibattito che ha  catalogato la sicurezza tra le materie che non sono di destra o di sinistra,  le cui soluzioni proposte oltre a non essere efficaci evocano sentimenti di egoismo (lava vetri, espulsione da parte dei sindaci ecc…), quindi alimentano la spirale di emarginazione e violenza.
Questo documento vuole soffermarsi sulle potenzialità e l’efficacia del welfare locale come opportunità di inclusione sociale, di solidarietà, di modello sociale di prossimità che può estendersi a modello nazionale.  Nello specifico vogliamo soffermarci sulle scuole per l’infanzia  e gli asili nido gestiti dai comuni.
La nostra riflessione parte quindi dall’analisi della difficoltà e del disagio in cui versano le grandi città europee, nelle quali perlopiù si persegue una politica di corto respiro, basata su due direttrici principali: snellimento del lavoro pubblico e scaricare sulle periferie o meglio nelle periferie i migranti, costituendo veri  e propri ghetti (la mancanza di una politica per la casa espelle anche i giovani dal centro delle città).
Lo smantellamento del lavoro pubblico viene realizzato attraverso le  privatizzazioni e/o esternalizzazioni dei servizi per i cittadini, nel caso italiano, come sottolineano gli studi effettuati dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dall’ANCI, senza analisi di valutazione preventiva e successiva della qualità del servizio, senza diminuzione delle tariffe, senza analisi di sistema sugli effettivi risparmi per l’ente appaltante, senza programmazione negoziata degli standards della qualità dei servizi.
Aggiungiamo noi che dallo smantellamento ne consegue una diminuzione dei diritti per le lavoratrici ed i lavoratori, da tempo stiamo denunciando il tanto e confuso addensamento di lavoro precario, nonché una rincorsa al contratto “meno oneroso”, quindi una qualità minore del servizio.
Dal nostro punto di vista peraltro le esternalizzazioni e le privatizzazioni di questi servizi non fanno altro che costituire un monopolio garantito per l’ente gestore vincitore della gara d’appalto che, sempre lo studio del Dipartimento della Funzione Pubblica ci segnala: ….”  si ricorre a fornitori consolidati o comunque noti e, attraverso lo strumento della licitazione privata, agendo spesso al di fuori di meccanismi di mercato più pregnanti, peraltro senza sapere o curarsi di sapere se la esternalizzazione migliora il funzionamento dell’amministrazione e/o il benessere di cittadini e imprese servite”.
La nostra esperienza ci porta a dire che tali esternalizzazioni non accadono per caso, ma sono il frutto di distorsioni e/o degenerazioni della politica locale, spesso infatti si ricorre all’esternalizzazione per consolidare questa o quella maggioranza, si ricorre alla privatizzazione magari attraverso la costituzione di aziende (non tutte per carità) che hanno il solo scopo di posizionare questo o quel politico uscito dal circuito perché non eletto o a fine mandato.
Questa idea di pubblico è accompagnata da un’assenza di politiche per la casa, di politiche di integrazione, addensando nelle periferie il malessere ed il disagio sociale.
Il rischio è che anche da noi fenomeni quali quelli francesi della rivolta delle banlieux possano verificarsi; ma va indagato anche il fenomeno accaduto in Inghilterra e cioè che la seconda generazione di immigrati, cioè i giovani nati e vissuti in occidente si sono fatti esplodere in un’ottica di guerra di religione, come se fossero nati e cresciuti nella condizione dei loro paesi di origine, fenomeno che ha fatto affermare ad un imam residente in Inghilterra di avere il problema di non conoscere ciò che scorre nei cuori dei loro giovani.
A nostro avviso il ruolo dei comuni con il sistema di welfare ha impedito o meglio ha prevenuto fenomeni violenti di disagio; le comunità locali tuttavia si sono modificate profondamente in questi ultimi anni, l’immigrazione, il precariato, l’assenza di politiche per le famiglie intese in modo estensivo, impongono un ripensamento del modello di welfare, non certo l’eliminazione in nome di una non meglio definita modernità o riformismo.
Il nostro compito quindi è di proporre e ripensare i servizi erogati dal sistema delle autonomie locali, per innescare un dibattito che non sia solo di annunci e prese di posizione basate sulla convenienza del momento.
In questo quadro approfondire il ruolo che possono assumere gli asili nido e le scuole per l’infanzia gestiti dai comuni, quali luoghi nei quali è possibile costruire momenti veri di inclusione, di costruzione di valori, di solidarietà significa parlare di stato sociale.
I bambini ci forniscono un’occasione unica per progettare una società diversa, basata sulla prevenzione e non sulla repressione, che parte dal basso e cioè dalle comunità locali, in particolare nella fascia d’età da 0 a 6 anni.
A nostro avviso va affermato il principio che la tolleranza verso il diverso ed il recupero del disagio sociale inizia dalla prima età, già oggi in molte aree del paese, la composizione delle classi è contrassegnata da una molteplicità di etnie.
E’ quindi evidente che l’asilo nido, piuttosto che la scuola materna, diventa un luogo centrale per far nascere e crescere la cultura della tolleranza e del rispetto.
I cambiamenti della società sono quindi il parametro per misurare la validità e l’efficacia del servizio, anche per dare una risposta concreta a quella vasta area del disagio che la precarizzazione del lavoro ha determinato.
