Carbonia. Renzo Laconi. Dal Piano di lavoro Cgil al Piano Levi, dare organicità a studi e ricerche: l’acqua per l’agricoltura, il carbone per la produzione di energia elettrica, base dello sviluppo industriale. Lo spirito di Giommaria Angioy

21 Gennaio 2024
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Gianna Lai

Oggi, domenica, nuovo post sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Dice Renzo Laconi nella relazione introduttiva, “Diamo forma definita al Piano economico e sociale attorno al quale si muoveranno le nostre prossime iniziative fondate sulla Costituzione e sullo Statuto,… in una comune azione autonomistica che imponga il problema sardo all’attenzione del parlamento, del governo, del paese”. E dalla realtà drammatica dell’isola parte il suo discorso, “I disoccupati al 31 dicembre 1949, in Sardegna, sono 45.435”, in aumento di “20.000 unità, con un ritmo di licenziamenti di 1.600 -1.700 unità al mese”. Mentre si innalza forte “la voce dei tecnici e degli operai del bacino carbonifero che, da tempo,… hanno presentato un piano e indicato la via per la salvezza della loro industria”. Insieme agli artigiani della Gallura, agli industriali caseari e ai pastori. Il piano di Carbonia nel piano di Rinascita, nel piano generale di ripresa economica della Cgil, il piano di lavoro dentro le Assise per la Rinascita del Mezzogiorno. E poi lo spopolamento della terra, l’arretratezza dei sistemi di produzione e la deficiente organizzazione della vita civile, per denunciare come siano 215 i comuni privi di fognature, 68 quelli privi di acquedotti e 40 quelli privi di energia elettrica. Fino alla povertà della “famiglia di un nostro bracciante agricolo pagato 300 lire per cento giorni e disoccupato per il resto dell’anno”, in un’isola in cui “solo il 19% della terra è coltivato”. Questo il profilo sociale della Sardegna del tempo, il suo destino stabilito da “i due maggiori monopoli”: dell’energia elettrica, la Ses, e dei trasporti marittimi. Il primo fortemente contrastato dai movimenti popolari nelle miniere, anche per il “contratto capestro imposto alla Carbonifera”, il secondo per l’influenza che “hanno avuto le tariffe del trasporto… sul mancato sviluppo industriale dell’isola”. Mentre “un flusso migratorio costante porta via dalla Sardegna intellettuali, tecnici, operai in cerca di lavoro”.
Oggi lo “Statuto regionale, che è legge costituzionale della Repubblica, stabilisce l’impegno dello Stato a disporre, col concorso della regione, un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola”. L’autonomia, secondo “l’ispirazione che discende da un secolo di storia politica sociale e culturale sarda e che ha avuto nel movimento sardista il suo primo strumento di organizzazione”. Perciò “siamo rimasti nel quadro delle iniziative attuali” raccogliendo, nei loro elementi essenziali, il Piano Levi, le proposte degli ingegneri sardi ai Congressi di Napoli e di Milano, il Memoriale del Centro studi di economia agraria e “gli studi e le relazioni del cessato Alto Commissario o della Giunta regionale. Gli elementi nuovi consistono nel carattere di coerenza e organicità tecnica che abbiamo impresso al piano, e al respiro autonomistico e sociale che gli abbiamo infuso” E poi sulle campagne, per quanto riguarda le produzioni agrarie e le possibilità di bonifica, “in Sardegna la classe dei proprietari di terra non è riuscita a elevare il reddito delle sue terre,… da qui l’origine dell’attuale miseria della Sardegna e della sua arretratezza economica, del suo spopolamento: nel fatto che una borghesia imprenditrice non si è formata, nella deficienza di capitali e di iniziativa, nell’assenteismo che caratterizza i grandi proprietari di terra”. E’ tempo di “creare l’azienda agraria moderna,… la riforma fondiaria,… nella prospettiva di un vasto piano di riorganizzazione economica”. La bonifica deve procedere a spese dello Stato, ad opera di un unico ente regionale, “il popolamento… attuato sulla base dei piani di riforma fondiaria e di bonifica”, secondo un intervento dello Stato che affianchi l’iniziativa privata. “Rivedere la distribuzione della proprietà, immettere le nuove unità contadine, creare una nuova organizzazione collettiva”; così per l’allevamento, impegno verso “l’organizzazione di aziende agro-pastorali”. Fulcro del Piano, l’acqua e gli impianti idroelettrici, l’uso dei serbatoi, ad oggi, “pressoché esclusivo per scopi industriali, mentre si trascura qualsiasi utilizzazione agricola”, poiché “gli impianti sono gestiti da un gruppo monopolistico unicamente interessato alla produzione industriale ed estraneo agli interessi dell’agricoltura”. Significative invece le “possibilità termoelettriche,… oggi noi sappiamo che la Sardegna possiede una riserva di carbone di almeno mezzo miliardo di tonnellate” ed il Piano Levi “ha tra i suoi elementi essenziali la costruzione di una centrale termoelettrica per le esigenze della Carbosarda,” in grado di “modificare un indirizzo produttivo che si dimostra errato” per l’intera Sardegna. Così nei Convegni di Carbonia, di Iglesias e di Arbus, che pongono “il mancato sviluppo e la crisi attuale delle industrie metallifere in relazione con gli alti prezzi dell’energia elettrica e dei trasporti:.. si risolva il problema dell’energia attraverso lo sfruttamento del carbone Sulcis, in modo da consentire la trasformazione sul luogo dei minerali estratti”. Mentre, per quanto riguarda Carbonia, resta “subordinata alla creazione delle centrali termoeletriche ogni possibilità di ulteriore trasformazione chimica del carbone”, e alla rottura del monopolio elettrico il miglioramento del mercato dell’energia, a garanzia dell’avvenire industriale dell’isola. L’acqua per l’agricoltura, contro i programmi Ses che la destinano alla produzione di energia elettrica, il carbone per la produzione di energia elettrica, base dello sviluppo industriale. “Occorre far rivivere in noi lo spirito con cui Giomaria Angioy trasse, or è un secolo e mezzo, le plebi contadine in lotta contro la tirannia dei baroni”, questo il primo appuntamento fondamentale per tutti i sardi.

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