Gianfranco Sabattini
Lo studio delle disuguaglianze reddituali tra le regioni e, all’interno delle singole regioni, tra subaree, settori produttivi e gruppi sociali ha importanza strategica nella formulazione delle politiche pubbliche a sostegno della crescita e dello sviluppo locale, la cui attuazione assume i singoli territori come unità di riferimento. In Italia, lo studio della distribuzione geografica, settoriale e sociale del reddito pro-capite nella seconda metà del XX secolo ha evidenziato la presenza di una polarizzazione di natura multipla, nel senso che il reddito pro-capite si è polarizzato secondo modalità diverse.
La polarizzazione riconducibile al dualismo Nord-Sud ha presentato la stessa intensità di quella imputabile alle differenze della struttura produttiva delle regioni e un’intensità più forte di quella imputabile alle differenze strutturali esistenti all’interno delle singole regioni. Nell’arco dell’intero cinquantennio, tuttavia, come emerge dalle ricerche della Banca d’Italia, l’aumento della polarizzazione ha presentato una graduale riduzione nel corso del tempo, sin quasi ad annullarsi alla fine del secolo. La riduzione della polarizzazione complessiva non ha avuto un andamento lineare, in quanto all’interno dei cinque decenni considerati ha assunto profili diversi. Nel decennio 1951-1961 si è formata, sia pure in termini decrescenti, gran parte della polarizzazione complessiva dell’intero cinquantennio; nel decennio 1961-1971, la polarizzazione ha continuato a diminuire e la diminuzione si è accentuata rispetto al decennio precedente; nel decennio 1971-1981, ha presentato una sostanziale stazionarietà; nel decennio 1981-1991, ha cessato di diminuire; nel decennio 1991-2001, infine, ha ripreso a diminuire, affiancata da una riduzione delle disuguaglianze all’interno delle aree regionali e da un aumento, anche se contenuto, delle disuguaglianze tra le aree regionali.
Quale può essere l’interpretazione dell’andamento di lungo periodo del fenomeno della polarizzazione geografica del reddito pro-capite? La risposta può essere derivata dalla doppia influenza esercitata, innanzitutto, dalla politica di ricostruzione dell’economia nazionale dopo il secondo conflitto mondiale; tale politica ha certamente determinato le differenze delle strutture produttive delle singole regioni che, innestandosi sul preesistente dualismo Nord-Sud, hanno originato le ineguaglianze territoriali nella distribuzione del reddito pro-capite. In secondo luogo, dalla politica di ridistribuzione operata dallo Stato centrale a favore delle regioni arretrate che ha affievolito le ineguaglianze causate dalle differenze delle strutture produttive delle diverse aree regionali. Il peso delle politiche ridistributive attuate dallo Stato sulle disuguaglianze tra le regioni italiane e, all’interno delle singole regioni, tra le subaree, i settori produttivi e i diversi gruppi sociali è valsa a più che compensare la polarizzazione causata dal dualismo Nord-Sud.
La tendenza delle disuguaglianze all’interno delle singole regioni a diminuire può essere, invece, ricondotta al fatto che, sul finire del secolo, le forze propulsive esistenti all’inizio del cinquantennio considerato si sono attenuate, mentre è stato conservato un alto livello dell’attività ridistribuiva. L’esito finale dell’evoluzione delle disuguaglianze reddituali non è privo di significato ai fini dell’attuazione delle politiche pubbliche a sostegno della crescita e dello sviluppo locale (subregionale), in quanto l’esistenza di una condivisa equità distributiva del reddito pro-capite costituirà una condizione necessaria importante per il successo di quelle politiche.
Tuttavia, l’equità distributiva, oltre ad essere condizione necessaria del processo di crescita e di sviluppo, dovrà essere anche sufficiente e perché sia anche sufficiente occorrerà che si conosca, su basi realistiche, la polarizzazione del reddito pro-capite all’interno delle singole aree regionali rispetto alle diverse subaree, ai diversi settori produttivi ed ai diversi gruppi sociali in esse operanti e che sia determinato l’obiettivo condiviso di crescita e sviluppo di lungo termine che si intenderà perseguire; sin tanto che non si avranno informazioni puntuali a livello regionale sul fenomeno della polarizzazione del reddito pro-capite e sull’obbiettivo da perseguire, una politica orientata alla crescita ed allo sviluppo locale avrà scarse possibilità di successo per due fondamentali ragioni. In primo luogo, perché le decisioni riguardanti l’utilizzazione delle risorse disponibili che dovrà accompagnare l’attuazione della politica di crescita e di sviluppo locale, quando non saranno prese con il coinvolgimento degli operatori pubblici e privati locali sarà impossibile correrarle al perseguimento di qualunque obiettivo di crescita e sviluppo, quale che sia il modo in cui sarà stato assunto. In secondo luogo, perché l’assenza dell’indicazione partecipata dal basso di un chiaro obiettivo di crescita e sviluppo di lungo termine non consentirà un impiego ottimale delle risorse disponibili.
La conoscenza delle modalità di distribuzione del reddito pro-capite tra subaree, settori produttivi e gruppi sociali all’interno di ogni regione e la determinazione dell’obiettivo condiviso di crescita e sviluppo di lungo termine che si intenderà perseguire costituiranno, perciò, per qualsiasi governo regionale, un “passo obbligato”. In considerazione di ciò, il perdurare, come avviene in Sardegna, di procedure decisionali centralistiche varranno solo ad impedire o a rendere subottimale qualsiasi politica pubblica che sarà attuata per il sostegno del processo di produzione di nuova ricchezza e di sviluppo culturale all’interno dell’isola; e la probabile adozione a breve scadenza del cosiddetto “federalismo fiscale” in assenza di qualsiasi forma di decentramento istituzionale concorrerà solo a peggiorare la situazione esistente.
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