Carbonia. I 72 giorni della non collaborazione. Serrata in SMCS e nuova solidarietà per la classe operaia di Carbonia che si batte per il riscatto del lavoro in Sardegna. Una camionetta della polizia uccide l’operaio Luigi Benigno

26 Giugno 2022
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Gianna Lai

 Oggi è domenica e noi pubblichiamo un pezzo di storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

In permanenza la polizia nei piazzali della miniera, preoccupata forse la dirigenza per le possibili reazioni delle maestranze ormai ridotte alla fame, perché questo è, nell’azienda di Stato SMCS di Carbonia, ogni ricatto buono per imporre la fine della protesta, da intendersi come via libera ai licenziamenti di massa. In particolare rispetto alle nuove forme di lotta, è ora necessario impedire l’accesso degli operai allontanati dai cantieri, che ogni giorno continuano a presentarsi al lavoro e, tra essi, lo stesso caposervizio di Sirai Piero Zonza. Ora gli operai licenziati restano in galleria, occupano i pozzi e impediscono così l’intervento della forza pubblica contro ciascuno di loro, essendo interdetta a carabinieri e poliziotti la discesa in miniera. E racconta di quei giorni Renzo Laconi, dice la professoressa Di Felice, come anzi “nonostante l’invito di Giovanni Lay e Renzo Laconi”, i minatori rifiutassero di tornare in superfice: quei “ultimi terribili giorni della vertenza … alla Camera, a un anno di distanza”, li descriverà ancora il dirigente comunista, con l’angoscia dell’impotenza di fronte a un pericoloso precipitare degli eventi. Forma di lotta estrema l’occupazione dei pozzi, che si aggiunge allo stato di “desolazione e di fame in cui versano le famiglie operaie stremate dal lungo sciopero”, sicché, a sei giorni dall’inizio dell’occupazione, come denuncia L’Unità del 12 dicembre, l’azienda rompe gli indugi e “quattro carabinieri scendono in galleria a pozzo Vigna” fuori, evidentemente, da ogni regola. Il resto della forza pubblica in superficie, stazionano “poliziotti con autoblindo nel piazzale di pozzo Vigna e, senza mezzi corazzati, negli altri pozzi” , l’ingresso degli operai ormai quasi sotto scorta.
E resta di quell’esperienza memoria importante grazie sopratutto all’opera dei sindacati e delle sinistre, in permanenza a fianco dei lavoratori per sostenerne la lotta, e all’ informazione nazionale e locale che essi garantiscono, dando conto man mano del suo svolgimento, sicché le notizie possano arrivare dapertutto. Così L’Unità del 15 dicembre attraverso lo scritto di A. Moretti, “Il significato della lotta di Carbonia”, per inquadrare, indifferente il governo, le agitazioni delle miniere italiane in crisi, nel contesto ampio della politica internazionale e dei veti, probabilmente stranieri: “l’Italia importa molto più carbone di quanto ne consumi il suo apparato industriale e ci sono impianti per la fabbricazione di fertilizzanti, in attuazione nei vari paesi stranieri. Ma in Valdarno, dopo anni di discussioni, l’impianto progettato dalla SICS, per l’utilizzazione della lignite, non ha trovato la sua realizzazione, per inconcepibili veti”. E tornando nel Sulcis, a dare la dimensione della prova di forza tra azienda e operai, un quadro descrittivo generale e una denuncia dell’assurdo divieto SMCS all’esercizio delle libertà sindacali: “La direzione minaccia di non corrispondere paghe e gratifiche natalizie e, mentre la polizia assedia la città, proibito alle Commissionin interne, in un comunicato della direzione, qualsiasi discorso agli operai e qualsiasi comunicazione nei cantieri, pena il licenziamento. Ma gli operai continueranno a svolgere le loro assemblee”. Dieci carabinieri col mitra spianato, “insieme al caposquadra La Guerra, hanno tentato invano di far uscire dalle gallerie i minatori licenziati. Obbligato il minatore A. Pisu, una volta fuori dal cantiere, a seguire i militari in questura, dove è stato poi costretto a firmare una dichiarazione che riconosce l’ordine dell’azienda, relativo al suo licenziamento”, onde impedirgi il rientro in miniera, pena le sanzioni dell’autorità. Ed infine, annunciata già da tempo, i dirigenti proclamano