A nostro avviso, la valorizzazione del ruolo pubblico nel sistema educativo, nidi e scuole dell’infanzia, va riaffermato e declinato fino in fondo per combattere sempre con più efficacia, la tendenza alla esternalizzazione con la motivazione, da parte delle Amministrazioni Comunali, di una carenza di figure professionali. Per parte nostra dobbiamo ripensare al servizio, alla sua estensione, alla relazione nel rapporto scuola famiglia, all’educazione del bambino.
La valorizzazione del ruolo e della professionalità delle operatrici e degli operatori è uno snodo centrale, a partire dal loro corretto inquadramento professionale, dalla formazione continua, una formazione che sappia mettere in comunicazione e cogliere le potenzialità, la ricchezza  ed il valore delle culture di origine dei bambini, l’individuazione di un tratto comune, l’insegnamento alla convivenza ed a regole condivise.
In tale contesto va conseguentemente definita meglio l’organizzazione del lavoro e nello specifico: orari, calendario, monte ore, sostituzioni, rapporto numerico, programma educativo e didattico.
Una scuola così pensata, a nostro avviso, può raggiungere più facilmente gli obiettivi di Lisbona, e può essere a supporto di eventuali sperimentazioni; tra queste ultime peraltro bisogna mettere un po’ di ordine, non pensare a tutto e di più, come ad esempio l’asilo di caseggiato, ma ad interventi strutturati che siano in grado di realizzare un progetto dei fondo.
Se si realizzano queste condizioni tutto è possibile, anche le sperimentazioni più ardite, ad esempio, un asilo di caseggiato, qualora risponda ai requisiti indispensabili è possibile, a condizione che sia il tentativo nato per intercettare dei bisogni reali da far confluire nella struttura comunale nel giro di qualche tempo.
Sulla sperimentazione delle cosiddette sezioni primavera, a seguito dell’avvio dell’anno scolastico vogliamo esprimere un timore, e cioè che si coglie l’esigenza delle famiglie che chiedono di avere a disposizione  servizi educativi per avere una risposta sociale delle donne che lavorano o che vogliono entrare nel mondo del lavoro, e meno quella dei bambini, creando un ulteriore segmentazione nella fascia d’età 0 - 6 anni.
Non è nostro intento mettere in discussione la sperimentazione, ma vorremmo contribuire ad eliminarne i rischi ed i limiti, focalizzando il punto d’osservazione sui bambini,  riconoscendo loro un diritto di cittadinanza, e quindi, la qualità dell’educazione nella fascia 0-6 anni.
Il bambino nel percorso educativo 0-6 si vede impegnato in un processo di costruzione di se stesso dentro e fuori in relazione agli altri, dove lo spazio, l’accoglienza, l’osservazione, la continuità educativa sono momenti fondamentali.
In questo contesto è particolarmente fondamentale la formazione che interviene sulle insegnanti, sulle educatrici, in un confronto costante in una contaminazione delle esperienze  formative e professionali.
Cosa fare nell’immediato .
Le sezioni primavera  sono state  attivate e finanziate su iniziativa del governo con un intesa stato-regioni,  noi dobbiamo necessariamente  essere presenti, gestire, ovvero non rivendicare solo la presenza al tavolo delle decisioni ma conseguentemente essere presenti e vigilare sul loro funzionamento ed intervenire sul loro malfunzionamento.
Pretendere che i comuni svolgano realmente il loro ruolo nel rispetto dell’accordo stato-regioni; è fondamentale che le indicazioni vengano osservate, nell’interesse dei bambini, dei genitori e non ultimo per coloro che vi lavorano a vario titolo.
Garantire e vigilare il rispetto dell’applicazione dei contratti di riferimento, la formazione per tutti coloro che vi lavorano, il rapporto numerico bambino – insegnante, spazi adeguati alle necessità dei bambini nel rispetto dei propri bisogni individuali ovvero dei tempi compreso il sonno, l’alimentazione, la continuità educativa, la salvaguardia delle liste di attesa nelle scuole dell’infanzia e nidi, parametri di partecipazione dei costi da parte delle famiglie, monitorare e regolamentare  i flussi della domanda e offerta dei servizi.
Un altro aspetto che non deve essere assolutamente trascurato è che questa sperimentazione non deve essere affidata al personale precario, rischiando una frammentazione del processo educativo per via di un assenza di continuità oltre che una demotivazione nei confronti del lavoro.
Per la FP CGIL è necessario e fondamentale sostenere la proposta di legge sull’infanzia perché attraverso un processo unico, uniforme possiamo finalmente  parlare del progetto 0-6, dove non sono le leggi regionali a determinare quale qualità viene offerta, realizzando diritti a geometria variabile.
La legge nazionale deve:
· Definire quali standard di riferimento per tutti, pubblico e privato;
· Definire le competenze istituzionali superando gli attuali conflitti e definendo responsabilità certe;
· Affrontare  il tema del nido non più a domanda individuale, e la generalizzazione della scuola dell’infanzia,
· Istituzionalizzare un dialogo di continuità fra le strutture educative che si occupano d’infanzia, compresi i servizi integrativi, che in questi anni con successo sono stati sperimentati nel territorio nazionale.
Il dibattito politico però non ha messo al centro i sistemi educativi per l’infanzia ed è nostro preciso compito creare le condizioni affinché la proposta di legge arrivi presto al dibattito parlamentare, per questi motivi la FP CGIL impegna le proprie strutture e la CGIL tutta ad esplorare le condizioni di alleanze con l’ANCI, l’UPI, la Conferenza delle Regioni, oltre che, naturalmente la CISL e la UIL per lanciare insieme la proposta di legge e portarla nel dibattito delle aule parlamentari.

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