Gramsci e l’interventismo

16 Agosto 2023
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Andrea Pubusa

 

Tasca, Terracini, Togliatti come la quasi totalità dei compagni di università e di partito sono al fronte o nelle retrovie, e si sono liberati posti di lavoro. Così Gramsci può sciogliere il suo dilemma, università sì-università no,  e diventa redattore nel giornale del partito socialista. Dopo il catasto dei tempi della fanciullezza a Ghilarza, è il suo primo impiego, il suo primo salario, e questo gli dà una certa serenità; non deve più chieder soldi al padre, non deve ancora far la fame, e così i rapporti con la famiglia nell’Isola migliorano. Non soffre più la solitudine, trova una nuova famiglia nel partito, una comunità non casuale, ma conseguenza di una libera scelta ideale e politica

E’ in quel periodo di passaggio che Gramsci scrive “Neutralità attiva ed operante” su «Il Grido del Popolo» del 31 ottobre 1914. L’articolo ha suscitato una  forte discussione, perchè Gramsci avrebbe manifestato in esso  una propensione verso l’interventismo, in linea con le posizioni di Mussolini. L’allora direttore dell’Avanti!, con un intervento del 18 ottobre 1914 dal titolo “Dalla neutralità assoluta alla neutralità relativa ed operante“, prospettava la possibile partecipazione del proletariato alla guerra.
La materia era incandescente e la polemica scoppiò immediatatamente. Ad accendere le polveri fu Angelo Tasca con un articolo “Il mito della guerra”, su «Il Grido del Popolo» del 24 ottobre 1914. In questo contesto subito dopo interviene Gramsci. Ecco il suo articolo.

“Il problema concreto

Pur nella straordinaria confusione che la presente crisi europea ha creato nelle coscienze e nei partiti, tutti sono d’accordo su di un punto: il presente momento storico è di una indicibile gravità, le sue conseguenze possono essere gravissime, e perché tanto sangue si è versato e tante energie sono andate distrutte, facciamo in modo che il maggior numero possibile di questioni che il passato ha lasciato insolute venga risolto, e l’umanità possa ripigliare la sua strada senza che ancora tanto grigiume di tristezze e di ingiustizie le intralci la via, senza che il suo avvenire possa essere a breve scadenza attraversato da un’altra di queste catastrofi che richieda di nuovo un altro, come questo, formidabile dispendio di vita e di attività.

