Andrea Raggio
Berlusconi ha parlato chiaro: cambio la Costituzione con la mia maggioranza e poi mi appello al popolo. Non è una minaccia da prendere sottogamba. Anche perché è accompagnata da un’accentuazione della campagna fatta d’intimidazioni, denigrazioni, seduzione, volgarità e pestaggi mediatici volti a delegittimare le istituzioni e logorare la tenuta democratica del Paese.
“La politica come immedesimazione (del capo nel popolo e del popolo nel capo) non ha bisogno di istituzioni: le sono di impaccio, anzi nemiche” ha scritto recentemente Gustavo Zagrebelski. Ecco perché Berlusconi preme soprattutto per ridurre l’autonomia e l’indipendenza delle istituzioni e imbavagliare l’informazione. Nei confronti del Parlamento ha utilizzato la legge elettorale che gli consente di nominare i deputati; per l’informazione provvede quotidianamente mediante la proprietà e il controllo delle reti televisive e l’intimidazione e l’aggressione ai giornalisti e ai giornali che non si piegano; nei confronti della magistratura e delle istituzioni di garanzia e di controllo, dalla Presidenza della Repubblica alla Corte costituzionale alla Corte dei conti, mira a cambiare la Costituzione.
E nei confronti delle istituzioni regionali e comunali? L’offensiva diretta a limitare la loro autonomia va sviluppandosi soprattutto con la manovra della finanza pubblica, lo svuotamento degli strumenti di partecipazione e la vanificazione delle loro prerogative e competenze. Della visione presidenzialista e populista della democrazia fa parte la trasformazione delle regioni da enti autonomi che concorrono a formare la Repubblica (articolo 114 della Costituzione) in amministrazioni “amiche del governo amico”. Questa è la trasformazione in atto nella Regione sarda, assunta come istituzione cavia della riforma berlusconiana. Non più, dunque, rapporti di pari dignità tra regioni e governo, ma regioni subalterne al governo compiacente. Non più democrazia mediata dalle istituzioni ma democrazia autoritaria. Così l’Autonomia speciale della Sardegna, ordinamento di autogoverno e di partecipazione alla politica nazionale finalizzato allo sviluppo economico e sociale, è destinata a essere cancellata. Non ricordo altro momento della vita autonomistica come questo che vede la politica regionale imprigionata nella gabbia del rapporto amicale tra istituzioni.
Bisogna reagire. Non basta lo Statuto a far vivere l’Autonomia, occorre salvaguardare la Costituzione che ne è all’origine e al tempo stesso ne è il garante. La ripresa dell’iniziativa sul nuovo Statuto offre l’occasione di tenere insieme, nel dibattito e nella mobilitazione popolare, la difesa della Costituzione e lo sviluppo dell’Autonomia. I consiglieri sardisti hanno presentato una proposta di legge regionale che indica procedure e linee guida per la redazione del nuovo Statuto, l’associazione degli ex consiglieri regionali ha raccolto in un documento i contributi scaturiti da un seminario svoltosi recentemente, contributi sono venuti da altri organismi. Non si parte da zero. E’ però indispensabile che partiti, organizzazioni sociali, strutture culturali e istituzioni regionali e locali non deleghino la questione agli addetti ai lavori ma la assumano tra le priorità della loro azione.
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