Michele Podda a domanda di Andrea Pubusa risponde
Michele Podda ha scritto un libro “Sardu totunu”, Sandhi ed., nel quale delinea un percorso per il rilancio della lingua. Il tema è vitale. Diceva Cicitu Masala che ad una comunità puoi togliere molto, ma se le togli la lingua, muore. Noi, a giudicare dalla precaria situazione della lingua sarda, siamo già in coma. Urgono rimedi. Ne parla Michele nel suo libro. Di qui l’interesse per la sua opinione, nella speranza di avere altri contributi.
- Caro Michele, senza offesa voi difensori della lingua sarda di solito vi esercitate in analisi critiche, pars destruens, ma poco in proposte, pars costruens. Lanciate l’SOS. La lingua sarda sta morendo definitivamente. Ma qualcosa si è fatto, con quali risultati?
- Nonostante qualche passo importante sia stato compiuto, e mi riferisco principalmente alla normativa europea sulle lingue minoritarie, alla 482 dello Stato italiano e alla legge 26 della Regione sarda, devo rilevare che i risultati concreti, quelli che potrebbero davvero costituire una svolta e invertire il corso negativo che porta alla estinzione della lingua sarda, sono davvero modesti.
- Forse la volontà degli studiosi e dei politici non è stata sufficientemente determinata e incisiva…
- Sì, sopratutto nella questione più importante, ossia l’introduzione dello studio obbligatorio della lingua sarda nelle scuole e il recupero totale di tutte le parlate della Sardegna.
- C’è stata però la ripresa del sardo in diversi campi.
- Non lo nego. Mi colpisce però l’uso a volte stravagante della lingua sarda fra gli intellettuali, fra gli operatori stessi dei cosiddetti “Uffici della lingua sarda” o sportelli linguistici presso Regione ed Enti locali, fra gli insegnanti delle numerosissime scuole in cui si svolgono corsi di sardo finanziati dalla Regione o dallo Stato, fra scrittori e poeti in Limba.
- Uso stravagante?
- Lo definisco “uso stravagante” in quanto spesso si tratta di un linguaggio innaturale, con termini “sardeggianti”, con una sintassi assolutamente improbabile e soprattutto con una presenza asfissiante di lingua italiana frammischiata in vari modi a quella sarda. Senza parlare poi delle trasmissioni radio-televisive in cui tale linguaggio, assolutamente non sardo, viene recepito e quindi imitato dai poveri ascoltatori, specie i più giovani, convinti così di avere cominciato a riappropriarsi di una lingua che pare sardo ma che sardo non è.
- Abbondano anche le pubblicazioni, come ti sembrano?
- Le stesse pubblicazioni, vocabolari grammatiche e opere letterarie o di altro genere in lingua sarda, denotano talvolta superficialità e trascuratezza, dettate quasi da una fretta indiavolata di pervenire alla pubblicazione fine a se stessa, indipendentemente dal raggiungimento delle finalità che l’opera in sé avrebbe dovuto porsi.
- Come giudichi la decisione della Regione sarda di adottare la Limba Sarda Comuna come lingua ufficiale in uscita?
- Ha creato non poco scompiglio fra gli intellettuali, quelli campidanesi in particolare, ma anche fra moltissimi di area logudorese e di tutta la Sardegna. Ciò in considerazione del fatto che si antepone l’uso immediato della lingua sarda senza la sua necessaria conoscenza e la predisposizione di adeguati strumenti per un suo corretto utilizzo. Buro-linguisti dunque hanno massacrato, molti in buona fede, la vera lingua sarda parlata da tutti i sardi, con lo scopo di poterla utilizzare subito in contesti nuovi e inadatti quali sono quelli culturali e burocratici, piegandola in modo forzato e ottuso a modi e forme che non le appartengono. Tale uso avrebbe dovuto essere deciso soltanto una volta operato il totale e sicuro recupero della lingua, e dopo un suo radicamento nella scuola e nella stessa società secondo quei parametri che ben si adattano alle sue effettive caratteristiche consolidate nella tradizione popolare.
- Vuoi la mia opinione che in materia sono profano, ma di madre lingua? E’ innaturale e prevaricante, autoritario direi, pretendere d’imporre una lingua artificiosa ai parlanti. Io non abbandonerò mai il mio sulcitano per una parlata inventata. Ma qui siamo alla pars destruens, passiamo alle proposte…
…Perché non si dica che son buono solo a criticare, e che non posso vedere nessuno sopra di me perché gli scoverei lo sporco del mondo, è necessario che anch’io esponga la mia idea, per la lingua.
- Sentiamo.
- Ho già detto della Lingua sarda comuna, dei documenti in sardo che “escono” dalla Regione, degli “sportelli linguistici”, e di tutti i soldi spesi per progetti di ogni genere: corsi, pubblicazioni, programmi radio e Tv, riviste e giornali, mille specie di cose che costituiscono un impasto grande più che mai di “sproloquiata di sardo mezzosangue”, senza capo né coda.
