Contro un’Autonomia differenziata che nega eguali diritti e spacca il paese

15 Novembre 2022
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Nel difficile quadro attuale, volto a spaccare il paese con l’introduzion dell’autonomia differenziata, il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale propone una legge costituzionale di modifica dell’art. 116, comma 3, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3 della Costituzione

La crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, accresciute progressivamente nel tempo e aggravate oggi dalla crisi conseguente alla guerra in Ucraina, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro. Si è segnalata da più parti la necessità di rafforzare il ruolo dello Stato a tutela dell’eguaglianza e dei diritti, con la formulazione e implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate a ridurre i divari territoriali e consolidare l’unità del paese. L’urgenza di una iniziativa così indirizzata è in specie sottolineata dalla necessità di attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo le indicazioni e i tempi dati dall’Europa. Mentre una pericolosa spinta in senso contrario si ricava dalle persistenti richieste di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni senza tenere conto delle esigenze di un’Italia unita e solidale. Spinta che potrebbe oggi concretizzarsi con il Governo Meloni, il cui programma prevede l’autonomia differenziata, affidata per l’attuazione al ministro leghista Calderoli.

In questo quadro, il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale propone una legge costituzionale volta alla modifica dell’art. 116, comma 3, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3 della Costituzione. (Allegati il testo e la Relazione illustrativa)

La scelta di lanciare una raccolta di firme a sostegno della proposta si giustifica per il fatto che una recente modifica del Regolamento del Senato della Repubblica assicura che una Proposta di legge di iniziativa popolare, sostenuta da almeno 50.000 firme come la Costituzione prevede, giunga alla discussione in aula.

Per la raccolta sono concessi sei mesi. Ciò consente di aprire nelle forze politiche e nell’opinione pubblica una discussione sulla autonomia differenziata, fino ad oggi conculcata in trattative per nulla trasparenti tra il governo e singole regioni, e senza il coinvolgimento del Parlamento.

Il Coordinamento per Democrazia Costituzionale organizza la raccolta di firme a sostegno della Proposta di legge con due modalità:

  1. firma on-line attraverso una Piattaforma che consentirà la firma attraverso lo SPID (per firmare si può andare al sito del CDC http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/raccolta-firme-proposta-di-legge/ oppure direttamente al link: https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=CDC)

  2. firma nelle modalità tradizionali su moduli cartacei.

Chiediamo a tutti un impegno particolare per firmare e fare firmare diffondendo ai vostri contatti le informazioni allegate.

La raccolta di firme on-line ha un costo importante che sarà sostenuto dai promotori, ma è fondamentale un vostro contributo per consentire la prosecuzione della raccolta. (Allegato)

E’ un impegno difficile, ma assolutamente possibile, se riusciremo a mobilitare l’interesse delle tante persone che hanno cura della unità della Nazione e della lotta alle diseguaglianze.

Per questo abbiamo bisogno della vostra firma, della vostra partecipazione e del vostro aiuto.

Un caro saluto

Il Presidente del Coordinamento

per la Democrazia Costituzionale

Massimo Villone

 

Massimo Villone – Nota illustrativa del DDL di riforma costituzionale

1. Perché un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare.

La previsione nell’art. 71 Cost. di una iniziativa legislativa popolare è rimasta a lungo sostanzialmente priva di  effettività. Ma si registrano da ultimo due innovazioni significative.
Una riforma del regolamento Senato del 2017 (art. 74) ha definito con maggiore precisione l’iter del disegno di legge, in modo tale che ne risulti in  principio assicurato l’approdo nel calendario di aula. Mentre questo ovviamente non garantisce l’esito, né impedisce il ricorso a pratiche dilatorie, ne risulta certamente rafforzata la possibilità che i soggetti politici siano sollecitati a prendere posizione, con una assunzione di responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica. Un siffatto risultato sarebbe particolarmente importante per un tema come l’autonomia differenziata, sul quale si è tentato fin dal primo avvio di stendere un velo di oscurità, che tuttora preclude una piena consapevolezza dei termini reali del problema.
Non è un caso che non si sia mai andati oltre audizioni in commissioni di merito o bicamerali, o risposte del governo in aula. Una discussione generale su un disegno di legge avrebbe ben altra visibilità e valenza informativa. Un riscontro concreto è dato dall’approvazione in prima lettura in aula il 3 novembre 2021 dell’AS 865, disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare recante l’introduzione nell’art. 119 della Costituzione del concetto di insularità.

Si aggiunge a queste considerazioni la introduzione da ultimo (d.l. 77/2021) della firma online, che si applica anche all’iniziativa legislativa popolare.

Va però detto che nessuna riforma testuale della Costituzione potrà mai di per sé bloccare la deriva verso la frantumazione sostanziale del paese.
L’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei diritti sono difesi anzitutto con la battaglia politica. Ma una riforma mirata del testo costituzionale può creare condizioni migliori perché quella battaglia sia vinta.

