Andrea Pubusa
Ci ha provato Umberto Allegretti ieri a chiudere la forbice fra cittadino e straniero. Introducendo la seconda giornata del Convegno annuale dei costituzionalisti italiani, nell’Aula Magna della Facoltà di Giurispudenza di Cagliari. I punti d’attacco della questione sul piano giuridico sono due: partire dai diritti inviolabili, che sono riconosciuti all’uomo e non al solo cittadino (art. 2 Cost.) o dall’art. 10 che demanda alla legge di disciplinare la condizione giuridica dello straniero in conformità ai trattati internazionali. Dunque c’è un polo interno di tutela ed uno che promana dal diritto internazionale.
L’approccio al problema che muove dai diritti inviolabili dell’uomo sembra più promettente, perché risolve in radice la questione: di fronte ai diritti inviolabili non esiste il cittadino o lo straniero, c’è solo la persona a cui per il solo fatto d’esistere va riconosciuto un corredo di diritti inalienabili. In questa direzione i trattati internazionali aiutano più nell’articolazione della disciplina che nel determinarne la base, perché nel riconoscimento alla persona dei diritti inviolabili c’è già il fondamento del superamento della dicotomia cittadino/straniero. Il riconoscimento alla persona in quanto tale dei diritti inviolabili è un principio fondamentale dell’ordinamento e, come tale, ha una priorità logico giuridica rispetto alla disciplina della materia nel senso che questa deve necessariamente adeguarsi a quello e costituirne un coerente sviluppo.
L’art. 2 della Costituzione inoltre fà della nostra Repubblica un soggetto attivo nel riconoscere e promuovere i diritti inalienabili dell’uomo, mentre l’adeguarsi ai trattati internazionali evoca più l’idea di un’adesione ad una disciplina che viene da altri. Si sà poi che spesso ai trattati internazionali, se non c’è una condivisione reale e sostanziale, ci si adegua tardi e male.
Nella pratica, però, sopratutto in tempi bui come quelli attuali, con una maggioranza che vota leggi eversive della lettera e dello spirito della Carta e vuole modificarla, i trattati internazionali, le Carte sovranazionali diventano un riferimento essenziale nel contrasto dei respingimenti e delle altre infamie di cui governo e maggioranza si macchiano. Non a caso le prese di posizioni della UE e delll’ONU divengono sempre più un argine ad una maggioranza manifestamente razzista e discriminatoria.
Ma ci sono altri riferimenti normativi su cui fondare la chiusura della forbice cittadino/straniero? Per Allegretti c’è ed è rinvenibile nell’art. 11 Cost., che enuclea il principio pacifista (”L’Italia ripudia la guerra…”). La pace ha in sé la considerazione dell’altro come pari a se stesso. Ha alla base il riconoscimento della pari dignità degli uomini, cittadini e non. Anzi implica il superamento dell’idea di straniero. Anche qui torna al centro l’uomo, la persona umana, l’umanità. Viene bandita la violenza, la sopraffazione, prende risalto il dialogo, la soluzione insieme dei problemi. Cambia anche la prospettiva rispetto all’art. 10. Se quest’ultimo ci obbliga a conformarci ai trattati internazionali, l’art. 11 fa sì che l’Italia sia promotrice di pace e di discipline e azioni in favore del rispetto della persona. Qui, nel principio pacifista, c’è certamente il superamento del concetto di reciprocità, qualificato sabato da Onida come “reperto archeologico”: al non-cittadino si riconoscono diritti non perché il loro Stato ne riconsce di analoghi agli italiani, ma perché la nostra Costituzione così vuole e stabilisce. L’art. 11 dunque proietta l’azione dell’Italia in favore dei diritti alla persona dall’interno dell’ordinamento all’esterno, al livello internazionale, facendo dell’Italia un soggetto attivo per il supermaneto nel mondo della dicotomia cittadino/straniero. Frontiera questa su cui deve misurarsi il costituzionalismo moderno. Ecco, dunque, la convergenza di Allegretti con la relazione di Onida che sabato, nel concludere la sua bella relazione, rimetteva le sorti del costituzionalismo nella nostra epoca alla capacità di dare risposta a questo problema, che appare sempre più il punto dove si combatte una battaglia decisiva per lo sviluppo della civiltà giuridica e della civiltà tout court.
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