Carbonia. I 72 giorni della non collaborazione. Dopo la morte dell’operaio in piazza, Giorgio La Pira, Velio Spano e Mario Levi firmano l’accordo per la SMCS. Ne scrivono su L’Unità Girolamo Sotgiu, lo stesso Spano e il Segretario Nazionale della Federazione Italiana Lavoratori Industrie Estrattive

3 Luglio 2022
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Gianna Lai

 

 

Post domenicale sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

 

Ci volle il morto a imporre l’intesa tra le parti e la chiusura della trattativa, l’intervento di Mario Levi, presidente dell’ACaI, decisivo nel definire l’accordo di Roma. Titolo a tutta pagina su L’Unità del 18 dicembre 1948, “70 giorni di lotta e di sacrifici hanno salvato Carbonia per la Sardegna. I minatori hanno vinto. La SMCS pagherà intere le retribuzioni delle giornate di lotta e la gratifica natalizia: nessuna riduzione della contingenza, aumento delle retribuzioni, secondo recenti accordi nazionali, revocate multe e licenziamenti”, annullati cioè tutti i provvedimenti presi contro gli operai, liberi i minatori fermati durante la lotta e riassunti in miniera con gli altri licenziati. “L’accordo è firmato dal Sottosegretario Giorgio La Pira, dal Presidente ACaI Mario Levi, da Stefano Chieffi, Amministratore delegato, e da Velio Spano, Segretario della Camera del lavoro di Carbonia, e da Renato Bitossi della CGIL, e Giovanni Ibba della Camera del lavoro di Cagliari, e Pecoraro e Mari della Federazione Minatori. La direzione corrisponderà il 90% della paga base sul regime ad economia”. E si assicura insieme la revisione delle tabelle cottimo, mentre dal fondo delle Cooperative di consumo già si annuncia l’arrivo degli indumenti per la miniera, destinati agli operai.
Queste le prime notizie, il 18 novembre, sull’accordo firmato il 17 e, in quella stessa data, l’articolo di Girolamo Sotgiu, dirigente della Cgil sarda, sull’esito finale, determinato specialmente, secondo lui, dall’intervento del presidente Mario Levi. A Carbonia, “le donne fanno la fila presso la Camera del lavoro per ottenere i viveri; ieri la città in assetto di guerra, i poliziotti in piazza Roma intorno al Municipio schierati per tre, le autoblindo ferme, con i cannoncini puntati, mentre gli operai ascoltano l’esito delle trattative da Velio Spano e Pietro Cocco. La forza di un esercito affamato, quello dei minatori, mentre la serrata arriva insieme alla firma degli accordi”, non essendo evidentemente ancora a conoscenza, l’azienda in città, dell’andamento delle trattative nella capitale. “Le richieste avanzate dai lavoratori son state accolte appieno e si tratta di una grande la vittoria: espressioni di affetto per Velio Spano a Carbonia e poi a Bacu Abis”, mentre si annuncia che “il secondo turno dei minatori è rientrato al lavoro già il 17 dicembre”. E dire che proprio in quei giorni “stavano per arrivare 200 uomini aviotrasportati, truppe scelte per Carbonia”, a tenere sotto controllo la massa operaia, ritenute possibili dal questore manifestazioni di piazza, a seguito della serrata proclamata in Carbosarda.
E il 19 dicembre tocca a Velio Spano, il senatore Segretario della Camera del Lavoro cittadina, “Armistizio a Carbonia” il titolo dello scritto su L’Unità. “Dopo 72 giorni di lotta si è conclusa la grande battaglia che i minatori, grandi ammiratori di Mao, cominciavano a chiamare la loro “lunga marcia”. Un accordo di tregua “che i minatori considerano una grande vittoria, in quanto segna un balzo in avanti nell’unità e nella forza dell’organizzazione operaia. Ha vinto l’avvenire delle miniere. Nella più grande lotta sociale che la Sardegna abbia conosciuto, i minatori hanno mostrato nelle forme più alte, -attraverso 2 mesi di fame e di sofferenze inenarrabili- le qualità migliori dell’uomo: coraggio, tenacia, disciplina, spirito di iniziativa, capacità di sacrificio, combattività”. Grande la partecipazione alle assemblee di giovedi 16 e venerdi 17 dicembre, “i minatori di Carbonia si sono ricoperti di gloria. E spirito nuovo sembra si faccia strada fra i dirigenti responsabili dell’industria carbonifera italiani, nonostante gli ostacoli frapposti dai dirigenti locali e dai rappresentanti della Confindustria”. Tuttavia, “è stato necessario l’intervento dall’alto per arrivare alla tregua: in questa azienda che appartiene allo Stato, non dovrebbero entrare interessi capitalistici privati”, osserva il senatore, e denuncia come abbia “la forza pubblica, impedito ai sorveglianti di scendere nei pozzi, sì da provocare l’intervento dell’ispettorato minerario,” anche dopo l’annunzio dell’accordo raggiunto a Roma, per sabotare la produzione e l’accordo stesso; “ma a Bacu Abis i minatori di pozzo Nuovo hanno lavorato ugualmente, estraendo 54 berline di carbone. Ora la parola d’ordine deve essere -lavorare il più possibile, produrre il più possibile-, questo devono capire gli uomini del Comitato Interministeriale per la Ricostruzione”. Nella stessa data, ancora cronaca dalla miniera dopo l’intesa, “800 berline estratte dai minatori di Serbariu. Manovre della direzione per sabotare gli accordi, mentre Spinoglio, sconfitto, avrebbe i giorni contati, visto che è passata la linea della sopravvivenza delle miniere: egli vuole riassumere in data odierna i minatori per far perdere loro l’anzianità maturata, in violazione degli accordi di Roma. L’altra sconfitta è le ACLI”, tiene a sottolineare il giornale comunista.

