Alessandro Galante Garrone: ricordo di un grande italiano nel 100° dalla nascita

1 Ottobre 2009
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Gianluca Scroccu

“In ogni caso io non apparterrei alla razza dei giacobini che tagliavano le teste, ma a quella di coloro a cui invece la testa veniva tagliata”. Così si definiva Alessandro Galante Garrone di fronte ai critici che accusavano lui e gli eredi della tradizione azionista di essere solo dei giacobini intransigenti incapaci di capire la politica. Questo grande italiano era nato a Vercelli il 1 ottobre del 1909, esattamente cent’anni fa. Entrato in magistratura nel 1933, anche perché il giudice era una delle poche professioni che non rendevano obbligatoria l’iscrizione al partito fascista, avrebbe aderito coraggiosamente al movimento di “Giustizia e Libertà” per diventare, dopo la caduta di Mussolini, uno dei principali protagonisti della Resistenza in Piemonte nelle file del Partito d’Azione.
Dopo la Liberazione avrebbe guidato con imparzialità l’organismo del Cln piemontese incaricato di valutare i ricorsi dei presunti collaborazionisti con il nazifascismo, tra cui Vittorio Valletta, di cui in seguito si sarebbero occupati direttamente gli Alleati. Del resto la sua carriera di magistrato si sarebbe caratterizzata sempre per il rigore giuridico ma anche per l’intelligenza, a differenza di altri suoi colleghi più conservatori, nel cogliere i sintomi di un Paese che doveva confrontarsi con questioni legate ai processi di secolarizzazione come nel caso del divorzio.
Nel 1963, dopo trent’anni, decise però di lasciare la magistratura per dedicarsi interamente alla carriera di professore di Storia del Risorgimento, prima all’Università di Cagliari e dal 1969 presso la facoltà di Lettere dell’ateneo torinese. Docente molto amato dagli studenti, i suoi lavori su Romme, Babeuf, Buonarroti, Cavallotti, Mazzini e Salvemini divennero presto degli studi di riferimento fondamentali per la storiografia, al pari dei suoi manuali di educazione civica su cui si sono formati, imparando ad amare la Costituzione, generazioni di studenti liceali ed universitari.
Fu uno dei massimi rappresentanti di quella cultura azionista, erede della tradizione di Gobetti, dei fratelli Rosselli, di Rossi e di Salvemini che, seppur legata alla breve stagione del Partito d’Azione, segnò una parte importante nel dibattito politico culturale dell’Italia repubblicana. Nei suoi articoli e nei suoi libri come “Il mite giacobino”, scritto insieme a Paolo Borgna che gli avrebbe poi dedicato nel 2006 una bella biografia, Galante Garrone avrebbe sempre sottolineato la centralità dei principi costituzionali, la necessità che i partiti rifondassero le loro ragioni ideali superando i clientelismi e la mancanza della democrazia tra gli iscritti, il dovere della lotta contro la corruzione e le mafie, l’impegno della laicità dello Stato, l’esigenza di un’amministrazione pubblica onesta con istituti di controllo autonomi rispetto alle maggioranze politiche contingenti. Centrale fu poi la sua opposizione contro l’affermazione artificiale di un presidenzialismo privo della necessaria cultura dei contrappesi istituzionali e insofferente verso la più rigida separazione tra i poteri. Battaglie politiche che gli costarono dure critiche da parte del centrodestra e della Lega, che a Torino arrivarono al punto di negargli la massima onorificenza della città, ma anche l’incomprensione di quella sinistra postcomunista che non ha mai fatto veramente i conti con la tradizione azionista e giellista se non attraverso qualche opportunistica citazione congressuale.
Sandro Galante Garrone ha insomma rappresentato la coscienza e l’impegno di chi ha sempre chiesto un’Italia diversa che mettesse al centro i valori costituzionali ispirandosi ad una religione civile compiutamente repubblicana. Alla sua morte, il 30 ottobre del 2003, l’allora presidente Ciampi lo ricordò come una persona cui l’Italia doveva essere grata. Per lui non furono organizzati funerali di Stato, come sarebbe ugualmente accaduto con Norberto Bobbio o Vittorio Foa, ma l’esempio della loro esistenza cristallina e il loro invito a costruire un Paese migliore restano più forti di qualsiasi diretta televisiva.

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