Oggi a Cagliari Assemblea pubblica del Comitato NO ARMI-Trattativa subito con Angelo D’Orsi. Partecipate!

30 Giugno 2022
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Nell’occasione pubblichiamo la libera trascrizione effettuata da Gianna Lai di una lezione del prof. Angelo D’Orsi dell’Università di Torino dal titolo “Potere Libertà Informazione”, tenuta il 29 aprile scorso, nel  Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Cagliari, in collaborazione  con l’Anpi.
Ieri, fra l’altro, si è svolta l’udienza preliminare contro i dirigenti della RWM e i funzionari pubblici che hanno autorizzato il radddoppio degli impianti, poi annullato dal Consiglio di Stato. Sono
accusati complessivamente di ben 30 reati, fra i quali vari delitti ambientali e false attestazioni. L’udienza di rito volta ammettere le parti civili, costituite dalle associazioni pacifiste e antimilitariste, che hanno presentato denuncia, è stata rinviata - come previsto e come richiesto dai difensori degli indagati - al 10.10 p.v..
Ecco ora la lezione di D’Orsi.

Occupiamoci dell’oggi del tempo presente, frammento della contemporaneità, perché del  tempo presente si può fare la storia.Qualcosa di agghiacciante si sta verificando nella storia dell’Italia repubblicana, sul piano istituzionale regolata dalla Costituzione, che garantisce le libertà fondamentali, come quella di espressione. Non ricordo alcun momento che possa essere considerato somigliante, neppure in occasione  di maggiore conflitto interno, ad esempio durante le elezioni, non c’è mai stata una situazione come questa: pur violento lo scontro nel 1948, ricordo il manifesto  del soldato sovietico, con la stella nel berretto, che strappa i bambini alle mamme, per indurre a votare Democrazia cristiana, in contrapposizione al Fronte Popolare. C’era una rappresentanza forte a sinistra  ed emergeva in quegli anni Cinquanta, e addolciva lo scontro, il cinema di Peppone  e don Camillo, rispetto agli attuali talk show; né troviamo liste di proscrizione o censura preventiva, una qualunque autorità a imporre giuramenti, per esercitare la propria attività, ad artisti o musicisti o scrittori. Fino  a giungere, in questa russofobia spinta, all’esclusione dei gatti “russi” dalla recente esposizione internazionale felina. Musicisti e  letterati colpiti in Italia, così seminari universitari sospesi persino quelli  dedicati a Dostoevskij. Perché così diverso oggi lo scontro? Perchè in questa guerra, che sta mobilitando l’intero Occidente, emerge  il  totale distacco tra le istituzioni e i media da un lato, i cittadini dall’altro: due Italie che procedono per vie diverse, il parlamento che vota come un sol uomo l’invio delle  armi, difensive, offensive, secondo la decisione del governo. Nel maggio 1915 l’Italia entra in guerra, a parlamento chiuso, oggi solo Draghi a decidere, senza curarsi delle  conseguenze. In che cosa si differenzia la situazione odierna: oggi ci sono tre  giornali, Il Corrierre , Repubblica e la Stampa, che dettano la linea, vera sacra trimurti del pensiero unico. Anche allora, nel 1915, si cercava di imporre la linea all’opinione pubblica, ma c’erano anche l’Avanti! e, negli anni successivi, L’Unità, differenza rilevante rispetto ad oggi, per la forte  presenza di quei giornali e per la diffusione militante che li caratterizzava. Gramsci sottolineava l’importanza della difesa degli operai da parte della stampa di sinistra, i fascisti nel ‘19 distruggono l’Avanti! appiccando il fuoco, così oggi a Odessa, nel 2014, brucia la sede dei sindacati. E poi altri 3 assalti, negli anni della nascita del fascismo, alla stampa socialista, ogni volta la classe reagisce e, con eroico sforzo, ricostruisce grazie alle collette del PSI: in due settimane i soldi per la ricostruzione. Debole sul piano politico la sinistra, ma c’erano questi due macigni, veri ostacoli alla comunicazione padronale,   due organismi  a rappresentare i partiti che difendevano la classe. Quei giornali, nel 1949, difendevano strenuamente il movimento operaio contro il Patto Atlantico,  nel lessico comune Nato = Patto Atlantico, e  Pertini così chiaro, “da cosa dobbiamo difenderci, noi abbiamo costruito un fronte   con l’URSS, nostro alleato, e questo invece si presenta come un fronte contro l’URSS, strumento di guerra, quando ancora ci stiamo leccando le ferite di guerra: perché dobbiamo riprendere a parlare di guerra?” C’è una differenza dunque, rispetto ad allora, nel modo di creare il senso comune sulla guerra: oggi manca, infatti, il  contraltare informativo, noi denunciamo il pensiero unico, non avendo una reale possibilità di esprimere punti di vista alternativi. Ed ancora, negli anni Sessanta e  Settanta  la  controinformazione, fatta pure con mezzi di fortuna, opuscoli e altre forme straordinarie, raggiungeva il pubblico dei militanti, indirizzata a forze parlamentari e extraparlamentari. Oggi la comunicazione  col web è incontrollabile e caratterizzata da false notizie,  ricordando il titolo dello scritto di Bloch “Le false notizie”. Esse fan parte dell’azione di guerra, la guerra si ciba di menzogne, il primo a dirlo Gramsci che segue la guerra del ‘15-’18, impegnato a smontare le false notizie: compito peculiare di ogni giornalista,  smontare e decostruire le menzogne.