E per concludere su questo importante accordo, che vorrebbe riaprire alla speranza l’intero Sulcis, il 19 dicembre 1948, sempre per L’Unità, ancora un suggestivo intervento a firma di Girolamo Sotgiu: “Poi è venuta la notte: una notte fredda e chiara. La notizia delle trattative di Roma, dell’accordo che sarebbe stato firmato oggi, della grande vittoria dei lavoratori sardi, della classe lavoratrice italiana: un’ondata di irrefrenabile entusiasmo ha invaso la città, ha invaso i cantieri, è scesa nei pozzi dapertutto, è scesa su questa terra di sofferenza, e le ultime e meschine manovre della società, le ultime interferenze della polizia sono state risibili episodi di lotta per questo esercito di giganti che ha alzato la bandiera della vittoria”. E il 21 dicembre, a firma di M. Mari, Segretario responsabile della Federazione Italiana Lavoratori Industrie Estrattive, “Epilogo di una lotta. Fermezza di propositi, ora i minatori di Carbonia saranno chiamati ad esaminare e discutere, in sede ministeriale, la crisi e i rimedi, essi han saputo resistere alla fame e alle provocazioni. La reazione ha voluto infierire contro il proletariato, la celere ha maciullato in una delle consuete cariche, sotto le ruote di una camionetta, il corpo di un onesto lavoratore, ma non è venuta meno la forza dei minatori dopo questa dura prova”. Ed annuncia il sindacalista che “la Confindustria e la satellite Associazione Mineraria Italiana non hanno voluto firmare l’accordo in quanto non rispondente a certi loro criteri”. L’associazione padronale non vuole riconoscere la vittoria operaia, gli fa eco il questore, “Il questore di Cagliari rifiuta l’autorizzazione ai comizi di Spano e Cocco a Carbonia e Bacu Abis: egli adempie agli ordini del ministro e della SMCS. Riuniti in assemblea i minatori”: segue un corsivo di duro attacco, “Bastardi e vigliacchi, han sempre sostenuto che l’agitazione era un focolaio di rivolta, espressione della lotta di un partito politico”, su L’Unità del 21 dicembre 1948.

Resta tuttavia definitivo l’aumento delle tariffe e il grave fatto repressivo dell’identificazione dei minatori che hanno partecipato all’occupazione, denuncerà Renzo Laconi alla Camera l’anno successivo, come leggiamo su M. L. Di Felice: “con l’accordo siglato da Spano e Levi, dopo ben 72 giorni di mobilitazione, ottenuto l’annullamento dei provvedimenti discrezionali decisi dall’azienda e l’aumento delle retribuzioni, gli operai sarebbero tornati in superficie, ma ciò non avrebbe impedito alla polizia di attuare l’ennesima prevaricazione, costringendo i minatori a lasciare i pozzi sotto la luce di potenti riflettori, così da poterli identificare e schedare”. Decisamente scettico il prefetto, “ancora permane nella massa l’ormai cronico senso di preoccupazione e di allarme di fronte al grave e complesso problema di Carbonia”, come riporta la professoressa Giannarita Mele nel suo scritto sulla già citata “Storia della Camera del lavoro di Cagliari.

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