Gianna Lai
Anche questa domenica un post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.
“Il bacino di Carbonia è grandissimo, c’erano tanti pozzi sparpagliati per la valle fino al mare l’impressione più grande il primo giorno che sono arrivato lì era che della miniera non si vedeva niente si vedeva solo quell’affare la grande torre di ferro non si vedeva altro poi tutto sotto c’è la miniera ci sono i pozzi quando uno va sotto si trova di colpo in mezzo a questo grandissimo formicaio che è come una città sottoterra e io mi chiedevo ma dove va tutta questa gente che scende giù vedevo i minatori a centinaia scendere giù dentro le gabbie che poi a un certo punto sparvano giù tutti nei fornelli negli avanzamenti ognuno nella sua squadra sparivano giù tutti” Lo stupore del giovane appena arrivato, nell’immedesimazione che Nanni Balestrini fa di sé, indossando i panni dell’operaio al suo primo giorno di miniera, su “Carbonia eravamo tutti comunisti”, uscito presso l’editore Bompiani nel 2013. Così, senza punteggiatura e senza l’uso della maiuscola, quindi, il tono reso ancor più incalzante dalla semplice descrizione dei luoghi, del lavoro e dei modi di aderire al sindacato e al partito, nei brevi paragrafi che cadenzano il racconto .
I giovani di Carbonia sono innazitutto giovani minatori, non può essere diversamente, basato il sistema di lavoro più sulla forza fisica del singolo che sulla modernizzazione tecnologica. E manca a Carbonia una scuola per minatori, del tutto approssimativa la formazione professionale prima dell’ingresso in galleria, in galleria gli anziani insegnano ai giovani, prima di tutto le regole della sicurezza, che si fondano sulla solidarietà e sul rispetto degli gli altri lavoratori.
Ed occorre molto tempo, come sostiene l’antropologa Paola Atzeni “per diventare un bravo minatore, una vita di lavoro [che] presuppone doppia verifica, di ordine tecnico e di ordine etico….: egli deve…… rispettare le norme etiche e solidaristiche che riguardano la sicurezza. Quel lavoro in miniera a mettere in evidenza il senso dell’uguaglianza fra gli uomini, che fonda la relazione nella squadra, secondo i turni e le mansioni: crescere culturalmente nell’apprendimento del mestiere, nell’affidarsi, i giovani, ai più maturi, nella capacità degli adulti di trasmettere nozioni e comportamenti, una vera costruzione di responsabilità che attraversa le giovani generazioni pronte, a loro volta, a istruire i nuovi. Così si diventa buoni minatori, “il lavoratore capace…… godeva della stima dei compagnai di lavoro, di un prestigio sociale riconosciuto”….., secondo la filosofia del minatore anziano: “impàri, impàri a diventare uomo, impàri a far lavorare il cervello, la testa oltre che le mani, ed hai un certo diritto di fronte all’azienda: tu sei una persona che sa fare”. Dove “(nel sottosuolo) mancano gli elementi dello spazio atmosferico….e il tempo sembra quasi perdere ogni determinazione”. Nel sottosuolo, il riconoscimento del tuo ruolo, il legame che prosegue all’esterno, come raccontano anche i testimoni tra gli operai. I loro amici più giovani, spesso giovanissimi dato che eludendo i controlli molti entravano in miniera prima di aver compiuto i 18 anni, onde raggiungere un salario pieno, costantemente sotto controllo e seguiti anche fuori dalla miniera, per tenerli lontani dalla violenza e dal degrado della periferia. E sostenuti, quando iniziano i licenziamenti di massa, dando valore “alla concreta e storica socialità di rapporti in cui i minatori hanno vissuto, e vivono, nel lavoro e nel tempo libero”.