E’ in questi ultimi decenni che ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di azione militare, a partire dagli anni Novanta, l’essenza delle nuove guerre nate dopo il crollo del Muro di Berlino, 1989-91, che hanno caratteri particolari, tutti giocati sul tema dell’informazione. Danilo Zolo, filosofo del diritto, autore di ”Chi dice umanità”, mette in luce l’intento volto a mentire: nelle nuove guerre, l’informazione non più come in passato, uno dei tanti canali, l’informazione diventa essa stessa guerra, che  impone di schierarti. E si tratta di  una comunicazion che ha bisogno di un sostrato, costante ricorso ai magazzini della storia, per corroborare tesi che si vogliono far passare e, tanto più le guerre sono ingiustificabili, più forte il ricorso ai magazzini della storia. Quale riferimento nella guerra in Ucraina? Elemento costante e propagandistico, il riferimento alla Seconda guerra mondiale. Violentissima fu la campagna nel 1914-1915 per imporre la guerra,  ma si trattava anche allora di una minoranza, la stragrande maggioranza era contraria, “quei cani rabbiosi”: oggi il clima è simile, eppure il riferimento resta la Seconda  guerra mondiale, perché è la guerra giusta per eccellenza, combattuta  contro il nazifascismo, pur  omettendo di dire, naturalmente che, tra chi lottava contro il nazifascismo,  c’era l’URSS con i suoi 24-25 milioni di morti. Come nelle guerre degli anni anni Novanta, la similitudine con la Seconda guerra mondiale anche nella figura del nemico, sottoposto a “sistema di hitlerizzazione”: con molta disinvoltura Putin è come lo zar, è come Stalin.
Dobbiamo ricordare che nella storia tre sono i fattori determinanti, gli individui, i contesti in cui essi operano, il caso: è questo insieme a produrre gli avvenimenti storici. Fatti storici son solo quegli avvenimenti che producono discontinuità. Il nemico visto come male assoluto per esorcizzare anche il male contro noi stessi, male collocato lontano da noi, quindi il bene qui da noi. Ora c’è da trasporre, collocare ai giorni nostri, il momento cruciale  della Seconda  guerra mondiale, cioè il tentativo genocidario: i kosovari e le loro fosse comuni, Milosevic il nuovo Hitler,  la popolazione ucraina oggetto di genocidio, qualcuno a dire che, in Ucraina, l’esercito russo va in giro con i forni crematori portatili. E’ l’esito del postmodernismo che trasforma storia e saper scientifico in opinione, nel campo dell’opinione tutto può essere lecito: devastante il post moderno, si è persa la fiducia nella stabilità delle cose, la conoscenza prima di tutto;  non esiste più l’oggettività del testo e, revocando in dubbio la certezza storica, è difficile orizzontarsi, la rete che per tanti è salvezza,  fonte spesso di grande confusione.
