Carlo Dore jr.
Conclusa con la Convenzione nazionale di domenica scorsa la prima fase del congresso del Partito Democratico, le polemiche che stanno caratterizzando la campagna per le elezioni primarie attraverso cui verrà scelto il nuovo segretario del principale partito del centro-sinistra italiano suggeriscono alcune riflessioni sui possibili assetti che potrebbero delinearsi all’indomani della tornata elettorale del 25 ottobre.
Accordando la maggioranza assoluta dei consensi alla mozione che fa capo a Pierluigi Bersani, gli iscritti hanno chiaramente dimostrato di aderire alla proposta del “partito fortemente radicato e identitario”, capace di fungere da perno di un’ampia coalizione riformista che l’ex ministro dello sviluppo economico da sempre declina. Ora – a causa dei troppi bizantinismi imposti alla fase congressuale da uno statuto talmente elaborato da apparire, agli occhi di un osservatore obiettivo, in definitiva poco razionale – si deve rilevare come, dopo le primarie, potrebbero aprirsi tre differenti scenari, due dei quali potenzialmente qualificabili come autentiche “spine nel fianco” per il processo di rafforzamento del nuovo soggetto politico.
Se infatti gli elettori dovessero confermare l’orientamento espresso dai congressi di circolo, la “svolta a sinistra” più volte invocata da Bersani troverebbe la sua completa attuazione: liberato dall’influenza neocentrista esercitata da Rutelli e dagli odiati Teo-dem, ecco che il PD potrebbe promuovere, anche con la benedizione di Romano Prodi, la creazione di una vasta alleanza di tutte le principali forze di opposizione, capace di guardare tanto al centro quanto a sinistra. Insomma, si tornerebbe a cavalcare l’iniziale progetto del “Grande Ulivo”, impostato su quel modello di PD “formato PDS” in cui gran parte dei militanti ex diessini hanno ricominciato a credere dopo il tracollo del veltronismo e dell’idea del partito liquido.
Ma che succede se invece – sull’onda di una campagna congressuale sapientemente condotta più con la passione dello sfidante lanciato alla conquista della leadership che con la lucidità propria di un segretario uscente che mira ad essere riconfermato nella sua carica – Franceschini dovesse riuscire a convincere il popolo delle primarie a sovvertire le indicazioni degli iscritti? Al di là delle incertezze sulla futura identità del PD (Franceschini ha finora dimostrato un’indubbia abilità nell’apparire abbastanza antiberlusconiano da sfuggire all’etichetta di moderato, ed al contempo abbastanza radicato al centro da rassicurare quella fetta di elettorato cattolico che teme la svolta progressista), si verificherebbe il piccolo paradosso di un segretario che governa il partito contro la volontà degli iscritti, paradosso discendente da quel potenziale cortocircuito – più volte denunciato da D’Alema – tra determinazioni della struttura e risultato delle primarie che le sopra citate norme statutarie rischiano di innescare.
Tuttavia, se tanto lo stesso Franceschini quanto Bersani hanno tentato di scongiurare ogni possibile situazione di empasse impegnandosi reciprocamente a riconoscere come segretario il candidato che - anche senza ottenere la maggioranza assoluta dei consensi - “riporterà un voto in più” in occasione della competizione del 25 ottobre, Ignazio Marino sembra deciso a far valere fino in fondo il peso che i suoi delegati potrebbero assumere in seno all’Assemblea nazionale in caso di ballottaggio.
Ecco quindi che, accanto alle due situazioni su cui abbiamo finora ragionato, potrebbe delinearsi una “terza via”, difficilmente configurabile ma forse da non scartare, specie alla luce della svolta laica osservata dal segretario uscente negli ultimi giorni. Ipotizziamo infatti che Bersani ottenga alle primarie una maggioranza non tale da assicurargli una vittoria diretta: non è da scartare che la confluenza su Franceschini dei voti dei delegati facenti capo a Marino sia decisiva per garantire la riconferma all’ex vice di Veltroni. A quel punto il paradosso sarebbe duplice: Franceschini si troverebbe a dirigere il partito non solo contro la volontà dei tesserati, ma addirittura in violazione di quello che è l’orientamento espresso dalla maggioranza (seppure relativa) dei partecipanti alle primarie!
Solo fantapolitica? Forse. Quel che è certo è che, a seconda dell’esito che caratterizzerà le elezioni di domenica prossima, il meccanismo del “doppio binario congressuale” previsto dallo statuto rischia di gettare il PD nel caos. E, contrariamente a quanto affermava Michele Salvati in un bell’articolo apparso su “L’Espresso” all’indomani del famoso discorso tenuto da Veltroni al Lingotto, non si può certo sostenere che il caos sia democratico.
1 commento
1 Massimo Marini
16 Ottobre 2009 - 11:48
Tre considerazioni veloci (che sarebbe da sviscerare riga per riga quello che scrivi): 1. il meccanismo di scelta del segretario è stato votato dall’assemblea in tempi non sospetti; 2. la tempistica di cambio delle regole in corsa - a soli 10 giorni dalle primarie - è più che sospetta; 3. la svolta a sinistra (o progressista) del Partito in caso di vittoria di Bersani non so dove la vedi - dato che parleremmo (o “parleremo” che tanto il destino è segnato) di un Partito titubante sui diritti civili, sulla bioetica e sul metodo laico, con idee economiche e ambientali superate (o in fase di) in mezzo mondo, con una forma partito che poteva andar bene fino all’89 (forse). Per non parlare dell’alleanza con un UDC che siede in parlamento grazie ai voti di Cuffaro, e che è risultato prono al Vaticano come nemmeno la DC degli anni d’oro (vedi legge sull’omofobia).
Caro Carlo, la socialdemocrazia (che tu rievochi con il PDS e con il grande Ulivo) è morta. Prima ce ne renderemo conto, prima potremo riprendere a camminare in avanti nella strada tracciata dall’ottima intuizione del Partito Democratico. Si potrà riprendere a camminare in avanti con Bersani? Io non credo. Ma spero di sbagliarmi.
Per chiudere un consiglio: se vuoi leggere veramente un’idea di partito di sinistra moderno, ti consiglio di dare un’occhiata alla terza mozione, quella di Ignazio Marino, e di non fermarti al luogo comune (da te pretendo un po’ di più) che Marino sia solo il candidato della laicità e della bioetica.
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