7 luglio 1960 eccidio di Reggio Emilia. Il sangue amaro “versato a Reggio Emilia è sangue di noi tutti”. Dal governo Tambroni al governo Meloni

7 Luglio 2024
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Alfiero Grandi

Il 7 luglio ricorre il 64° anniversario della manifestazione antifascista del 1960 a Reggio Emilia durante la quale la polizia sparò e uccise 5 persone, la crisi più acuta di un periodo inquietante per l’Italia. Dobbiamo ricordare anzitutto i morti in difesa delle libertà democratiche, conquistate a caro prezzo con la Liberazione del 1945.
Dice la canzone sui morti di Reggio Emilia: “Lauro Farioli è morto (uno dei 5) per riparare al torto di chi s’è già scordato di Duccio Galimberti”, eroe della Resistenza.

Rotta l’unità antifascista, era nato il governo Tambroni

Ricordare i morti di Reggio vuol dire tornare sul significato del governo Tambroni nato con l’appoggio del Movimento Sociale, partito che si richiamava al ventennio fascista. Il governo Tambroni rappresentò una grave sbandata politica della Democrazia Cristiana, che portò alla rottura dell’unità antifascista aprendo al Msi che cercava una legittimazione fino a quel momento negata.
L’antifascismo fino a Tambroni era il fondamento della nostra Repubblica democratica. In quel momento la democrazia italiana rischiò di deragliare e questo, senza parallelismi forzati, può aiutare a capire meglio alcune sfide attuali.
Il nucleo in sofferenza nel 1960 è antifascismo, Costituzione, democrazia. In modi diversi la sofferenza oggi riguarda gli stessi punti.
Non tutto quanto si muove all’estrema destra si richiama al fascismo, tuttavia ci sono organizzazioni come Casa Pound dichiaratamente fasciste che lavorano indisturbate e restano ambiguità preoccupanti in altri.
E’ più che mai necessaria una capacità di reazione politica e sociale capace di isolare, sconfiggere la parte incompatibile con la democrazia così duramente conquistata in Italia. Le rivelazioni di Fanpage su riti e raduni di Gioventù Nazionale viene sottovalutata, ridotta a folklore giovanile, ma è un errore, anche per la destra. Le giustificazioni del Ministro Ciriani in parlamento sui comportamenti di settori di Gioventù nazionale sono un inaccettabile e miope tentativo di sminuire questi episodi, che rappresenta un netto passo indietro rispetto alla svolta di Fini a Fiuggi.

La vittoria drogata delle destre

Il problema dei conti con il fascismo non è solo dichiararsi antifascisti, su cui ci sono le note difficoltà di Giorgia Meloni, ma assumere orientamenti e comportamenti che contrastino antiche tentazioni autoritarie della destra.
Oggi facciamo i conti con la vittoria elettorale delle destre nel settembre 2022 che è stata “drogata” da un premio di maggioranza del 15%, perchè le destre hanno ottenuto solo il 44% dei voti che hanno fruttato il 59% dei parlamentari, grazie ad una legge elettorale incostituzionale che altera il principio della parità di voto degli elettori. Alterazione ancora più grave perché avendo votato il 63% degli aventi diritto il 59% dei deputati e dei senatori è stato ottenuto dalle destre con il 28% del corpo elettorale.
Questa vittoria, avvenuta nel rispetto della legge vigente, avrebbe dovuto consigliare prudenza e moderazione, invece le destre, ad egemonia di Fratelli d’Italia hanno deciso di modificare la Costituzione usando in modo spregiudicato il vantaggio del premio di maggioranza per imporre le loro scelte, mettendo nel mirino la Costituzione del 1948 con l’obiettivo di introdurre una nuova fonte di legittimazione individuata nella delega ad una persona, ad un capo, a decidere.