La trasformazione investe la gioventù sulcitana, nel passaggio dalla campagna al cantiere e alla città, fino a modificarne totalmente condizioni di vita e di lavoro e punti di vista. Mentre sembra voglia quasi cancellarne il passato sguarnendo il paese, la miniera stessa ad aggravare la povertà delle campagne e la crisi dei furriadroxius, col richiamo continuo di masse sempre più ingenti di manodopera giovanile in città. Come dice ancora la prof. Paola Atzeni, parlando degli insediamenti minerari in Sardegna già prima di Carbonia, si tratta di un processo legato a “un complesso di mutamenti che concernono non solo le tecniche e i modi di produzione, la mobilità territoriale e professionale …, ma anche la formazione di nuovi rapporti sociali e istituzionali”. Perché “il processo di industrializzazione è un momento di cambiamento globalmente inteso, ….comprensivo sia degli aspetti tecnico produttivi, sia degli interessi pratico-politici, sia degli orientamenti ideali e culturali,……un processo di costruzione di modalità e contenuti culturali connessi alla formazione di una coscienza di classe e all’estrinsecarsi di una prassi politica correlata a un progetto di cambiamento, che nel vivo della storia del lavoro dei minatori trovava origine e riferimento” Ed è “acquisizione di valori e di coscienza da parte di un gruppo di lavoratori, subalterni economicamente e culturalmente”, in netto contrasto con l’arrivo da tutte le parti d’Italia, autorità e la sua “rappresentazione ideologica…inferiorizzante”. In quei testi già citati, chiare le parole della professoressa Atzeni che commenta l’Inchiesta parlamentare sulle miniere del 1906. Interessanti per come ancora si attagliano all’ideologia imperante nel Sulcis, pur in tempi assai diversi, i tempi dell’Italia repubblicana: “la rappresentazione del lavoro e dei lavoratori sembra collocarsi, senza grandi cambiamenti, nell’universo dei valori tradizionali compresi i rapporti di dipendenza e di dominio, di subalternità e di egemonia…….per devalorizzare i subalterni e per legittimarne la subalternità”, onde “confermare la dominazione economica, sociale e culturale”.
Così, contro la durezza del distacco tra dirigenti e operai in miniera e nella vita in città, del tutto spaesante per i nuovi arrivati, i più maturi denunciano ai giovani il carattere tutto ideologico della divisione degli spazi, dirigenti impiegati operai, (”quelli che erano sposati avevano una casa per sè oppure insieme a un’altra famiglia oppure gli scapoli come ero io vivevano in albergo io vivevo all’albergo Tre e dopo un pò ero riuscito ad avere la cameretta da solo perchè altrimenti si era in tre o in quattro per camera c’era gente che veniva da tutte le parti d’Italia e c’erano che venivano lì da tutti i paesi dalla Jugoslavia e dalla Tunisia venivano lì da tutti i paesi”, denuncia “l’operaio” Balestrini), volta a impedire una sia pur minima, involontaria, promiscuità.Volta a segnare, chissà, privilegi di casta, determinati da paghe che si chiamano salario per gli operai e stipendi per gli impiegati. E direttori generali e consiglieri di amministrazione residenti a Roma, per non essere immischiati nel quotidiano della città, neppure in occasione di trattative sindacali importanti, cui resta delegata l’Associazione Industriali di Cagliari, ugualmente classista e ostile alle maestranze. Per non dire della inquietante vicinanza di polizia e forza pubblica, questa la civiltà dell’azienda di Stato, se non fosse per la forza delle lotte sindacali fondate sulla dignità del lavoro, fino alla significativa rivendicazione del potere di controllo sulla stessa attività produttiva nella miniera. Se non fosse per il rimescolamento provocato, di lì a poco tra i giovani stessi, dalla frequenza in massa della scuola, in particolare negli anni successivi, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. E’ la cultura dell’istruzione che i minatori e le loro famiglie hanno appreso e apprendono durante le lotte popolari e che riempie in città le aule scolastiche già prima dell’istituzione della Media dell’obbligo: a Carbonia, “il maggior centro industriale dell’isola”, vanno a scuola in massa anche le bambine e le ragazze, quando nei paese e nelle campagne della Sardegna la scuola è ancora un lusso per i più. Flusso migratorio ed elevata natalità, “una città giovane con una popolazione giovane”, come la definiscono su Rinascita Sarda Pietro Cocco e Pietro Doneddu, dando il quadro del cambiamento e della trasformazione.
E su Carbonia città operaia, a far riemergere la vitalità di una massa, a dar testimonianza di giovani persone e ambienti, di come si articola il processo di costruzione della classe operaia nel territorio e della sua crescita culturale, una bella galleria di immagini da “Carbonia in chiaro scuro”, già citato : ragazze e i ragazzi durante l’uscita in piazza, il ballo nei dopolavoro con gli abiti più eleganti, le ragazze sulla vespa, di fronte ai cinema e di fronte all’edicola de L’Unità. E poi le ragazze e i ragazzi nel vagone aperto del treno merci, con le gambe penzoloni, verso il mare di Sant’Antioco, Cussorgia e Calasetta.
E, a imitazione degli adulti, dei minatori più maturi, l’uso del basco per tutti in città, come facevano gli uomini della sinistra, dopo la Guerra di Spagna.
1 commento
1 Aladinpensiero
4 Dicembre 2022 - 09:04
Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=139154
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