la serrata e, per loro ordine, sorveglianti e capisquadra non scenderanno nei pozzi fino a quando non si riprenda il lavoro a cottimo, vietandone il codice mineraio l’accesso ai minatori, se non in loro presenza. Ridotta l’erogazione dell’aria, impossibile rifornirsi di olio per gli argani, a causa della chiusura dei magazzini, ancora agenti attesi intanto dalla penisola, ed altri dalla provincia, a sostenere la serrata e l’eventuale, possibile contrasto, secondo le autorità, con gli scioperanti. “Promessi grandi rinforzi dal questore di Cagliari Genovese, concentrate le forze di polizia della provincia a Carbonia”, si legge ancora su L’Unità del 17 dicembre: a “Carbonia in stato d’assedio, per tutta la notte mezzi corazzati e camionette della polizia hanno girato con sirene ululanti”. E sarà proprio durante uno di quegli attraversamenti in città da parte delle forze dell’ordine, ormai usuale nel tempo dei 72 giorni, a restare ucciso il minatore Luigi Benigno, il 16 dicembre, “la prima vittima del terrore di Spinoglio……. investito da una comionetta della polizia in via Roma: il Benigno è deceduto sul colpo per frattura del cranio”. Luigi Benigno, padre di 8 figli resta ucciso sotto una macchina della polizia, si legge nella nota di protesta della Camera del lavoro cittadina, dopo l’assemblea del 16 dicembre, di cui parlerà poi Velio Spano, come vedremo, nell’articolo del 18 su L’Unità. E denuncia la Camera del lavoro i gravi comportamenti tenuti dai poliziotti in quei giorni in particolare nella mattina del 14 dicembre, mentre attraversano la città per andare a presidiare i cantieri della miniera: spari e raffiche di mitra in aria, di fronte alla popolazione attonita e intimidita, incapace di esprimere “alcuna reazione”: nella lettera di alcuni poliziotti democratici, datata 31 dicembre 1948, come vedremo, la richiesta di scuse estesa all’intera città.
E non si fermano i licenziamenti dopo la morte dell’operaio, né con l’annuncio della serrata, questa volta “licenziati altri tre membri delle Commissioni interne, Vittorio Lai, E. Cannas, E. Gaviano, perché sorpresi a parlare con gli operai”. Ormai adusa l’azienda a comunicare con le maestranze solo attraverso la forza pubblica, “scortati da poliziotti armati, alcuni ragazzi hanno affisso avvisi in cui si comunica che non verranno corrisposti i salari, né la gratifica natalizia”, dato che le stesse “forze di PS hanno avuto l’ordine di assicurare la completa libertà di lavoro per tutti i lavoratori”: questo il comunicato SMCS, pubblicato su L’Unità del 15 dicembre. Che il lavoro a Carbonia sia divenuto ormai solo questione di ordine pubblico, e non questione sociale da risolvere subito e politicamente, dà finalmente la stura alla direzione di mettere in atto ancora rappresaglie. Gli operai costretti a intensificare la protesta per la riammissione della rappresentanza nei cantieri, per la riammissione in galleria degli operai licenziati e arrestati, fin dalla retata del 28 agosto in città. Oramai risultano licenziati tutti i membri delle Commissioni interne e i sindacalisti Cgil, una vera persecuzione politica, ricordano Vittorio Lai e Aldo Lai, e poi arbitrii impensabili messi in atto persino dal questore di Cagliari, che rifiuta all’Udi, nel capoluogo, l’autorizzazione alla raccolta di viveri, in piazza, da destinare ai minatori di Carbonia, invocando l’art. 106 del Testo Unico di Pubblica sicurezza. E tuttavia la città di Cagliari consegnerà ugualmente i pacchi e il danaro nella sede dell’Unione Donne Italiane, in via Regina Margherita, contando fra i sottoscrittori, parlamentari del Pci, del Psi e del Psd’az socialista. “Tutti i giorni dall’8 all’11 dicembre”, si raccoglie la solidarietà per Carbonia, a disposizione “l’elenco dei sottoscrittori, nel capoluogo, nonostante la proibizione del questore”. Persino il presidente della Repubblica Einaudi donerà, nei mesi successivi, un milione di lire per Carbonia, come vedremo, consegnando la somma direttamente alla deputata Nadia Spano: chissà se anche lui, parte di quella solidarietà da impedire con intervento del questore di Cagliar.

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