I costituzionalisti italiani a Cagliari: quali diritti per il non cittadino?

17 Ottobre 2009
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Andrea Pubusa

Che bel convegno quello dell’Associazione dei costituzionalisti italiani ieri ed oggi a Cagliari! Importante per il tema “lo statuto costituzionale del non cittadino”. Sì perché la cittadinanza, che evoca una posizione ricca di libertà e diritti, è collegata ad uno o ad altro Stato. Così la nostra Costituzione riconosce il principio di eguaglianza ai cittadini: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…” recita l’incipit di quel mirabile art. 3 della nostra Carta fondamentale che è uno dei pilastri del nostro ordinamento. I cittadini, appunto. E chi cittadino non è? La tendenza - consacrata anche dalle Corte costituzionale - è ad estendere i diritti fondamentali anche agli stranieri e agli apolidi. Ma per molti diritti vige il principio di reciprocità: l’ordinamento italiano riconosce agli stranieri i diritti che il loro Stato riconosce agli italiani.
Un principio apparentemente ragionevole, in realtà poco consono ad una Costituione democratica come la nostra. E se lo Stato straniero è autoritario e repressivo, come tanti purtroppo ce n’è? I loro cittadini (che tali in realtà non sono) devono essere maltrattati anche in Italia? Privati anche da noi dei diritti che il loro Stato nega a tutti e, dunque, anche agli italiani che per avventura si trovassero in esso? “Archeologia giuridica” dice giustamente nella sua bella relazione Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale. Principio del resto spesso mal invocato. Ricordate l’incivile gazzarra dei leghisti sulla costruzione di moschee in Italia? Niet, dicono, perché in taluni Stati islamici non c’è libertà di fare chiese cattoliche. Ma c’entra il principio di reciprocità? In Italia le moschee si possono costruire perché la nostra Costituzione riconosce la libertà di religione e di culto, libertà fondamentale per italiani e non.
E’ archeologia giuridica il principio di reciprocità e lo stesso istituto della cittadinanza - soggiunge Onida - perché si fonda su un “diritto di sangue”, che evoca ed è un rimasuglio delle vecchie distinzioni degli uomini in caste, ceti, mestieri, con diritti differenziati o senza diritti. Che senso ha tutto questo in un mondo che si globalizza? Con le comunità che si mischiano, con il meticciato culturale che diviene dominante? Eppure il principio di reciprocità e la cittadinanza resistono e anche nella nostra Carta costituzionale ce n’è traccia. In particolare il diritto di circolazione e soggiorno è riservato ai cittadini (art. 16).. E sono poi riservati ai cittadini i diritti politici: elettorato attivo e passivo spettano solo agli italiani. Veri paradossi, gli uni e gli altri, perché ci sono cittadini che vivono all’estero e non sono interessati a rientrare in Italia, dove hanno vissuto poco o niente e stranieri che vorrebbero entrare in Italia per viverci. Di più esistono persone che sono nate e sempre vossute in Italia e non possono acquistare la cittadinanza perché nati da stranieri irregolari. Mostruosità giuridiche, fonte di gravi disagi e umiliazioni, incompatibili con una Costituzione che pone la persona al centro della sua costruzione, con un ordinamento che riconosce all’uomo i diritti fondamentali ed inviolabili (art. 2).
Ecco dunque la flagrante cntraddizione fra libertà e cittadinanza. Il diritto di circolazione e soggiorno è espressione e in certo senso si confonde con la libertà personale. Come negarla ai non cittadini che tuttavia vogliono vivere, spesso vivono e lavorano in Italia da anni, spesso sono nati e vissuti solo in Italia? E come non prendere atto - dice con forza Onida - che chi preme alle nostre frontiere, lo fa per far valere diritti fondamentali e primari? Il diritto a sfuggire alla fame e alla miseria, quello di vivere in un ordinamento democratico.
E i diritti politici? Come non vedere la contraddizione fra il principio democratico e l’esclusione dai diritti politici per i non cittadini? Il principio democratico postula la partecipazione e l’elettorato attivo e passivo. Un ordinamento, per essere democratico, deve estendere al massimo la partecipazione, non può porre ostacoli ad essa, deve promuoverla. Tutta la battaglia per la democrazia è stata caratterizzata dalla lotta per l’allargamento del suffragio per renderlo universale, La democrazia non si giustifica jure sanguinis - osserva Onida - ma postula l’universalità dei diritti. E già le Carte internazionali si muovono in questa direzione.
Ecco le nuove frontiere del costituzionalismo. Estensione dei diritti fondamentali, di tutti, anche quello di circolazione e soggiorno, anche il voto e la possibilità d’essere eletti, devono spettare a tutti anche ai non cittadini, a condizione che siano parti della comunità di riferimento, perché vivono e lavorano in esso. E - ammonisce Onida - rivolto ai costituzionalisti italiani riuniti nel loro convegno annuale - o il costituzionalimo si misura oggi con questi problemi, facendone oggetto di una precisa battaglia. Pone al centro oa persona in quanto essere umano oppure viene meno alla sua funzione d’essere strumento di allargamento dei diritti e portatore tout court di valori di civiltà.

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