Cristian Ribichesu
Sembra proprio che il buon funzionamento del sistema dell’Istruzione, dall’applicazione della nuova “riforma” scolastica, sia costantemente minato da incongruenze gestionali calate direttamente dall’alto, con evidenti ripercussioni negative a danno dei fruitori del servizio e dei lavoratori del settore. Il sindacato Anief, infatti, ha promosso il ricorso di alcune migliaia di docenti precari contro le ultime regole ministeriali per la scelta delle provincie in cui poter lavorare, vincendolo e producendo effetti che hanno diverse ripercussioni.
Ma andiamo con ordine.
Ad aprile 2009, come ogni due anni, gli insegnanti precari hanno aggiornato i propri punteggi nelle graduatorie ad esaurimento provinciali. Quest’anno, però, veniva introdotta una variante, e così si potevano scegliere, a discrezione del candidato e in modo non obbligatorio, da una a tre provincie in più che sarebbero servite per l’inclusione in graduatorie di coda delle stesse provincie.
Per intenderci, queste graduatorie, facoltative rispetto all’indicazione della principale graduatoria ad esaurimento provinciale, sono graduatorie che, indipendentemente dal punteggio personale dei candidati, vengono (o a questo punto dovrebbero essere) consultate solo dopo l’esaurimento della principale graduatoria provinciale dei lavoratori del settore (divisi per materie d’insegnamento e ordini di scuola), e solo allora in riferimento al punteggio personale.
Ora, il decreto ministeriale 42 dell’8 aprile 2009 indicava le norme dell’aggiornamento, ma un sindacato, il sindacato Anief, ha accolto le richieste dei docenti e del personale scolastico che, dopo aver inserito le facoltative e opzionali provincie di varie regioni d’Italia, per l’inserimento nelle graduatorie di coda, vuole che tali opzioni servano per un inserimento a pettine nelle principali graduatorie provinciali scelte come graduatorie di coda, in base al proprio punteggio personale della propria principale graduatoria di riferimento.
Certamente è giusto che in tutto il territorio nazionale, per dipendenti che lavorano per i ministeri, in questo caso per quello dell’Istruzione, venga riconosciuto il punteggio acquisito attraverso titoli e servizi indipendentemente dalla regione in cui si è lavorato, permettendo una mobilità equa in tutto il territorio italiano. Però è anche vero che per le migliaia di persone che hanno fatto ricorso al sindacato Anief per l’inserimento a pettine nelle provincie indicate, altre migliaia verranno danneggiate, o perché non hanno inserito le facoltative graduatorie di coda o perchè hanno operato le scelte in base a un ragionamento che non contemplava l’inserimento a pettine in altre provincie, e il tutto perchè operato, al momento dell’iscrizione, secondo la norma dettata dall’apposito decreto ministeriale (e del resto, ciò veniva ribadito, oltre che in un protocollo ministeriale di accompagnamento del decreto, anche nei moduli ufficiali d’iscrizione o aggiornamento del punteggio).
L’Anief ha vinto il ricorso con il TAR Lazio e davanti al Consiglio di Stato. Pertanto adesso si vogliono riformulare tutte le graduatorie provinciali con l’inserimento a pettine dei ricorsisti Anief. Ovviamente le conseguenze di questa modifica porteranno ulteriori disagi per alunni che stanno iniziando i programmi scolastici e per i lavoratori che, in base alle norme ministeriali dello scorso aprile, già stanno lavorando nelle scuole.
Certamente, ribadendo il concetto, è giusta la mobilità in tutto il territorio nazionale con il riconoscimento del punteggio maturato in qualsiasi regione italiana, certamente, però, in ragione della particolare realtà sarda si potrebbe obiettare che la mobilità per i sardi, e l’occupazione, soffre di numerose problematiche, se non anche la maturazione del punteggio in un’isola, e non vi sono dubbi sul danno arrecato dall’eccessivo taglio nel personale scolastico dalla finanziaria e dalla legge Gelmini, ma tralasciando questi aspetti, la domanda che ci si pone è se sia giusto che il personale scolastico che abbia compilato gli aggiornamenti secondo la norma, debba, poi, dover essere penalizzato per un ricorso posteriore che modifica le procedure d’inclusione nelle graduatorie provinciali.