E noi, socialisti italiani, ci proponiamo il problema: «Quale dev’essere la funzione del Partito socialista italiano (si badi, e non del proletariato o del socialismo in genere) nel presente momento della vita italiana?».
Perché il Partito socialista a cui noi diamo la nostra attività è anche italiano, cioè è quella sezione dell’Internazionale socialista che si è assunto il compito di conquistare all’Internazionale la nazione italiana. Questo suo compito immediato, sempre attuale gli conferisce dei caratteri speciali, nazionali,che lo costringono ad assumere nella vita italiana una sua funzione specifica, una sua responsabilità. È uno Stato in potenza, che va maturando, antagonista dello Stato borghese, che cerca, nella lotta diuturna con quest’ultimo e nello sviluppo della sua dialettica interiore, di crearsi gli organi per superarlo ed assorbirlo. E nello svolgimento di questa sua funzione è autonomo, non dipendendo dall’Internazionale se non per il fine supremo da raggiungere e per il carattere che questa lotta deve sempre presentare di lotta di classe.
Del modo con cui questa lotta deve affermarsi nelle varie contingenze e del momento in cui deve culminare nella rivoluzione è solo giudice competente il Psi che ne vive e solo ne conosce il vario atteggiarsi.
Solo cosi possiamo legittimare il riso e il disprezzo con cui da noi furono accolti gli improperi di G. Hervé [antimilitarista francese, poi divenuto interventista - ndr] e i tentativi d’approccio dei socialisti tedeschi l’uno e gli altri parlanti a nome dell’Internazionale di cui si riputavano interpreti autorizzati, quando il Psi bandi la formula della «neutralità assoluta» [si riferisce alla richiesta di «neutralità assoluta» avanzata al governo italiano, nel luglio 1914, dalla direzione del partito e dal gruppo parlamentare socialista- ndr].
Le due neutralità
Perché, si badi, non è sul concetto di neutralità che si discute (neutralità, beninteso, del proletariato), ma sul modo di questa neutralità.
La formula della «neutralità assoluta» fu utilissima nel primo momento della crisi, quando gli avvenimenti ci colsero all’improwiso relativamente impreparati alla loro grandiosità, perché solo l’affermazione dogmaticamente intransigente, tagliente, poteva farci opporre un baluardo compatto, inespugnabile al primo dilagare delle passioni, degli interessi particolari. Ora che dalla iniziale situazione caotica sono precipitati gli elementi di confusione e ciascuno deve assumere le proprie responsabilità essa ha solo valore per i riformisti, che dicono di non voler giocare terni secchi (ma lasciano che gli altri li giochino e li guadagnino) e vorrebbero che il proletariato assistesse da spettatore imparziale agli avvenimenti, lasciando che questi gli creino la sua ora, mentre intanto gli avversari la loro ora se la creano da sé e preparano loro la piattaforma per la lotta di classe. Ma i rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione) non devono accontentarsi della formula provvisoria «neutralità assoluta», ma devono trasformarla nell’altra «neutralità attiva e operante». Il che vuol dire ridare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe, in quanto la classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilità obbligandola a portare fino all’assoluto le premesse da cui trae la sua ragione di esistere, a subire l’esame della preparazione con cui ha cercato di arrivare al fine che diceva esserle proprio, la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a riconoscere che essa ha completamente fallito al suo scopo, poiché ha condotto la nazione, di cui si proclamava unica rappresentante, in un vicolo cieco, da cui essa nazione non potrà uscire se non abbandonando al proprio destino tutti quegli istituti che del presente suo tristissimo stato sono direttamente responsabili.
Solo cosi sarà ristabilito il dualismo delle classi, il Partito socialista si libererà da tutte le incrostazioni borghesi che la paura della guerra gli ha appiccicato addosso (mai come in questi ultimi due mesi il socialismo ha avuto tanti simpatizzanti più o meno interessati) e, avendo fatto toccar con mano al paese (che in Italia non è tutto né proletario né borghese, dato il poco interesse che la gran massa del popolo ha sempre dimostrato per la lotta politica, e quindi è tanto più facilmente conquistabile da chi sappia dimostrare energie e visione netta dei propri destini) come quelli che si dicevano i suoi mandatari si sono mostrati incapaci di una qualsiasi azione, [potrà] preparare il proletariato a sostituirla, prepararlo ad operare quel massimo strappo che segna il traboccare della civiltà da una forma imperfetta in un’altra più perfetta.
Il caso Mussolini
Più cauto perciò, mi pare, avrebbe dovuto essere a.t. che sul cosiddetto caso Mussolini ha scritto nel passato numero del Grido. Avrebbe egli dovuto distinguere tra ciò che, nelle dichiarazioni del direttore dell’Avariti! era dovuto a Mussolini uomo, romagnolo (anche di ciò si è parlato), e ciò che era di Mussolini socialista italiano, prendere insomma ciò che di vitale poteva esserci nel suo atteggiamento e su quello rivolgere la propria critica, annientandolo, ovvero trovandoci il piano di conciliazione tra il formalismo dottrinario della rimanente Direzione del partito e il concretismo realistico del direttore dell’Avanti!
Il mito della guerra
