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Che l’immondenza napoletana debba sparire al più presto è un obiettivo su cui nessun essere dotato di razionalità può dissentire. Quindi via i rifiuti subito. I problemi sorgono sul come. Il nuovo governo ha intrapreso la strada “muscolare”; ha militarizzato la questione. Siti segreti, equiparati a quelli militari; e galera per chi si oppone. C’è un alternativa efficace? L’esperienza delle decisioni pubbliche offre una ricco campionario di soluzioni diverse. La democrazia partecipativa offre una vasta gamma di soluzioni, dal tradizionale referendum ai più recenti meeting town. In breve, la decisione è preceduta da una diffusa pubblicizzazione dei progetti, che vengono sottoposti al giudizio popolare in una procedura che consente la partecipazione e la raccolta di proposte alternative o correttive. E poi l’Amministrazione competente assume la decisione definitiva.
Compariamo le due procedure. La via militare presenta il profilo negativo d’essere di dubbia costituzionalità. Il carattere democratico dell’ordinamento implica – come diceva incisivamente Bobbio – che le decisioni pubbliche devono essere assunte in pubblico. La segretezza è dunque un elemento negativo. Per di più desta sospetti e questi alimentano opposizioni evitabili col dialogo e la spiegazione. Il divieto di opposizione è sicuramente contro la libertà di riunione. Come si possono vietare le manifestazioni? Come si può pensare di criminalizzare il dissenso? Sono già una violazione dello spirito della Carta i proclami lanciati in questi giorni da esponenti del governo e da Bertolaso, nella sua nuova veste di sceriffo: “è finita – sentenzia il neosottosegretario - la stagione della protesta”. E’ una strada efficace? La risposta è negativa perché la mancanza di una seria interlocuzione coi cittadini accresce anziché temperare l’opposizione, che viene alimentata anche dal senso di ingiustizia connessa all’unilateralità della decisione. Alla fine spesso questa via è anche quella più lunga.
La via partecipativa è apparentemente più faticosa. Anziché imporre facendo tintinnare le manette o roteando i manganelli, si convince coinvolgendo. Ad esempio, il reimpiego dello spazio lasciato libero dalle Torri gemelle a New York è stato deciso attraverso un meeting town. I progetti dell’Amministrazione sono stati pubblicati e poi discussi pubblicamente, in uno stadio, per un’intera giornata. Studi professionali legati a diverse associazioni (culturali, ambientaliste etc.) hanno prospetto integrazioni e correzioni. Il progetto alla fine è stato approvato con l’apporto di alcuni correttivi. Il grande vantaggio di queste procedure è che poi la decisione, al di là del contenuto, che non soddisferà mai tutti, sarà ritenuta accettabile perché adottata con un procedimento partecipato. Questo è il grande vantaggio della partecipazione: la legittimazione democratica della decisione. Inoltre, su di esse si crea un consenso medio che induce a considerare ingiustificata un’opposizione successiva, che viene vista come ostruzione.
Ed allora perché non dire subito quali sono i siti? Perché non indicare quali sono le ragioni che hanno condotto a sceglierli? Perché non individuare, fra le procedure partecipate sperimentate in casi analoghi, quella più veloce? Si potrebbe chiudere tutto in breve tempo e poi agire con rapidità. Anche perché le decisioni avrebbero il consenso della stragrande maggioranza degli italiani e degli stessi campani. Le decisioni partecipate alla fine son sempre le migliori e le più efficaci. Chi ha iniziato coi manganelli ha finito coi disastri. Quali lezioni aspettiamo ancora dalla storia per capire che la democrazia e la solidarietà sono incomparabilmente migliori e più efficaci dell’arroganza e della sopraffazione?
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