Quattro rilievi per Renato Soru

21 Febbraio 2024
2 Commenti


Carlo Dore jr.

“I sostenitori della coalzione che fa capo a Renato Soru sono dei cretini o sono in mala fede”. Le parole del senatore pentastellato Licheri, inopportune e poco centrate, vanno ad infiammare gli ultimi giorni di una campagna elettorale che ha finora fatto emergere più le divisioni in seno a quel che resta dell’area democratica delle tante zone d’ombra che invece gravano sull’esperienza di governo della giunta sardo-leghista. Parole inopportune, si diceva, poiché il confronto non deve mai scadere nel truce attacco personale; parole poco centrate, perché finiscono con l’annacquare in una inevitabile ridda di polemiche una serie di nodi politici di estremo rilievo, proprio in ordine al percorso compiuto dalla coalizione sarda in vista della scadenza del 25 febbraio.
L’esame di questi profili problematici si traduce nella formulazione di quattro rilievi, dei quali, al netto delle verboserie da tribuna, è doveroso chiedere conto a Mr. Tiscali, alla luce del ruolo di primo piano da lui ricoperto nella storia recente della politica isolana.
Volendo procedere alla disamina di questi rilievi, occorre preliminarmente rammentare come la coalizione sarda (molto variegata nella sua composizione) nasca fondamentalmente dal rifiuto di sostenere un candidato “imposto da Roma” (meglio, imposto dalla Schlein e da Conte) senza passare dal lavacro lustrale delle primarie. Ebbene, ad un osservatore mediamente attento non sfugge che, tanto nel 2004 quanto nel 2009, la candidatura di Renato Soru alla carica di Presidente della Regione non fu preceduta dalle consultazioni primarie (Soru prese parte unicamente alle elezioni primarie riferite alla carica di segretario del nascente PD regionale nell’autunno del 2007: elezioni vinte, tra mille contestazioni, da Antonello Cabras). Di più: nell’ormai lontano 2004, fu proprio l’indicazione delle segreterie nazionali di DS e Margherita a imporre il nome di Soru come candidato governatore per la colazione “Sardegna Insieme”, superando in questo senso le resistenze manifestatesi in seno ai partiti a livello regionale sulla figura del “papa straniero”, resistenze esplose nella Convenzione dell’estate del 2003, tramite la quale si voleva individuare nel sardista Giacomo Sanna il competitor di Mauro Pili.
Nel 2009, invece, Soru si ripropose come governatore uscente, marciando sulle spoglie di una coalizione lacerata da anni di tensioni, e alimentata quasi esclusivamente dalla logica del “voto utile” per arginare le debordanti incursioni degli oplites del berusconismo, in quel momento all’apice del suo fulgore. Ad oggi, è dunque lecito chiedere: una candidatura creata proprio in aperta rottura con la suddetta logica non costituisce forse un tradimento verso quegli elettori che, solo quindici anni fa, accettarono di mettere da parte le loro perplessità verso una esperienza di governo fatta di ombre e luci, esclusivamente in nome dello spirito unitario?
Procedendo ulteriormente su questa linea di ragionamento, risulta difficilmente contestabile l’affermazione secondo cui Soru e il sorismo sono il prodotto di una stagione ben definita: quella degli “imprenditori prestati alla politica”; dei “capitani coraggiosi”; del tentativo, di parte del variegato mondo progressista, di battere Berlusconi replicandone il modello. In questa prospettiva, affascinava non poco la figura del “candidato anti-sistema”, del self-made-man capace di sparigliare le antiche logiche dei “burosauri” incardinati nei palazzi del potere, di affermare le virtù dell’efficientismo aziendalista sugli ingrigiti rituali dei signori delle tessere. A prescindere dalla lettura di quella stagione (in ordine alla quale è lecito nutrire opinioni differenti), è fuor di dubbio che essa abbia, in un arco di tempo lungo quasi un quarto di secolo, ampiamente esaurito la propria carica vitale. Ciò malgrado, il suo protagonista principale– dopo avere assunto quasi senza soluzione di continuità i ruoli di Presidente di Regione, di Segretario di Partito, di europarlamentare e di editore del principale quotidiano d’area – continua a indossare i panni dell’antisistema che si contrappone alla hybris dei colonizzatori continentali, indifferente al fatto di essere ormai diventato un relativamente cigolante ingranaggio di quello stesso sistema che dichiarava di voler superare.
Il riferimento all’antisistema apre la strada al terzo dei rilievi dianzi indicati. Da segretario del PD, Soru e molti degli attuali sostenitori della sua coalizione assecondarono in toto il progetto di riforma costituzionale elaborato dal governo Renzi, cedendo spesso, in occasione dei tanti dibattiti pubblici svoltisi sul tema, alla tentazione di liquidare come “preconcette manifestazioni di ostilità verso il Presidente del Consiglio” le obiezioni che una parte della stessa area democratica proponeva nel merito di tale riforma. Dalle posizioni assunte in siffatta congiuntura, è possibile ravvisare non solo una adesione acritica alla voluntas di Roma assai più intensa del legame rimproverato alla Todde rispetto al vangelo secondo Conte, ma anche e soprattutto l’adesione ad un modello di democrazia imperniato sul “culto del capo”, e come tale preoccupantemente vicino da quelli che sono i precetti del melonismo di governo.
Infine, anche l’argomento secondo cui: “se la destra vincerà, vincerà perché ha saputo convincere un maggior numero di elettori” suona poco persuasivo: non solo perché “i numeri sono numeri”, e le divisioni in seno al centro-sinistra non fanno che rendere più pesanti (anche in considerazione delle storture di una legge elettorale  che il centro-sinistra ha avuto la grave colpa – condivisa da Soru, al tempo segretario del PD – di non modificare) le percentuali di voto dello schieramento avverso. Ma soprattutto, in considerazione del fatto che una simile linea di ragionamento tende a leggere in termini di normale amministrazione sia le tante pagine opache da cui risultano scanditi i cinque anni della Presidenza Solinas, sia il malgoverno imposto da Truzzu alla città di Cagliari, resa meno sicura e meno vivibile da una serie di scelte imposte al di fuori di qualsiasi legittimazione democratica e malgrado le rimostranze di settori sempre più ampi della cittadinanza: plastica conferma di come la prospettiva di un candidato “riformabile”, espressione di un progetto aperto alla discussione, risulti sotto ogni angolo visuale preferibile alla conservazione degli assetti di potere al momento consolidatisi in Viale Trieste come in Via Roma.