Torniamo al luglio 1960

Il luglio 1960 è un’epoca lontana, forse sconosciuta a tanti. E’ stato un tornante importante per almeno una generazione perchè in quel periodo è entrata in sofferenza la democrazia antifascista dell’Italia.
Nel 1960 si sono presentati pericoli che si stanno ripresentando, sia pure in forma diversa, e l’atteggiamento verso la Costituzione ne rappresenta la cartina di tornasole democratica ed antifascista.
Ad esempio: l’antifascismo è un optional o invece è effettivamente – come dovrebbe essere secondo la Costituzione – una pregiudiziale per potere governare?
Dopo la 2° guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo fu eletta nel 1946 l’assemblea Costituente – per la prima volta in Italia votarono anche le donne – che ebbe il compito di elaborare una Costituzione per la Repubblica italiana, liberata dalla dittatura fascista. Inoltre il voto del 1946 scelse la Repubblica e bocciò la monarchia, compromessa con il fascismo.
La Costituzione aveva il compito di guidare la nuova Repubblica verso una società democratica dopo gli orrori e i disastri della guerra. I padri e le madri costituenti furono all’altezza del compito e scrissero una Costituzione antifascista, profondamente democratica, fondata sulla centralità del parlamento e sulla divisione dei poteri, in modo da evitare in radice il ripresentarsi il rischio di una dittatura e in particolare la dipendenza da un capo che tutto decide.
I diversi poteri dello Stato hanno garantita la loro autonomia e hanno le condizioni per impedire straripamenti degli altri poteri. Questa è la svolta rispetto alla dittatura fascista.

La Costituzione nel mirino

Anche a sinistra sulla Costituzione ci sono state troppe incertezze e tentazioni di cambiamento discutibili. Le modifiche approvate a volte hanno fatto danni come la riforma del titolo V del 2001, che ha dato vita ad un contenzioso mai visto tra Stato e Regioni e ha fornito alibi a Calderoli per l’autonomia differenziata. In sostanza ci si è fatti prendere dalla sindrome di attribuire alla Costituzione responsabilità che in realtà erano difetti ed errori della politica, cioè compiti dei governi e delle maggioranze.
Basta pensare alle promesse elettorali impossibili da mantenere per il loro impianto reazionario inadeguato a rispondere ai problemi. Per questo la Costituzione torna prepotentemente nel mirino e le vengono attribuite responsabilità e inadeguatezze che non le appartengono.
La Costituzione prevede il voto libero delle elettrici e degli elettori per il parlamento, per scegliere da chi farsi rappresentare, e lo fa salvaguardando l’equilibrio tra i poteri, ad esempio l’autonomia della magistratura, ed impedendo l’accentramento di tutto il potere nelle mani di una sola persona, chiarendo che non tutto può essere cambiato. Ad esempio la forma repubblicana non è disponibile, nemmeno se votasse diversamente la maggioranza degli elettori.
Il voto è fondamentale e deve essere libero ma non può legittimare qualunque scelta portando al deragliamento dai valori della Costituzione, come sembrava ritenere Berlusconi, che attribuiva al voto il ruolo di un salvacondotto totale.
La Costituzione italiana è un insieme di principi fondamentali come il diritto uguale per tutti alla salute, all’istruzione, al lavoro, alla tutela della vita sul lavoro, ecc. e, afferma, che la Repubblica è impegnata a rimuovere gli ostacoli che impediscono a tutti di esigere il rispetto di questi ed altri diritti fondamentali.

Chi vuol sostenere le élite economiche e finanziarie?

Settori economici e finanziari, internazionali e nazionali, da tempo premono per cambiare precetti costituzionali considerati ostacoli al libero movimento dei capitali nel pianeta e alla pretesa di plasmarlo a loro piacimento. Da questo pulpito è venuta una pressione per affermare il potere e i dettami delle èlites economiche e finanziarie, per condizionare la vita delle persone, al punto da considerare privatizzabili e di mercato diritti che dovrebbero essere invece non disponibili per la speculazione privata. Basta pensare alla salute, all’istruzione, ecc.
Le destre nella loro ansia di andare oltre la Costituzione antifascista sembrano non rendersi conto che finiscono con l’essere subalterne alle ideologie che puntano a mutuare le regole di governo accentrato ed autoritario delle imprese, rasentando il ridicolo quando affermano di muoversi contro i poteri forti. Abbiamo visto cosa è accaduto con la vantata tassazione degli extraprofitti delle banche: ritirata totale con perdite.
La Costituzione del 1948 è stata contrastata dall’inizio da un’area politica e sociale sostanzialmente nostalgica del ventennio fascista. Il tentativo di Fini a Fiuggi di superare definitivamente queste posizioni è purtroppo sostanzialmente fallito. Non a caso resistono a destra posizioni contro la Costituzione, le cui libertà sono viste perfino come un’occasione da usare per sovvertirne i fondamenti.
La democrazia è certamente in crisi di credibilità e forza, ma vanno distinti i tentativi di affossarla da interventi necessari per ridarle qualità e slancio e guarda caso gli obiettivi di fondo ancora da realizzare sono proprio quelli scritti nella nostra Costituzione.

