Carbonia. I 72 giorni della lunga agitazione. Dicono i testimoni, Pietro Cocco, dirigente della Camera del Lavoro e Segretario provinciale dei minatori, Nadia Gallico Spano, dirigente del Pci, Renato Mistroni, già sindaco della città, alla macchia dopo l’incriminazione per i fatti del 14 luglio.

24 Luglio 2022
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Gianna Lai

Nuova domenica nuovo post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

 

Dirigente della Federazione Minatori Provinciale e della Camera del lavoro di Carbonia e poi, nel 1949, eletto Consigliere regionale, per lungo tempo, infine, sindaco della città, Pietro Cocco, inizia il discorso sui 72 giorni sottolinendo come “si indebolisce il movimento con gli arresti del 28 agosto e con la fine dell’unità sindacale seguita, subito dopo, dalla crisi del Consiglio di gestione in città. E tuttavia la non collaborazione ci consentì di gestire un lungo periodo di lotta, mantendo il salario e rafforzando il legame tra rappresentanza e operai, fino a quando, con i minatori, si schierarono gli stessi sorveglianti, puniti a loro volta con multe di 500 lire al giorno perchè si rifiutavano di obbedire all’ordine della Società sul rendiconto quotidiano. Frequente la presenza della polizia nei cantieri, si allarga presto la solidarietà a tutto il territorio sulcitano, poiché molti operai provengono dai paesi vicini. E resta sempre centrale la Camera del lavoro cittadina in quella particolare forma di protesta, spesso anche impegnata nella distribuzione di viveri che la solidarietà popolare spedisce da ogni parte d’Italia. I 72 giorni sono la risposta agli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità stabiliti dalla SMCS, affitti, carbone, energia elettrica e, insieme, la forma di lotta per richiedere la revisione dei cottimi e l’adeguamento dei premi di produzione. Scegliemmo la non collaborazione, un’esperienza già provata altrove nella penisola e molto contrastata da Confindustria e Ministero dell’industria, cui faceva capo la stessa Carbosarda, esperienza che ci sottoponeva a un grande lavoro: noi sindacalisti ogni giorno in miniera a riferire su come andavano le cose al Pozzo 1, al Pozzo 2, a Bacu Abis, a Nuraxeddu, a Cortoghiana. Mentre si formavano nuovi dirigenti per sostituire i comunisti, i socialisti e i sindacalisti incriminati dopo il 14 luglio, in città quadri come Salvatore Ghirra e Luigi Marras, della Segreteria di Cagliari, inviati dal Comitato regionale subito dopo l’elezione di Velio Spano a Segretario della Camera del lavoro cittadina, per decisione unanime della Direzione Nazionale, in un certo qual modo contrario il solo Renzo Laconi. Io a quel tempo ero membro di Commissione interna a Bacu Abis e mi trasferii a Carbonia, eletto Segretario della Lega dei minatori e dirigente della Camera del lavoro cittadina, per garantire maggiore presenza in miniera e nell’organizzazione: erano tempi in cui alle assemblee, sempre affollatissime, si doveva andare preparati sui problemi del lavoro e della produzione, bisognava mettersi con coraggio alla testa di quel movimento perché era necessario salvare le miniere e la città, di questo si discuteva nelle sezioni e in sindacato. E fu di grande sostegno per tutti noi la presenza prestigiosa di Velio Spano, che restò segretario fino alla fine dei 72 giorni, alla fine della lunga agitazione. Lui organizzava gli incontri e manteneva i contatti col governo, agli altri di noi spettava la gestione più diretta del movimento, Luigi Marras molto impegnato nel partito, mentre io mi occupavo della direzione del sindacato insieme a Ghirra. E il partito fu in grado di immergersi in quella lotta, di guidarla a fianco delle leghe dandole il giusto sostegno, fino a che in città riuscimmo a coinvolgere le altre categorie di lavoratori, i commercianti, e poi il territorio tutto fino a Cagliari garantendo, con quella solidarietà, la sopravvivenza dei minatori ridotti ormai in gravi condizioni per il taglio dei salari deciso dalla SMCS. Così si crearono i legami con i contadini nelle campagne, legami rafforzati dalla comune origine sociale e mantenuti forti, negli anni successivi, in occasione dell’occupazione delle terre: a fianco dei braccianti, i minatori di Carbonia. E così si costruisce ancora il partito e si afferma il Fronte popolare, che qui resiste più a lungo rispetto ad altri luoghi: fino a dopo il ‘56 l’Unità d’azione nel Sulcis, una volta rafforzato il Psi dall’ingresso di Emilio Lussu e del suoi sardisti. Ne sarebbe nato un nuovo gruppo dirigente, potremmo definirlo sardo-socialista, da cui risultò escluso chi si era schierato contro quella unità, come ad esempio Peppino Tocco di Iglesias”.