Ma errato mi pare il nucleo centrale dell’articolo di a. t. (Angelo Tasca). Quando Mussolini dice alla borghesia italiana: «Andate dove i vostri destini vi chiamano», cioè: «Se voi ritenete che sia vostro dovere fare la guerra all’Austria, il proletariato non saboterà la vostra azione», non rinnega affatto il suo atteggiamento di fronte alla guerra libica che ha avuto come risultato quello che a. t. chiama «il mito negativo della guerra». In quanto si parla di «vostri destini» si lascia intendere quei destini che per la funzione storica della borghesia culminano nella guerra, e questa mantiene quindi più intensa ancora, dopo l’acquistatane coscienza del proletariato, il suo carattere di antitesi irriducibile coi destini del proletariato. Non un abbracciamento generale vuole quindi il Mussolini, non una fusione di tutti i partiti in un’unanimità nazionale, che allora la sua posizione sarebbe antisocialista. Egli vorrebbe che il proletariato, avendo acquistato una chiara coscienza della sua forza di classe e della sua potenzialità rivoluzionaria, e riconoscendo per il momento la propria immaturità ad assumere il timone dello Stato (a fare la […] una disciplina ideale, e permettesse che nella storia fossero lasciate operare quelle forze che il proletariato, non sentendosi di sostituire, ritiene più forti. E il sabotare una macchina (che ad un vero sabotaggio si riduce la neutralità assoluta, sabotaggio accettato del resto entusiasticamente dalla classe dirigente) non vuol certo dire che quella macchina non sia perfetta e non sia utile a qualche cosa.
Né la posizione mussoliniana esclude (che anzi lo presuppone) che il proletariato rinunzi al suo atteggiamento antagonistico, e possa, dopo un fallimento o una dimostrata impotenza della classe dirigente, sbarazzarsi di questa e impadronirsi delle cose pubbliche, se, almeno, io ho interpretato bene le sue un po’ disorganiche dichiarazioni, e le ho sviluppate secondo quella stessa linea che egli avrebbe fatto. Che cosa dirà il proletariato.
Io non so immaginare un proletariato che sia come un meccanismo al quale nel mese di luglio sia stata data la corda con la chiavetta della neutralità assoluta e che non possa essere nel mese di ottobre fermato senza che abbia a spezzarsi.
Si tratta di uomini, invece, che hanno dimostrato, specialmente in questi ultimi anni, di possedere un’agilità di intelletto e una freschezza di sensibilità quale la massa borghese amorfa e menefreghista è ben lontana dal solamente fiutare. Di una massa che ha mostrato di sapere molto bene assimilare e rivivere i nuovi valori che il rinato Partito Socialista ha messo in circolazione. O che forse ci spaventiamo del lavoro che bisognerebbe fare per fargli assumere questo nuovo compito, che forse potrebbe essere per lui il principio della fine del suo stato di pupillo della borghesia?
In tutti i casi la comoda posizione della neutralità assoluta non ci faccia dimenticare la gravità del momento, e non faccia che noi ci abbandoniamo neppure per un istante ad una troppo ingenua contemplazione e rinunzia buddistica dei nostri diritti”.
Fin qui l’articolo di Gramsci, poco lucido quanto si vuole, ma con dei punti fermi che non giustificano la critica permanente e dura dentro il partito e poi perfino nel PCd’I, e tantonemo giustificano i tentativi di avvicinare Gramsci a Mussolini e al fascismo.
Il punto incriminato è quello in cui Gramsci dice; “Ma i rivoluzionari che concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione) non devono accontentarsi della formula provvisoria «neutralità assoluta», ma devono trasformarla nell’altra «neutralità attiva e operante». “Il che vuol dire ridare alla vita della nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe, in quanto la classe lavoratrice, obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilità…”
Senza entrare nei dettagli della complessa questione, si può osservare che, in fondo anche Lenin, non fu per un neutralismo assoluto, ritenendo anzi necessario dare alla guerra uno sbocco rivoluzionario. Insomma, il neutralismo non poteva tradursi in inerzia e contemplazione degli accadimenti, ma implicava una azione organizzata volta a realizzare la conquista del potere da parte del proletariato. Una posizione in qualche modo statica, non puo’ durare a lungo e implica uno sviluppo. Il problema e’ vedere in quale direzione muoversi nell’interesse della classe lavoratrice.
A ben vedere, Gramsci, in modo non oscuro o reticente, questo punto lo affronta. laddove afferma che “i rivoluzionari…concepiscono la storia… come una serie ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della società…“, preparando così “il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione)“. Ecco perché  i socialisti non possono  assistere passivamente in modo distaccato agli eventi, alla lotta e alla guerra fra gli avversari, “non devono accontentarsi della formula «neutralità assoluta», che è solo “provvisoria”, “ma devono trasformarla nell’altra «neutralità attiva e operante», ossia orientata verso lo sbocco rivoluzionario. La distanza verso la posizione di Mussolini nella dinamica politica e’ ben visibile e non richiede particolare illustrazione: Gramsci va verso la rivoluzione della classe operaia e dei ceti subalterni, Mussolini verso la reazione.

 

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