Ritorniamo allora a Bloch, in relazione al carattere delle notizie, due sono gli errori di fronte alla notizia: 1) il pregiudizio negativo, lo scetticismo pregiudiziale, 2) la credulità. Davanti alle notizie, prudenza dice Bloch, credulità è pregiudizio negativo. In entrambe le reazioni, mostriamo di aver rinunciato al  pensiero critico, l’esercizio del pensiero critico è essenza della nostra umanità, sennò perdiamo il vero retaggio dell’Illuminismo, il sapere, ma anche l’ “abbi il coraggio di”. Gli intellettuali dovrebbero esercitare l’etica della convinzione,  i politici quella della  responsabilità, far prevalere la verità,  smontaggio dei luoghi comunie per ricorrere allo strumento  dell’analisi: pensiero analitico è smontare le unità apparenti, è vedere cosa c’è dietro, esprimendo diffidenza a ogni unanimismo. Oggi l’intellettuale alimenta la perdita totale di controllo della realtà dei fatti,  anziché seminare dubbi, esempio: come mai tre giornali spingono alla guerra,  vediamo come sono fatti i loro consigli di amministrazione,  che sono anche dentro i consigli di amministrazione dei servizi militari, così come gli uomini del Pd. Falso pluralismo quello dei talk show, avvelenatori della ragione, si può dire citando Aristotele. Provi a ricostruire un contesto e devi fare giuramento di fede, devi dire che sei contro Putin; la verità viene data per assodata, le voci contrarie soprafatte, appena parli ti bloccano. Un fotoreporter mi dice stanotte che un suo servizio in video è stato cambiato completamente, manipolato, e mandato in onda a Controcorrente, con la sua  firma, nel servizio sulle fosse comuni, 200 fosse comuni. Vi si parlava piuttosto di due aree cimiteriali con sepolture individuali, senza riferimento alcuno a esecuzioni di massa. E le immagini originali comprendevano, inoltre,  l’intervista a due donne che si prendevano cura  delle tombe e poi a un operaio lì impegnato. La Stampa invece, in prima pagina, “la grande carneficina”,  scene di cadaveri sparsi in giro, mentre i titoli raccontano l’avanzata russa. Tutto fa credere che si tratti di una zona di Kiev sotto attacco russo, ma il reporter autore della foto, che ne ha poi denunciato il furto, fa notare  come non ci sia specificato, in quella pubblicazione della Stampa, autore, data, luogo, agenzia, in riferimento alla foto stessa, elemento fondamentale per la sua identificazione e, dal punto di vista deontologico, assolutamente essenziale. Il fotoreporter fa ricorso, perché tutta questa reticenza? In realtà si trattava di un’immagine del Donbass, i morti a seguito di un lancio di missili. E siccome ci opponiamo alla credulità, ho mandato una lettera al direttore della Stampa, prosegue il professor D’Orsi, il quale risponde - non mi interessa dire chi sono i reponsabili, a noi interessa l’orrore della guerra-. Quindi, evidentemente, lo spettacolo, mentre io, invece, sarei il lacchè di Madre Russia. Quando fai obiezione non ti si risponde in merito alle questioni, si cerca piuttosto di delegittimarti, passando dall’oggetto in discussione all’attacco personale, niente scuse da parte della Stampa.  Agghiacciante, siamo vittime di situazioni volte a costruire false verità, scarse le nostre possibilità di difesa. E se vengo criticato  perché partecipo a talk show, conclude il professore, devo dire che ci vado per parlare a un pubblico ampio, quando  non vai non ti fai sentire, e per procedere in senso opposto e contrario ai nostri manipolatori, pur se è come andare al martirio.
E risponde, il professore, alle domande degli studenti e del pubblico, a proposito appunto di pretese affinità e similitudini tra guerra ucraina e Seconda guerra mondiale, che  è paragone improponibile. Intanto, nel ‘40, i vertici militari erano contrari all’ingresso dell’Italia nel conflitto, non essendo il Paese in grado di reggere, economicamente e militarmente, lo scontro bellico. E poi i   partigiani chiedevano la pace, la pace era la parola antifascista, prima di tutto, guerra dal basso quella partigiana in Italia, mentre in Ucraina c’è un esercito regolare e non esistono i partigiani ucraini. Nella politica delle formazioni partigiane, prima di tutto, l’attenzione ai civili da proteggere, dato che   nessuna guerriglia può vincere senza consenso popolare, la formazione Azov utilizza invece i civili ucraini per la propria sopravvivenza, vedi acciaieria di Mariupol, dove si vive  asserragliati da giorni..
Il male è l’autocrazia, si dice in qualche altro intervento dal pubblico, ma Zelensky, risponde il professore, ha messo fuorilegge i partiti, mentre gli squadroni continuano ad agire: il fronte interno e il nemico interno, c’è un Comitato del fronte interno che controlla i cittadini per denunciare chi è contro la guerra. Così nella Prima guerra mondiale in Italia, i pacifisti chiamati disfattisti, c’erano studenti che denunciavano i professori per aver espresso l’auspicio della fine dei combattimenti.
-Tanto vinceremo noi - dice Severgnini, come se anche noi fossimo in guerra,  risentendo fortemente, qui in Italia, della propaganda  ucraina, la stessa della Prima guerra mondiale, che scoppia  perché si è “alzata l’asticella”, senza alcun controllo. L’etica della responsabilità per i governanti e l’uso delle parole:  l’Italia avrebbe potuto svolgere un ruolo di pace, oggi essi diventano  codicillo della Nato. Dimenticando che questa Europa non può avere identità se esclude da sé la Russia, se ne esclude risorse e cultura:  si è spezzato un faticosissimo  processo di koiné europea, gli ucraini stessi sono molto simili a noi, ma resta assurdo il paragone resistenza ucraina e italiana, come se Azov non esistesse.
Tanto da fare, tanto da studiare, ammonisce il professore, di fronte al pubblico che, formato in particolare da studenti, ha seguito con interesse e partecipazione. Efficace il discorso, e impegnato, in questo andirivieni della Storia fra l’oggi e la contemporaneità. Per promuovere nuova consapevolezza tra il pubblico, di fronte a una classe  dirigente  per nulla investita della sua funzione principale, preservare i cittadini dalla guerra.

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