Quei silenzi sulla Autonomia regionale

7 Gennaio 2023
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Massimo Villone



N el discorso di fine anno il presidente Mattarella ha inteso ricondurre nell’alveo di una normalità costituzionale eventi - come la destra a Palazzo Chigi - che sono un tornante davvero stretto nella storia della Repubblica. Nella sua posizione un atto dovuto, che comunque non gli ha precluso passaggi politicamente significativi, alcuni anche per il Mezzogiorno. Particolarmente apprezzabile, ad esempio, la menzione del servizio sanitario nazionale, “presidio insostituibile di unità del paese”, che va rafforzato guardando ai bisogni della persona “nel territorio in cui vive”. O il richiamo ai divari territoriali - tra cui quello tra Nord e Sud - che “creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza”, e che l’art. 3, secondo comma della Costituzione impone di correggere. Su un piano più
generale, è significativa la sottolineatura della “nostra primaria responsabilità nell’area che definiamo Mediterraneo allargato, il nostro rapporto privilegiato con l’Africa”.
Condividiamo. Ma i primi passi del governo in carica vanno in altro senso. Lamentavamo che il governo Draghi guardasse a Nord, con ben poca attenzione per i divari territoriali e le diseguaglianze. Nulla cambia con la destra a Palazzo Chigi. In specie, il governo Meloni al momento non sembra avere alcuna nuova declinazione della questione meridionale. Anzi, assistiamo a qualche teatrino.
Il 
29 dicembre il ministro Calderoli annuncia trionfalmente di avere mantenuto la promessa di far pervenire a Palazzo Chigi entro la fine dell’ anno il suo ddl di attuazione dell’art. 116.3 Cost., sull’Autonomia differenziata. Sta passando la legge di bilancio con i commi 791 e seguenti, sulla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Nella sua alluvionale conferenza stampa Giorgia Meloni si diffonde sul presidenzialismo che definisce in qualsiasi forma una sua priorità, ma non dice una parola sull’Autonomia differenziata.
Un gioco delle parti concordato con lo stesso Calderoli? Ne dubitiamo. Se non lo è, fino a quando Meloni potrà fingere di non vedere che l’Autonomia differenziata corre, mentre il presidenzialismo è fermo ai blocchi di partenza? Fino a quando potrà fingere di non sentire gli entusiastici cori leghisti - a partire da Zaia - che inneggiano a Calderoli? Fino a  quando il Capo dello Stato potrà fingere di ignorare che il richiamo costituzionale all’eguaglianza e alla solidarietà può ridursi a un mero flatus vocis?
Nell’ultima versione del ddl Calderoli non c’è alcuna vera novità. Si consegnano le intese interamente alla trattativa tra esecutivi, salvo parere non vincolante e sottoposto a un termine tassativo di trenta giorni della commissione bicamerale per le questioni regionali su uno schema di intesa preliminare.
Lo s
chema definitivo, sottoscritto dal presidente del Consiglio e dal presidente della Regione, viene poi allegato a un disegno di legge governativo “trasmesso alle Camere per l’approvazione, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma , della Costituzione” (art. 2, comma 8). È scomparsa la formula  della “mera approvazione presente nelle prime stesure. Ci si affida ai presidenti delle assemblee, magari a  una questione di fiducia su un disegno di legge in unico articolo recante l’intesa in allegato.
Il ddl precisa (art. 3) che nelle materie Lep non si trasferiscono risorse umane, strumentali finanziarie prima che i livelli siano stabiliti (art.4). Ma qui siamo al gioco delle tre carte. Perché il ddl non dice quali sono le materie o gli ambiti co perti da Lep, dove arrivi la copertura, quanto pesi sulla finanza pubblica, con quali tempi. Richiama gli art. 791-801 della legge di bilancio, che però a loro volta tacciono sul punto e solo definiscono un percorso tecnico-burocratico. Ne risultano in ogni caso emarginate le assemblee elettive. La sintesi è una sola: si vuole fare l’Autonomia differenziata senza alcuna previa discussione parlamentare di quanto e come le donne e gli uomini di questo Paese abbiano diritto di essere uguali, di quanto e come si può mantenere il paese unito. Tra l’altro prescrivendo l’invarianza di spesa, ma garantendo alle Regioni il livello di finanziamento pregresso, e quindi la spesa storica. Infine, applicando la legge anche alle iniziative assunte prima dell’entrata in vigore (Veneto, Lombarda, Emilia-Romagna: art. Il).La politica e le istituzioni del Sud =protestano, e hanno ragione. Ma fin quando lo faranno in ordine sparso, conteranno poco o nulla. Mattarella ammonisce che dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani. Giustissimo. Il problema è averli, gli occhi.

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