Carbonia. Nei 72 giorni c’è anche un importante movimento delle donne. I salari delle cernitrici decurtati per scarso rendimento: prime esperienze nelle leghe, la formazione delle cellule femminili, il proselitismo dell’UDI.

2 Ottobre 2022
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Gianna Lai

 

 Nuovo post domenicale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Non si erano salvate neppure le donne dell’esterno dalle decurtazioni sul salario inflitte ai minatori: “la cernitrice Puxeddu Cicita ha avuto, per scarso rendimento, una decurtazione di lire 6 mila”, più alta persino di quella comminata agli operai, che si aggira, secondo L’Unità del 20 novembre 1948, “intorno a una media di 4.500 lire”. Quello scarso rendimento, parola magica che autorizza ogni sopruso della direzione, comminato persino alle donne in laveria, a prevenire, chissà, ogni eventuale forma di sostegno ai minatori, gli unici, in realtà, ad essere sottoposti al cottimo, in quei giorni rifiutato. Ma registra comunque la preoccupazione della SMCS per un possibile nuovo impegno delle donne nella lotta in difesa del lavoro, allo stesso modo con cui la solerzia della pubblica sicurezza spinge la polizia a fermare spesso anche le donne nelle sue continue retate dei 72 giorni, come ricordano i testimoni e la stessa Nadia Spano. Dalla conquista del voto, le donne di Carbonia in massa alle urne anche in città, e nel 1946 e, di nuovo, per il 18 aprile 1948, ancor più intensamente impegnate, anzi, durante quella campagna elettorale.
I problemi della miniera, il coinvolgimento delle cernitrici e delle addette ai servizi, a partire dalle rivendicazioni sul salario, questi i temi discussi nelle cellule comuniste e nelle leghe sindacali, per la nascita di un movimento femminile organizzato in tutte le attività produttive e poi nei quartieri. Far prendere coscienza del lavoro delle donne e della sua importanza, sempre tenuto in nessuna considerazione già fin dal misero salario giornaliero corrisposto in laveria alle cernitrici e alle operaie nei servizi dei piazzali. Donne C.F., capo famiglia, lire 192,80, ancor più misero di quello, il più basso, percepito dai manovali, di appena lire 275,60. Per non parlare delle donne capo famiglia di 16-18 anni, lire 155,20 e delle donne inferiori ai 16 anni, 144,80 lire, come abbiamo già visto nella precedente Tabella del 1947. Capo famiglia anche a 16 anni, va specificato così come per le maggiorenni, molte di loro assunte in laveria dopo la morte del marito in miniera, di un genitore o di un fratello, ed è questa condizione estrema a rendere ancora più difficile la diffusione del sindacato e della lotta per l’occupazione tra le operaie.
Vengono dal lavoro nei campi e quella stessa forza devono trasferire in laveria, adattarsi ai luoghi e ai tempi del tutto anomali, lunghissimi, ancor più dilatati da un pendolarismo obbligato, se non si vuole finire nei cameroni fatiscenti, senza acqua e senza luce, della periferia più lontana. E sconosciute le mansioni, se non nel racconto di parenti o amiche o colleghe, alle difficoltà supplisce, come per i minatori, la presenza delle altre donne, l’aiuto reciproco a reggere il peso della cernita, ancora del tutto inesistente la formazione. Appresso al nastro trasportatore, “un lavoro eseguito con l’occhio fatto esperto, l’occhio che imparava a riconoscere la roccia”, come descrive quella fatica l’antropologa Paola Atzeni in
Tra il dire e il fare, fino a prendere maggiore conoscenza dei luoghi e delle mansioni”. Di se stesse, sopratutto, “il loro lavoro conferiva valore economico al minerale, passando nelle loro mani esso acquista valore, economico”, pur così arretrate le tecniche a Carbonia anche nella “catena operativa della separazione dei minerali”, che caratterizza la cernita. “Si trattava di un lavoro di attenzione specialmente visiva… e mentale, legato per molti versi alla responsabilità: all’attenzione necessaria e alla capacità di saper distinguere e riconoscere i minerali e la ganga”, quella che deve essere eliminata, “dando origine al processo dell’arricchimento”. E poi “la separazione dei minerali nelle griglie, con l’aiuto dell’acqua” perché, “oltre alla cernita dei minerali all’asciutto, la catena operativa comprendeva il lavaggio,… l’isolamento del minerale… attraverso l’uso dei reagenti chimici, una fase del lavaggio caratterizzata, invece, da una meccanizzazione più avanzata”. E se “varie sono… le situazioni che caratterizzavano i lavori delle donne nelle operazioni di cernita e di lavaggio della produzione industriale mineraria”, su tavole fisse avviene “la cernita ordinaria… o su nastri”, ed è in ognuno di questi momenti che “la donna mostra la sua competenza nel saper riconoscere e classificare il materiale”, come chiarisce ancora Paola Atzeni. Soffermandosi ad analizzare le varie fasi della selezione, del vaglio e dell’arricchimento 2), pur non avendo quel processo subito consistenti innovazioni rispetto alla miniera ereditata dal fascismo e ai modi stessi, quindi, della lavorazione del combustibile in laveria.