Le destre vogliono una Terza repubblica al di là della Costituzione

Le destre al governo, trainate da Fratelli d’Italia, puntano ad arrivare a qualcosa di nuovo e diverso, definito come la terza repubblica italiana, evocando un modello decisionale accentrato ed autoritario, con l’obiettivo di uscire dall’alveo della Costituzione del 1948 per trovare altre fonti di legittimazione. In questo caso un voto popolare che tutto decide, senza neppure vincoli e controlli, ed elegge un capo a cui delega tutto, senza contrappesi e contropoteri.
In sostanza l’obiettivo è costruire una vera e propria capocrazia.
La fonte di legittimazione è individuata nel voto diretto per il Presidente del Consiglio (un succedaneo del Presidenzialismo) proposta a cui la destra è stata spinta dalla grande popolarità di Mattarella che rende difficile scontrarsi con un’opinione pubblica largamente favorevole al ruolo del Presidente della Repubblica, diventato centrale nel risolvere crisi difficili. Ma se andasse in porto il premierato voluto da Giorgia Meloni la conseguenza sarebbe che il potere concentrato nel Presidente del Consiglio renderebbe marginale il ruolo del Presidente della Repubblica.
La differenza balza agli occhi, il Presidente della Repubblica oggi punta ad evitare che la crisi di un governo, di una coalizione diventino la crisi politica della legislatura. Nel premierato di Giorgia Meloni se il capo viene sconfessato si torna a votare, il parlamento è eletto con lui e dovrebbe cadere con lui.

Una deriva che va contrastata in tutti i modi

Non è fascismo inteso come mero ritorno al passato, ma un forte accentramento autoritario sì, perché porta al superamento della divisione dei poteri e in particolare riduce il parlamento ad un ruolo subalterno e servente del governo, da cui sarebbe del tutto dipendente.
Contro queste scelte occorre usare tutte le possibilità offerte dallo stato democratico e dalla Costituzione, compreso il referendum, per contrastare una deriva che porterebbe nel tempo ad una cesura.
La crisi della democrazia, che oggi vede crescere al suo interno le forze che vorrebbero stravolgerla, è superabile rilanciando con determinazione i valori e l’impegno che l’hanno conquistata e questo è un problema tutto politico, di impegno, di determinazione e di lotta. Non è un problema di tecniche costituzionali ma di enorme spessore politico.

La ribellione di Genova, e non solo

Nel 1960 il governo Tambroni si reggeva sull’astensione del MSI che cercava una legittimazione malgrado fosse un partito che si richiamava apertamente al ventennio fascista e cercava di uscire allo scoperto con manifestazioni pubbliche e un congresso nazionale a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, che si ribellò. Ci furono scontri e tensioni fortissime. A Bologna a fine maggio 1960 fu sciolta con la forza una manifestazione in piazza Malpighi. La parte più drammatica fu il 7 luglio con i 5 uccisi a Reggio Emilia nel corso di una manifestazione repressa con violenza dalla polizia. Episodio figlio del clima di rivalsa della destra, dell’atteggiamento repressivo della polizia che all’epoca aveva non pochi inquinamenti del passato, di un pericoloso sbandamento della Democrazia Cristiana che pure era stata tra i fondatori della nuova Italia democratica.
Quella maggioranza e quel governo erano una rottura con la Resistenza e l’antifascismo che era la base comune delle forze che avevano dato vita alla Costituzione e alla Repubblica.
Come altri giovani della mia generazione decisi in quei giorni di impegnarmi politicamente, di manifestare lo sdegno per quanto accaduto, contro l’antiautoritarismo e la repressione. I morti a Reggio Emilia per molti giovani furono il momento della scelta, in tanti capimmo che dovevamo impegnarci, che era in corso un duro scontro sulla democrazia che ci riguardava e che andava riconquistato il discrimine antifascista.

Torniamo ancora alla Costituzione

Il governo Tambroni dopo i morti di Reggio Emilia restò in carica poche settimane.
L’eccidio di Reggio Emilia fu uno spartiacque nella vita di tanti, portò ad un impegno politico, una scelta di vita, di partecipazione, in continuità con la convinzione che il compito di ciascuno di noi è agire come cittadini protagonisti della democrazia in Italia.
Questo ci è stato consegnato dalla democrazia conquistata a caro prezzo dalla Resistenza e questo impegno deve continuare nel tempo perché nasce da quelli che Berlinguer definiva gli ideali della sua gioventù.
Anche ora occorre tornare ai fondamenti della Repubblica, della democrazia, della Costituzione, questa è la posta in gioco, certo in forme e condizioni diverse dal 1960.

 

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