2. Perché una riforma mirata del Titolo V
Sarebbero certamente facili, e forse di maggiore impatto mediatico momentaneo, proposte radicali, come ad esempio la abrogazione dell’intero Titolo V, e il ritorno al testo originario della Costituzione del 1948. Ma non si può realisticamente pensare di cancellare venti anni di applicazione del

Titolo V, che hanno cambiato in profondità gli asset oltre che modellato gli apparati pubblici centrali e periferici. Una proposta in tal senso sarebbe di bandiera per alcuni, ma non avrebbe concrete possibilità di essere assunta nei processi politici e nelle sedi istituzionali.
Quello che si può realisticamente fare è individuare i punti di maggiore
sofferenza e pericolo per l’unità della Repubblica evidenziati già nel dibattito sul regionalismo differenziato, e poi successivamente nell’esperienza della lotta alla pandemia. Una riforma chirurgica, orientata a correggere errori manifesti, ed a prevenire danni ulteriori.

3. Su quali punti concentrare la riforma
  punti essenziali sono tre: la riscrittura dell’art. 116.3; la rivisitazione dell’art. 117, con lo spostamento di alcune materie dalla potestà concorrente a quella esclusiva dello Stato; la introduzione di una supremacy clause della legge statale.

3.1. Modifica dell’art. 116.3

3.1.1. Va anzitutto esplicitato che la diretta connessione con una
specificità territoriale è requisito essenziale per la concessione di “forme e condizioni particolari” di autonomia.

Questa in realtà è la lettura corretta della norma già con il testo vigente.
Basta a tal fine guardare al Titolo V in connessione con il principio di unità della Repubblica di cui all’art. 5. Nel modello generale l’art. 116.3 è norma derogatoria, che deve trovare una sua giustificazione. Ma detale lettura non è stata fin qui seguita. Le ipotesi note abbracciano un gran numero di materie  prescindere da qualsiasi connotazione territoriale, giungendo a una sostanziale decostituzionalizzazione e ad uno stravolgimento del modello ex art. 117. Il tutto in base a una trattativa tra Governo e singole regioni tradotta in un’intesa.

3.1.2. è inoltre necessario riscrivere il procedimento di formazione della legge che concede la maggiore autonomia. Attualmente si prevede l’iniziativa della regione interessata e l’approvazione con legge a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di intesa tra lo Stato e la regione interessata.

Gli effetti conseguenti sono:

a) a stretto rigore, il riconoscimento vede come soggetto principale la
Regione, che può avviare il procedimento con l’iniziativa, e può chiuderlo con l’intesa.

b) La previsione di un’intesa introduce un principio pattizio sulla maggiore autonomia, ponendo la questione dei soggetti stipulanti – il governo e la singola regione – e soprattutto del ruolo della legge che approva la maggiore autonomia in base all’intesa raggiunta. Da qui le polemiche sulle trattative s
emi-segrete tra ministro/a della autonomie e le regioni, e sul ruolo del parlamento, cui secondo un’opinione è riservata una mera presa d’atto, senza alcuna possibilità di incidere sui contenuti. È evidente la pericolosità di una procedura che potrebbe vedere una momentanea sintonia politica tra una o più regioni e il governo nazionale, favorevole al riconoscimento di particolari vantaggi a danno di altre regioni, anche considerando che la maggiore autonomia potrebbe comportare vantaggi anche sotto il profil dei rapporti finanziari. Inoltre, poiché l’art. 116.3 configura una fonte rinforzata, secondo il principio generale anche la modifica del regime così introdotto andrebbe posta con il medesimo procedimento. Quindi, una regione beneficiaria avrebbe un sostanziale potere di veto su qualsiasi modifica successiva. Potrebbe essere difficile o impossibile, ad esempio, eliminare condizioni di vantaggio o privilegio in danno di altre regioni introdotte in base all’originaria intesa, qualora errate valutazioni iniziali condizioni mutate consigliassero una correzione o un ripristino del preesistente.
Va quindi superato il modello fondato sull’intesa, da ricondurre a parere della regione interessata nell’ambito del procedimento di formazione della legge di approvazione.

d) come fonte rinforzata, la legge approvativa dell’intesa rimarrebbe
anche sottratta a un referendum abrogativo ex art. 75. Va introdotto invece la possibilità di un riscontro referendario, che offrirebbe alle altre regioni e ai loro cittadini la possibilità di esprimersi su una riforma che comunque in ultima analisi li tocca. Ciò è in particolare significativo in vista di richieste di autonomia fondate su referendum nei quali si è espressa la volontà di una
frazione minima del popolo italiano, che tuttavia si vorrebbe cogente per il resto del paese.
È opportuno a tal fine prevedere sia: 1) un referendum sul modello
dell’art. 138 per la legge costituzionale, giustificato perché la maggiore
autonomia tocca gli assetti generali del rapporto Stato-regioni; 2) un referendum abrogativo sul modello dell’art. 75,  che va esplicitamente
menzionato perché diversamente potrebbe incorrere nelle esclusioni
derivanti dalla giurisprudenza costituzionale, per la probabile assimilazione alle leggi tributarie e di bilancio, o alle leggi costituzionalmente necessarie.

