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“Il Lodo Alfano attribuisce ai titolari di quattro alte cariche istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo che non è desumibile dalle norme costituzionali sulle prerogative e che, pertanto, è privo di copertura costituzionale”. E’ questo uno dei passaggi più significativi delle motivazioni della sentenza, depositate ieri sera, con la quale la Corte Costituzionale il 7 ottobre scorso ha bocciato il Lodo Alfano.
La sospensione processuale prevista dal Lodo Alfano “é diretta essenzialmente alla protezione delle funzioni proprie dei componenti e dei titolari di alcuni organi costituzionali e, contemporaneamente, crea un’ evidente disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione. Sussistono, pertanto, i presupposti costituzionali, che determinano “l’inidoneità della legge ordinaria a disciplinare la materia”. La sospensione dei processi nei confronti delle quattro alte cariche dello Stato, prevista dal Lodo Alfano, determina la violazione del principio di uguaglianza per disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione” scrive ancora la Corte Costituzionale nel motivare la bocciatura dello “scudo”.
La deroga, infatti - evidenzia la Consulta - si risolve in una evidente disparità di trattamento “rispetto a tutti gli altri cittadini che, pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose, come quelle connesse a cariche o funzioni pubbliche (art. 54 Cost.) o, ancora più generalmente, quelle che il cittadino ha il dovere di svolgere, al fine di concorrere al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione)”
“Non è configurabile una preminenza” del presidente del Consiglio rispetto ai ministri “perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l’ unità, promuovendo e coordinando l’ attività dei ministri, e ricopre perciò una posizione tradizionalmente definità di ‘primus inter pares’ “. “Anche la disciplina costituzionale dei reati ministeriali - aggiunge la Corte - conferma che il presidente del Consiglio e i ministri sono sullo stesso piano”. Più avanti la Consulta aggiunge che allo stesso modo “non è configurabile una significativa preminenza dei presidenti delle Camere sugli altri componenti, perché tutti i parlamentari partecipano all’esercizio della funzione legislativa come rappresentanti della Nazione e, in quanto tali, sono soggetti alla disciplina uniforme dell’ art. 68 della Costituzione” sull’ immunità.
“Il legislatore ordinario, in tema di prerogative (e cioé di immunità intese in senso ampio), può intervenire solo per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione di tale dettato”. La sentenza richiamando proprie precedenti sentenze, mette in luce, così, la violazione dell’ art. 138 della Costituzione che disciplina la revisione costituzionale.
“Il legittimo impedimento a comparire ha già rilevanza nel processo penale” e, pertanto non appare necessario il ricorso al lodo Alfano per tutelare la difesa dell’imputato impedito a comparire nel processo per ragioni inerenti all’alta carica da lui ricoperta”. La Corte Costituzionale cita, al riguardo, altre precedenti sentenze della stessa Consulta, tra cui quella sul caso Previti (n. 451 del 2005). In definitiva, la Consulta ribadisce che anche per le alte cariche la tutela del diritto di difesa è già adeguatamente soddisfatta in via generale dall’ordinamento proprio con l’istituto del legittimo impedimento.
“La scelta del legislatore di avere riguardo esclusivamente ad alcune cariche istituzionali e di prevedere l’automatica sospensione del processo, senza alcuna verifica caso per caso dell’impedimento, evidenzia, dunque, che l’unica ratio compatibile con la norma censurata è proprio la protezione delle funzioni connesse all’ ‘alta carica’ “. Così la Consulta spiega perché ha ritenuto di non condividere una delle tesi centrali del Lodo Alfano, quella della sospensione dei processi per evitare alle alte cariche intralci allo svolgimento delle loro “rilevanti funzioni istituzionali”. La corte afferma che il lodo Alfano non sarebbe stato necessario ai fini del legittimo impedimento a comparite in un processo ricordando la sua precedente sentenza n.451 del 2005 (relativa al caso Previti) in cui la sospensione del processo per legittimo impedimento disposta in base al codice di rito penale “contempera il diritto di difesa con le esigenze dell’esercizio della giurisdizione, differenziando la posizione processuale del componente di un organo costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo automatico e generale”.
Alla luce di questa motivazione rimane da chiederci se il lodo Alfano sarebbe legittimo se adottato con legge costituzionale. Sè e no. Sì, se si dà risalto alla parte della sentenza in cui si richiama la mancanza di copertura costituzionale della disciplina bocciata. No, se si considera che la Corte ha ritenuto eccessivo e non necessario lo scudo processuale costituito dalla sospensione dei processi penali contro le quattro alte cariche dello Stato, senza alcun concreto esame dell’impedimento a partecipare alle udienze. Poiché il principio di eguaglianza è inviolabile anche la legge costituzionale non può comprimerlo senza ragionevolezza. Così sembra dire la Consulta. Ma non è certo che lo direbbe se il lodo venisse approvato con la procedura dell’aart. 138 Cost., ossia se divenisse legge costituzionale.
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