Enrico Lai - Segr. Reg. RC
Ieri si e tenuto il Tavolo della Sinistra in vista delle elezioni regionali di febbraio. In attesa di conoscere i dettagli della riunione pubbichiamo sull’argomento un post del Segr. regionale di R.C.
E’ tempo di appelli, di ultime chiamate, di mostrare baratri e di brandire spauracchi sardo-leghisti come un feticcio. Se fosse solo quello, rientrerebbe nella normale prassi da ansia da prestazione procedurale per chi vede nei tempi stretti della prospettiva riguardante le prossime elezioni regionali un elemento di allarme da affrontare di petto per andare “dritti verso la vittoria”. Non mi sorprende e non sento di condannare apertamente queste impostazioni sebbene non condivida il modo e il punto di caduta e spiegherò con precisione il perché.
Mi preoccupano semmai due elementi centrali in particolar modo emersi da questa narrazione. Il primo è la denigrazione, minimizzazione e ridicolizzazione delle posizioni politiche della sinistra reale con un esplicito riferimento ad un’assunzione di responsabilità storica se questo “schieramento in chiave anti-solinas” non dovesse realizzarsi e dall’altro un elemento tutto politico che è l’unità “in sé e per sé” vista come un valore imprescindibile quasi da decontestualizzare.
Oggettivamente la ragione che induce alcuni nello schernire le posizioni della sinistra reale quando si afferma che l’elemento della guerra e delle sue ricadute economiche, o dell’attacco al mondo del lavoro (jobs act e art. 18), o che la privatizzazione della sanità sarda aperta dalla riforma “arru” è discriminatoria in una ipotetica alleanza qual è? Affermare che non c’è mai stato un “mea culpa” rispetto a certe azioni politiche è affermare il falso ed essere divisivi? Sostenere che l’alternativa di governo si costruisce su programmi e non sui commenti giornalistici dell’opposizione a trazione PD alla condotta del governo Solinas significa sostenere una follia e passare da frazionisti?
Quindi sento di dover affermare senza retorica che gli indirizzi degli appelli sono sbagliati. A parer mio il vero destinatario da circa 20 anni ha avviato un lento trasferimento di casa che è culminato circa 15 anni fa. Oggi è quasi irreperibile. Questo perché ha costruito il suo castello inespugnabile identitario, nel senso che si identifica col potere, con tanto di cinta muraria impermeabile.
Sento altresì di dover spezzare una lancia a favore di Andrea Pubusa che nei suoi ultimi articoli centra perfettamente il destinatario, appunto il Partito Democratico, e dice chiaramente che il “re è nudo”. Bene. Allora togliamo dal dibatto questo velo di ipocrisia, di falsità e spocchia lessicale nauseabonda che aleggia e lavoriamo sul chiaro senza affrettarci con l’etichettatura delle posizioni politiche. Capisco che nell’era della semplificazione sono necessarie parole ad effetto mutuate magari da qualche programma televisivo, ma almeno fra di noi, nel rispetto della nostra cultura politica, risparmiamocele.
Facciamo primeggiare la politica, la logica e la chiarezza e poi possiamo tranquillamente anche avere idee differenti nel rispetto reciproco delle proprie posizioni.
Sempre Andrea Pubusa sostiene che il Partito Democratico è quello della guerra, della riduzione dei diritti nel mondo del lavoro, dell’attacco alle pensioni, della privatizzazione dei servizi essenziali. Bene e giusto! Ma nonostante questo bisogna arrivare “pragmaticamente” a un accordo tecnico di programma col PD per sconfiggere la destra. Non mi trovo d’accordo ma apprezzo la chiarezza della posizione politica che nulla a che vedere con le semplificazioni di questi tempi citate poc’anzi.
Andiamo per ordine. “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”. Non lo sono mai stato un estremista, neanche quando da ragazzino rappresentavo gli studenti dell’Istituto Minerario di Iglesias. E non lo sono stato neanche in passati recenti quando ho promosso, incoraggiato e sostenuto alleanze nazionali e regionali del PRC con il PD. Da Soru a Pigliaru passando per Prodi con la convinzione precisa di poter incidere nell’agenda di governo. Oggi il PD non è quello di 15 anni fa così come non lo siamo nemmeno noi.
Mi son persuaso invece, in questi anni, del fatto che se si sta sul treno (accordo tecnico o alleanza politica) si riesce forse a rallentare la velocità del treno ma non si riesce a cambiare la direzione. Perché i pesi politici in campo non permettono diversamente. Quando siamo stati quelli che “volevano far rispettare ciò che c’era scritto nei programmi” eravamo apostrofati come quelli che “volevano far deragliare il treno e aprire le porte alla destra”. Quindi il rischio della “ruota di scorta del PD” palesato da alcuni è qualcosa di più che un rischio francamente.