3.1.3. Non è invece utile una legge-quadro, sul modello già proposto dall’allora ministro Boccia. In primo luogo, è dubbio che una legge comunque ordinaria possa vincolare alla propria osservanza intese approvate con leggi rinforzate che potrebbero sopravvivere o sovrapporsi a quanto stabilito nella legge quadro.
Inoltre, non basta collegare l’approvazione di intese all’adozione di livelli essenziali di prestazioni (Lep), che non garantiscono uguaglianza ma al più pongono a un eccesso di diseguaglianze un argine come definito con legge da una maggioranza politica pro tempore, e certamente non pongono argini alla frantumazione del paese. Un chiaro esempio è dato dai LEA (Livelli essenziali di assistenza, l’equivalente dei Lep in sanità) che non hanno certamente impedito la distruzione del Servizio sanitario nazionale.


3.2. Modifica dell’art. 117

La riscrittura parziale dell’art, 117 Cost. si mostra necessaria perché la
riformulazione dell’art. 116.3 può ridurre il rischio di un’autonomia differenziata esiva dell’unità della Repubblica, ma di per sé non esclude che a siffatte forme di autonomia si possa giungere anche sulla base del dettato dell’art. 117 oggi vigente, senza alcun ricorso all’art. 116.3. A tal fine si prospetta l’opportunità di una revisione del catalogo del riparto di competenze, e l’introduzione di una clausola di supremazia per la legge statale.

3.2.1 Revisione del riparto di competenze.

Vengono spostate dal catalogo delle competenze concorrenti di cui all’art. 117.3 all’elenco della potestà esclusiva statale ex art. 117.2 alcune materie che si ritengono strategiche per l’unità del paese. In primo luogo la tutela della salute, per ripristinare in prospettiva un servizio sanitario effettivamente nazionale, che la pandemia ha ampiamente dimostrato non più sussistente. Si aggiunge la scuola,

unitamente all’università e alla ricerca, la cui disciplina uniforme è in vario modo strategica per l’unità della Repubblica. Ancora si aggiungono materie relative alla infrastrutturazione materiale e immateriale, rilevanti sotto il profilo di diritti individuali, dell’eguaglianza, e dell’efficienza complessiva del sistema-paese.

Ovviamente, l’inclusione nel catalogo delle potestà esclusive non comporta di  per sé il raggiungimento di obiettivi di eguale tutela dei diritti e di perseguimento dell’eguaglianza. Questo dipenderà in ogni caso dalla disciplina che il legislatore statale adotterà, e dalle politiche conseguentemente messe in atto. Ma basterà ad impedire a singole regioni di perseguire obiettivi di diversificazione territoriale sulla base del riparto di competenze vigente. Si potrà ricordare a tal fine il proposito, espresso dai presidenti delle regioni capofila per l’autonomia differenziata, di voler giungere a una regionalizzazione della scuola anche a prescindere da un accordo sul tema dell’autonomia differenziata. Si potrà altresì ricordare che nelle bozze di intesa che hanno avuto in passato circolazione si ipotizzava la regionalizzazione di ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, ambiente,
beni culturali di primario rilievo e altro ancora.

3.2.2. Introduzione di una clausola di supremazia/salvaguardia u
no degli errori commessi con la riforma del Titolo V del 2001 fu la cancellazione dell’interesse nazionale come limite generale nel riparto delle competenze. Non fu colta la fondamentale aporia che si introduceva nel testo, dal momento che una Repubblica una e indivisibile (art. 5) non può non legarsi strettamente a un interesse nazionale. Tale cancellazione fu essenzialmente dovuta alla censura avanzata da una parte dei costituzionalisti dell’epoca - quelli favorevoli ad una ampia regionalizzazione - all’interesse nazionale utilizzato non
come limite alla legislazione regionale, ma come fondamento per una potestà legislativa statale quasi considerata extra-ordinem. Questo errato assunto fu in parte superato con l’art. 120 del Titolo V riformato e il richiamo all’unità giuridic ed economica della Repubblica, senza però cogliere la contraddizione implicita nel prevedere un limite solo per i poteri sostitutivi del governo, e quindi per ipotesi quando il danno all’unità fosse in atto o fosse già avvenuto. Essendo invece ovvia
l’opportunità di prevedere un potere del legislatore statale di definire in termini generali ex ante i limiti funzionali all’esigenza di unità, in modo da prevenire il danno.

 

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