Marcia su Roma e dintorni. Lussu con la schiena dritta come tutti i grandi democratici sardi del passato

28 Ottobre 2022
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Oggi alle 16,30 nella sede sindacale di viale Monastir, ad iniziativà della GGIL  e dell’ANPI, si tiene un incontro-dibattito di riflessione sulla storia, partendo dal libro “Marcia su Roma e dintorni”. Presentano Luisa Sassu e Gianni Fresu.
Ecco una recensione del libro.

Andrea Pubusa

La lettura di “Marcia su  Roma e dintorni” offre tanti spunti di riflessione. Il primo  attiene alla fermezza, alla schiena dritta di Lussu, e alla flessibilità, la disponibilità al cambio di casacca di non pochi sardisti e ferventi democratici prima della marcia su Roma, il colpo di stato del re e l’incarico a formare il governo a Mussolini. Emerge una libidine di potere nei vertici in Sardegna, al pari di quanto succede nel resto del Paese, e una resistenza nell’isola più tenace che altrove grazie alla condotta e al prestigio del Capitano Lussu. Basti ricordare la resistenza a Cagliari e dintorni (Monserrato sopratutto, dove i fascisti andarono per bastornare e scaparono bastonati).  Solo Parma riuscì a fare altrettanto. Nei primi giorni di agosto del 1922 contro lo sciopero indetto dalle organizzazioni di sinistra vennero mobilitati dal PNF circa 10.000 uomini per l’occupazione di Parma, giunti dai paesi vicini e dalle province limitrofe, guidati da Cesare Balbo, dopo un breve comando affidato ad altri squadristi,. La resistenza opposta dalle formazioni di difesa proletaria tenn, con una diffusa partecipazione popolare, donne comprese, tant’è che i poteri istituzionali passarono al direttorio degli Arditi del Popolo con a capo Guido Picelli, il Lussu di quella città per capirci. A Cagliari fu Lussu a organizzare la resistenza, che ebbe un’adesione popolare, perfino dei “piccioccus de crobi”, dei ragazzini di strada. che misero in croce le forze dell’ordine, correndo per le vie di quartieri al grido di “W Lussu” e “Abbasso il fascismo“. Queste scorribande dei ragazzini antifascisti, narrate da Lussu, mi vennero con più particolari raccontate da Nino Bruno, comunista cagliaritano fin dal Congresso di Livorno, che mi disse anche che, mentre il PCI nazionale lanciò la direttiva di non adesione degli iscritti ad organizzazioni non comuniste,  loro i comunisti cagliaritani, si unirono di fatto all’organizzazione di Lussu, partecipando alle sue iniziative.
Ciò che colpisce della lenta e contrastata diffusione del fascismo nell’Isola, grazie alla opposizione degli ex combattenti e poi del PSd’Az, sono i voltafaccia di dirigenti, alcuni molto legati a Lussu. Alcuni professavano la loro ferma fede democratica e poi in un battibaleno passavano la barricata, divenendo dirigenti di primo piano e perfino membri del governo a fianco al duce. Alcuni addirittura amici o colleghi di università o di studio di Lussu, a cui questi fu anche testimone di nozze (Pazzaglia), che non solo lo combattono, ma guidano l’assalto alla sua casa per farlo fuori (Cao) o lo radiano dall’Albo degli avvocati (Pazzaglia, Pili ecc.). Carognate, espressione della loro pochezza morale e della vigliaccheria, su cui si fondò il fascismo.
Solo quando il re, con un vero colpo di mano anticostituzionale, diede l’incarico di governo a Mussolini, il fenomeno dell’adesione divenne di massa e il fascismo, mettendo fuori legge le opposizioni, ebbe in mano completamente le leve dello Stato, anche se l’esercito mantenne una fedeltà al re, che peraltro era artefice del colpo di stato.
A ben vedere, e non paia eccessivo, in Sardegna questo fu il secondo, perchè il primo colpo di stato fu perpetrato dal re al tempo dei moti antifeudali contro Giommaria Angioy. Inviato nel capo di sopra come Alternos, ossia coi poteri del viceré, riapacificato il Nord, riprese la via del ritorno a Cagliari, scortato da qualche centinaio di esponenti delle grandi famiglie antifeudali. Costoro avevano perfino firmato un appello in cui si chiedeva una abboccamento per risolvere con una trattativa e un giusto compenso la questione feudale: insomma abolizione dei feudi con giusto riscatto, come si era già fatto altrove.  Nelle lettere Angioy chiede anche di rivedere i rapporti fra Regno di Sardegna  e corona, sbilanciati a favore di questa, ma non ipotizza anzi esclude una marcia militare su Cagliari. E la richiesta della mediazione francese in luogo di quella vaticana e’ giustificata dal fatto che la Francia e il Piemonte hanno firmato in quei giorni un trattato di pace a Parigi, e dunque sono alleati.
La destituzione e la messa fuori legge con tanto di taglia di Angioy era un vero colpo di mano contro la costituzione materiale vigente. E fu un colpo di stato di stampo terroristico. Con tanto di Tribunale speciale presieduto dall’ultrareazionario giudice Valentino, che condannava e faceva eseguire le impiccaggioni, senza garanzie processuali, esponendo le teste dei malcapitati alle porte di Sassari. Bono, il paese di Angioy, fu accerchiata e bombardata dall’esercito, guidata da Efisio Pintor, già “novatore” amico di Angioy, anticipatore dei voltafaccia Pili, Cao, Endrich, Lissia e compagnia bella.
La fuga da Lipari non fu un gesto di liberazione individuale, ma un segnale di liberazione  collettiva, cosi’ l’ha intesa Lussu. Anche l’espatrio di Angioy e dei suoi seguaci, i Mundula, i Fadda, i Muroni, i Cilloco, gli Obino, i Sanna Corda ebbe lo stesso valore. Non  ripararono in Corsica per rimanervi, ma per tornare a capo di truppe liberatorie e repubblicane. Cilloco e Sanna Corda ci provarono avventurosamente e generosamente con lo sbarco a S. Teresa di Gallura (Luogosanto) nel 1802. Furono uccisi, Cilloco atrocemente, a frustate fra la folla per le vie di Sassari. Giommaria vi rimase, chiedendo vanamente tremila uomini per tornare in Sardegna e issarvi la bandiera della repubblica. Deluso, morì a Parigi, dignitosamente e senza piegarsi.
Ecco mori’ senza flettere, un altro carattere che unisce Lussu ai grandi democratici sardi del passato: la coerenza e la grande dirittura morale. Angioy, Asproni, Tuveri÷ Gramsci furono tutti federalisti (Asproni diceva di avere due patrie, la Sardegna e l’Italia) tutti combatterono la fusione pefetta e furono per l’autogoverno, tutti federalisti, il loro era un sentimento prima che un’idea. Due furono esiliati, uno mori’ per la lunga carcerazione. La coerenza di Lussu affonda li le sue solide radici. La sua non fu una scelta tattica. Cio’ spiega anche la sua battagla federalista in Assemblea costituente. Vi portava il sentimento autonomista sardo, maturato nella storia dei sardi e nella repressione aperta dei Savoia. In fondo, a ben vedere, la storia dopo l’unita’ d’Italia non e’ che un replay, mutatis mutandis, della storia della Sardegna sotto il giogo sabaudo, compresa la questiobe meridionale e la repressione di pastori, contadini, braccianti e poi operai, proprio le forze che Lussu e Gramsci pongono a fondanento della soluzione della questione meridionale e della rivoluzione italiana. Questa fu la battaglia di Emilio Lussu. Questo e’ il suo lascito prezioso a noi e alle giovani generazioni.

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