Quindi la questione centrale oggi a me pare una sola, ovvero la direzione del treno. Questo elemento risulta palese e plastico nel galoppante astensionismo, nello spostamento repentino dei flussi elettorali da un mese all’altro. Ci siamo mai chiesti nel profondo come la “quota 100” di leghista memoria sia stato un provvedimento apprezzato e sostenuto politicamente trasversalmente dalle lavoratrici e dai lavoratori?
Ci siamo mai chiesti di come “il reddito di cittadinanza” pentastellato sia stato ampiamente sostenuto anch’esso politicamente e trasversalmente da disoccupati e inoccupati?
Nell’analisi della società emerge una grandissima domanda di cambiamento che si basa principalmente sulla giustizia sociale, la riduzione delle diseguaglianze, l’incremento dei salari, la riduzione dell’età pensionabile e il funzionamento di trasporti, scuole e ospedali pubblici.
La dismissione della rappresentanza di queste istanze da parte del Partito Democratico ha aperto una scollatura tra bisogni e rappresentanza politica. Non ci si deve sorprendere quindi se il M5S prima e la destra poi vinca le elezioni. Quindi è possibile un’alleanza “in sé e per sé” in chiave “anti-solinas” senza sciogliere il punto di chi si rappresenta e cosa fare? E’ un percorso che è possibile fare così semplicisticamente a 7 mesi dal voto? Penso di no. E’ un nodo più politico e di cultura politica che elettoralistico.
Quindi il “che fare?” è d’obbligo e dev’essere espresso credo con chiarezza e in taluni casi anche con radicalità. Il nodo è porsi l’obiettivo di rappresentare il conflitto sociale in essere senza giravolte elettoralistiche che va dal mondo salariato, disoccupati sino ad arrivare ai comitati della salute, dei trasporti, della scuola e della dismissione delle basi NATO. Con chi farlo mi pare evidente. Penso a questo spazio politico non settario e senza etichette di sorta che coinvolga il mondo e le forze della sinistra storica, dell’autonomismo, del federalismo, dell’indipendentismo e ambientalismo da sempre impegnati in battaglie comuni. La costruzione di una sinistra autonoma politicamente e culturalmente degna di questo nome, così come avvenuto in altri Paesi europei, dev’essere l’obiettivo imprescindibile di lungo corso per rappresentare il conflitto sociale in atto.
Carichiamolo quindi di contenuti concreti. Uno su tutti la proposta di legge sarda fatta dal PRC sul “reddito minimo garantito contro la precarietà e la disoccupazione” su cui si stanno raccogliendo firme in tutta la Sardegna sotto forma di petizione già scritta in ogni suo articolo. Qui il testo https://chng.it/cV4wDFnv . Una riforma della sanità che abbia come obiettivo specifico in 5 anni di tagliare il 100% dei fondi alla sanità privata e reinserirli nel pubblico. Una riforma elettorale con un proporzionale puro così come la presentammo pubblicamente con altri soggetti a maggio dell’anno scorso, anch’essa scritta in ogni suo articolo. La creazione di un modello energetico pubblico-regionale che entri nell’ambito della transizione energetica dal fossile alle rinnovabili così come avvenuto in Valle d’Aosta e la riconversione delle basi militari in Sardegna. Non sono temi posti oggi per le scadenze elettorali ma chi doveva rispondere presente ieri era sempre irreperibile così come lo è oggi.
Allora apriamo il dibattito e rendiamolo pubblico senza remore di sorta, senza steccati, analizziamo la società sarda nelle sue fragilità e malattie e proponiamo le cure. Non per scoprire chi ha ragione o torto ma per parlare del futuro della Sardegna che mi sembra ben più importante.
Alla luce di ciò credo che procedere con forme caricaturali di marchiatura sprezzante delle culture politiche non agevola il dibattito e non aiuta la costruzione di momenti ed elementi unitari, anche prescindendo dal momento elettorale per sconfiggere politicamente la cultura di destra, anzi va nella direzione diametralmente opposta e non fa bene a nessuno.
Mentre scrivo la sinistra in Spagna è saldamente sopra il 10% e insinua VOX. Con quel peso nel precedente governo col PSOE hanno ottenuto diversi risultati. Uno su tutti di aumentare le pensioni minime e incrementando le pensioni più in generale tassando le super pensioni. Anche questi sono risultati ma soprattutto sono pesi!
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