Evidentemente, e con grande rammarico, in una triste visione d’insieme, le guerre fra poveri continuano, e manca una linea unica che coordini o tenti di tutelare tutti. Però, utilizzando un esempio tratto dal mondo del pallone, ci si dovrebbe chiedere se i problemi tra tutti i vari giocatori di una squadra alla fine non possano dipendere direttamente dall’operato dell’allenatore, o per rendere meglio l’idea dalla dirigenza.
In questa grande confusione, comunque, sembra permanere un punto fermo, cioè la critica negativa nei confronti della “riforma Gelmini”, che già contestata sul piano tecnico, indipendentemente dalle visioni politiche, per le ripercussioni didattiche e socio-economiche, sta ora scontrandosi con le oggettive difficoltà del reale mondo della scuola e inizia a perdere pezzi anche sul piano giuridico, con evidenti ulteriori danni per tutti i lavoratori della scuola.
2 commenti
1 angelo aquilino
14 Ottobre 2009 - 19:22
l’autore del post fa bene a mettere le virgolette alla parola riforma usata, impropriamente, per i tagli del ministro Gelmini alla scuola,all’università ed alla ricerca.e per il ritorno agli anni 1950. Il ministro non sa (è troppo giovane) cos’era la scuola in quegli anni.Io ho fatto studi elementari e medi tra la fine degli anni 1940 e gli anni 1950 e mi pare di assistere ad un vero e proprio flash back.
2 Cristian Ribichesu
15 Ottobre 2009 - 15:09
Gentile dott. Aquilino, la ringrazio per l’osservazione, e aggiungo che la riforma di un sistema del lavoro, e in questo caso il principale sistema educativo nazionale, per essere tale, dev’essere concertata e condivisa con e dagli stessi lavoratori del settore, quelli appunto che ne conoscono i meccanismi più nascosti, ma essenziali per il buon funzionamento della “macchina”, tanto per prendere spunto dal paragone utilizzato dal prof. Galli della Loggia lo scorso anno, sulle pagine del Corriere. Per dire, quest’anno, avendo tolto le ore di disponibilità nelle scuole secondarie di primo grado, ore che venivano usate anche per seguire in modo individualizzato alunni più problematici, o per coprire le ore di insegnanti assenti, capita che, per assenze improvvise del personale (la malattia non sempre avverte), gli alunni delle classi scoperte vengano divisi fra altre classi differenti, e allora sfido chiunque a dirmi se non sia vero che in molti casi si supera il numero massimo di 26 persone per aula, imposto dalla legge sulla sicurezza (e già contrario rispetto a una “riforma” che vede addirittura aumentare il numero minimo e massimo di alunni per classe). Incongruenze che limitano la buona gestione di un sistema complesso e vitale per la stessa democrazia.
Però, nel merito dell’articolo, aggiungo che proprio per queste incongruenze si creano divisioni fra i lavoratori, e le conseguenze di alcuni ricorsi, come questo del pettine, determinano differenze tra precari di serie A e precari di serie B (in questo caso tutti quelli che si sono attenuti alla norma all’atto dell’iscrizione), per la serie riparo un torto con un torto, richiamando il diritto all’uguale trattamento in ogni regione d’Italia, ma in realtà producendo disuguaglianze e negando lo stesso principio costituzionale sancito nell’art. 3. Le energie, invece, dovrebbero essere spese per la richiesta di una vera riforma che da una parte tenda all’innalzamento dei livelli d’istruzione e dall’altra alla soluzione dei problemi dei lavoratori che vorrebbero, semplicemente, rispettati i propri diritti.
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