2 commenti

  • 1 Aladin
    21 Febbraio 2024 - 07:34

    Anche su aladinpensiero: http://www.aladinpensiero.it/?p=151979

  • 2 aldo lobina
    21 Febbraio 2024 - 07:45

    Uno dei tanti rilievi mossi a Soru è l’indifferenza “di essere ormai diventato un relativamente cingolante ingranaggio di quello stesso sistema che dichiarava di voler superare”
    Ma perché il movimento 5 Stelle al di là del frinire di Grillo, che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, che cosa è diventato? Un partito che si è alleato indifferentemente con la destra leghista e ora col PD. Quanto al superamento di un sistema non c’è male!
    Quattro rilievi per Renato Soru all’insegna della incoerenza. Avrebbe apertamente abbracciato la capocrazia. A differenza dei 5 Stelle, di tutto il Movimento dico,” popolo bue” che si voleva obbediente al capo senza se e senza ma. Vero?
    Credo che se vogliamo trovare ombre, ne troviamo quante ne vogliamo. La politica ce ne riserva assai.Ce n’è per tutti. Si tratta di capire se le qualità superano i difetti.
    Quello che dovrebbe contare è la ricchezza di contenuti che ciascuno dei candidati porta in dote insieme al grado di affidabilità ritenuta sufficiente per trasformali in azioni di governo. Perché dovrei sentirmi più garantito dall’afasico PD sardo o dai 5 Stelle che lo rappresentano nella massima espressione di una candidatura assolutamente inadeguata?

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