Dice Nadia Gallico Spano, durante l’intervista concessa all’autrice nell’aprile del 1988, che a Carbonia, fin dal mese di giugno, si comincia a preparare la non collaborazione, mentre lei vi si trovava impegnata sopratutto a denunciare, durante i comizi al Cinema centrale, “le politiche del mondo del lavoro, determinato da una disoccupazione di massa, e la mancanza di riforme secondo il dettato della Costituzione repubblicana appena entrata in vigore”. Grave la situazione in cui versa il bacino carbonifero, minacciato di smobilitazione, “a causa della politica antinazionale di asservimento economico allo straniero fatta dalla DC”, mentre fondamentale restava la battaglia “dei minatori, l’alto valore nazionale di quell’impegno, che avrebbe dovuto chiamare tutti alla solidarietà e alla partecipazione”. E, posto Velio Spano alla direzione della Camera del lavoro cittadina, “per impedire ulteriori decapitazioni del sindacato”, quel nostro legame con Carbonia si rafforzò: “la sua politica di dirigente sindacale nel convincimento, fatto proprio dall’intero Pci, di quanto fosse centrale Carbonia per la Sardegna e per la costruzione del Partito, le sue lotte potendo contribuire a realizzare legami più certi con la penisola. E se persecuzioni ed arresti non davano tregua al movimento, in particolare nella scelta dei quadri da sostituire ai dirigenti politici e sindacali in galera o licenziati, sarebbe rimasta nella storia della città l’influenza esercitata su tutta la Sardegna dai minatori impegnati nei loro paesi di origine a costruire le sezioni del PCI, avendo come riferimento la resistenza di quei 72 giorni. La lunga agitazione resta impressa a distanza di anni persino nei luoghi dell’emigrazione, in Italia e all’estero, i compagni ancora accomunati da quell’esperienza così preziosa per la costruzione di nuovi legami anche con i contadini nel movimento di occupazioni delle terre, pur se non si riuscì a preparare un programma unitario, come si sarebbe invece tentato di fare in seguito, durante il Convegno del Popolo Sardo del 1950. Una lotta pagata cara, enormi i sacrifici, non cedeva la direzione SMCS e smettere avrebbe voluto dire essere sconfitti”, conclude Nadia Gallico Spano, che seguì il movimento a partire sopratutto dal mese di ottobre: “si riuscì a strappare il 25% di ciò che era stato tolto, una dimostrazione di forza continua, in un’atmosfera del tutto particolare, ogni giorno la riunione dei quadri sindacali che riportavano anche gli umori degli operai e, dopo la discussione, dover decidere e ancora annunciare che l’agitazione sarebbe proseguita”.
Per ricordare i protagonisti dei 72 giorni può essere interessante concludere il discorso con la testimonianza di Renato Mistroni, datata 22-6-1988, sindaco di Carbonia col Fronte popolare, avendo Renzo Laconi, primo eletto, optato per la Costituente dopo le elezioni comunali del 1946. Tra i primi ad uscire di scena per gli arresti di fine agosto 1948, dopo l’attentato a Togliatti, si trova alla macchia, il sindaco, durante i 72 giorni, in luogo sicuro con Antonio Selliti, grazie all’intervento dello stesso Velio Spano. “Io già lontano da Carbonia”, così l’inizio del racconto, ad esprimere la sofferenza del dirigente a lungo impegnato, “posso dare un giudizio su quella lotta, pur seguita attraverso la lettura dei quotidiani e attraverso la narrazione dei compagni che incontravo nel nostro rifugio”. Perché conosce bene la città, il movimento operaio e i suoi rappresentanti, il sindaco: data la disponibiltà della massa dei minatori alla mobilitazione, dice Renato Mistroni che il problema a Carbonia, durante le proteste e gli scioperi, era quello di ritirarsi al momento giusto per non esaurire le forze di questa classe operaia appena formata, pur così forte il senso dell’unità e la consapevolezza della propria funzione. Di questo si discuteva nelle sezioni di partito e nelle leghe, discussioni animate con lo stesso Velio Spano che ci vedevano su posizioni talvolta diverse, prosegue Mistroni. “Lui senz’altro così bene a conoscenza della situazione sulcitana, avendola vissuta da dirigente regionale, sostiene la non collaborazione che salva il salario, sapendo reggere bene il confronto con la Carbosarda. Uno dei punti cruciali di quella vertenza fu però l’ambiguo comportamento di alcuni membri del Consiglio di gestione su un possibile accordo firmato che, né Spano né la Camera del lavoro riconobbero, e che, tuttavia, segnò infine la conclusione della vertenza, perchè quegli aumenti, definiti dalla SMCS, poi restarono tali. Ecco, io credo, i tempi di quella mobilitazione avrebbero dovuto essere meno lunghi, una volta assicuratesi, le sinistre e il sindacato, la solidarietà nei confronti del movimento, sia in Sardegna che nel Paese: probabilmente esso ne sarebbe uscito meno affaticato, dovendo ancora trovarsi ad affrontare i problemi di sempre, salario, licenziamenti di massa, sicurezza in miniera. Quel movimento resta tuttavia testimonianza di un’esperienza politica importante, la costruzione dal nulla di una classe operaia nuova che si inserisce nel movimento nazionale, grazie all’impegno di noi partigiani e antifascisti, provenienti dalla penisola e dall’isola, con la pazienza e il sacrificio di migliaia di lavoratori, per segnare una pagina significativa della storia sindacale e della sinistra in Italia. Il livello della repressione tale, tuttavia, da colpire i vertici del sindacato e del partito, sindaco e segretario della Camera del lavoro cittadina, prima di tutti, come mai si sarebbe verificato nel resto del Paese. Quello che a Carbonia non riuscì agli Alleati contro di me e contro i dirigenti del movimento nel 1944, in regime di occupazione militare della città e delle miniere, divenne possibile in pieno governo della Repubblica, appena divenuta legge fondamentale dello Stato una Costituzione che vede il conflitto sociale come espressione fondamentale per la costruzione della vera democrazia”.

 

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