Tra quelle operaie, certamente sollecitate dal diritto di voto appena conquistato, talune si aprono all’esperienza sindacale e delle sezioni di partito grazie, in prima battuta, all’attività dell’associazionismo femminile. Dell’UDI sopratutto, impegnata fin da subito nella pratica semplice del casa per casa e della propaganda nel luogo di lavoro, le forme più immediate di educazione alla politica e alla vita associativa. E poi delle leghe nei cantieri e nei piazzali della miniera, dove anche le donne cernitrici possono essere più facilmente intercettate, ad accrescere la presenza sindacale di nuove figure femminili, secondo la sollecitazione che viene dalla Cgil nazionale e dalla stessa Camera del lavoro.
Certo, non sarebbe stato facile coinvolgere nell’impegno politico quelle lavoratrici rimaste così a lungo escluse dalla partecipazione e rassegnate a vedere già definito il destino di Carbonia vivendo, la maggior parte di esse, con le loro famiglie, nella grande periferia cittadina. Pur non potendone ospitare più di 25000, tra il ‘47 e il ‘48 il centro ha ormai raggiunto, infatti, i 45.000 mila gli abitanti e, confinati a popolare le zone estreme e marginali, i più deboli che, spesso, neppure le leghe riescono a raggiungere. Mantenere distinti centro e periferia, già lontani tra loro in termini di distribuzione degli spazi abitativi, questo l’intento dell’azienda, saranno alla fine le donne, in particolare le donne del sindacato e delle sezioni di partito a “ridurre le distanze”. La loro massiccia presenza avendo già cambiato i connotati di una città fino a poco prima fatta di soli uomini e, in termini ideologici, segnata dal suo carattere “gerarchico e oppressivo, secondo il mito della città ordinata, controllabile dall’alto per funzioni e dimensioni”.

Carbonia ha ancora bisogno di tutto, inesistenti i servizi alla città che, per primi possono ridurre le distanze territoriali, mercati rionali, strutture per l’assistenza sanitaria diffusa e per la socialità, non bastando i dopolavoro di quartiere ereditati dal fascismo. Mancano asili e scuole, per i più poveri solo l’orfanotrofio di S. Barbara, destinato agli orfani dei dipendenti, e gli asili infantili e le colonie marine con la “collaborazione della Commissione Pontificia Opera Assistenza”. E vi è una richiesta massiccia di medici e di insegnanti, che arriveranno solo dopo le lotte delle donne, in città e nelle frazioni, così come il mercato civico e i suoi box, a prevalente presenza femminile. In verità, nella ferrea organizzazione della Camera del lavoro e di ogni singola sezione, comunista e socialista e dei sardisti lussiani, ancora il primo e unico presidio efficace e accogliente, grazie al “lavoro delle compagne e dei compagni” e alla presenza in ogni momento del Soccorso rosso e della solidarietà popolare. E poi i problemi della città in discussione nelle cellule di quartiere, con le loro strutture organizzative date in particolare dalla presenza di un Comitato direttivo, che ne definisce contenuti e linea di azione. Donne lavoratrici e casalinghe ad animare quelle femminili nella lotte contro il mercato nero e per il controllo dei prezzi e degli approvvigionamenti sulle cooperative gestite dalla SMCS. Le donne del sindacato e dei partiti della sinistra, le prime a dare il buon esempio sulla distribuzione organizzata di cibo e bevande, durante le feste popolari e di quartiere: le feste de
L’Unità e del Primo Maggio e la Festa delle donne, l’8 marzo di tutti quegli anni, che stanno alla base dei nuovi processi aggregativi per ridurre le grandi distanze in città e promuoverne la socializzazione.

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