- Beh, non tutto è da buttare!
- Ammetto non tutto è così, che talvolta strafalcioni non ce ne sono, che ce n’è anche scritto e parlato bene, di sardo. Tuttavia, destino vuole che il poco non corretto prevale sul molto, perché leggendo un po’ di sardo scadente, sparisce la voglia di continuare, come se lo fosse tutto . Che fare, allora?
- Proprio questo voglio sapere da te.
- Prima di tutto bisogna raccogliere tutta la lingua sarda. Di lavoro già svolto ce n’è veramente tanto; c’è da ricomporlo, metterlo insieme, ricontrollarlo attentamente, in tanti, e risolvere le incongruenze.
- Un lavoro sovrumano, ci vuole una squadra…
- Sì, certamente, penso ad una Commissione di esperti di lingua sarda, dei migliori come Paulis, Pittau, Virdis, Bandinua, Puddu … e dei più appassionati…
- Per non fare nomi, potresti esserci anche tu…
- …e altri che vogliano mettersi a studiare, non a produrre norme; che abbiano il coraggio di sentire gli anziani, con molta pazienza; persone che non si stancherebbero mai di studiare la lingua.
- Ci vorrebbe una precisa divisione del lavoro…
… coinvolgendo anche altri se necessario, e in ogni paese cercassero gli anziani e li ascoltassero, e registrassero tutto quello che verrebbe alla luce, entro uno o due anni avrebbero fra le mani tutta la lingua sarda.
- Ma come dovrebbe procedere la Commissione?
- Anzitutto, individua in ogni paese della Sardegna una persona capace per redigere il dizionario di quella parlata. Nel caso di paesini piccoli o quasi uniti fra loro, un incaricato potrebbe bastare per due o per tre comuni.
- Ma questi testi devono essere vagliati dalla Commissione?
- Sì, visionati dalla Commissione che li valuta ed esprime un suo giudizio. I testi sarebbero configurati per ogni scuola, da quelle inferiori a quelle superiori, dalla materna all’università.
- Secondo me però il problema della nostra lingua è che non viene più parlata. Anche al mio paese ho notato che si usa sempre meno sia fra genitori e figli sia fra i ragazzi, resiste fra artigiani, pastori e agricoltori…
- Perché la lingua sarda si utilizzi sia oralmente che per iscritto, dapprima è necessario che si approvi la legge che maggiormente importa: quella che introduca il sardo a scuola; finchè non la si approverà, quanto si farà non servirà a niente, non basterà mai.
- Quindi tu pensi che la riscossa debba venire dalla scuola?
- Sì, quando la lingua sarda entrerà nella scuola, obbligatoria per tutti i sardi, allora comincerà a riprendersi. Trascorsi un paio d’anni, la gente comincerà a capire che cos’è la lingua sarda, i bambini l’impareranno velocemente e il resto andrà da sé.
- E come pensi si debba procedere?
- Inizialmente la si studierà come normale disciplina, in seguito diventerà anche lingua veicolare, per cui si apprenderebbero tutte le materie in sardo. A questo risultato si giungerebbe senza neanche accorgersene, se il resto del percorso fosse concluso.
- D’accordo sull’importaza dell’introduzione del sardo a scuola. Tuttavia a me sembra che il fattore fondamentale di rivitalizzazione sia la ripresa dell’uso nella conversazione. Perché noi sardi non parliamo in sardo se non in certi ambienti? Come ti dicevo, in paese ho notato che anche gli artigiani coi figli parlano in italiano e i ragazzi parlano in italiano. A me capita di parlare in sardo e mi rispondono in italiano. Pensano che mi rivolga a loro in sardo considerandoli incapaci di parlare italiano. C’è nei sardi un pudore o quasi una vergogna a parlare in sardo fuori da certi ambienti. Abbiamo vergogna quasi di dire che siamo di madre lingua, perché questo tradisce una origine sociale umile o, comunque, poco acculturata. Ci vorrebbe una terapia psicologica di massa per far sì che in ogni occasione in cui è possibile (specie nell’interlocuzione personale) si parli in sardo. Cosa ne pensi?
- Hai colto perfettamente il problema. Bandinu ha sviluppato la questione. Il primo motivo per cui è importantissimo che il sardo entri come materia obbligatoria a scuola è il seguente: l’acquisizione di prestigio. Com’è che diceva Dante nel De vulgari eloquentia? Il volgare da scegliere doveva essere “illustre, cardinale, aulico e curiale”. Prima di tutto illustre, di rispetto, di prestigio.
- Quindi non dal basso, dal parlare comune, ma dalla scuola può venire la ripresa?
- Sì, l’uso del sardo nella conversazione può arrivare soltanto dopo che gli si riconosca prestigio, cosa per ora impossibile. Il modo può essere l’obbligatorietà scolastica, poi potrebbe arrivare il bilinguismo e l’uso nel quotidiano. Hai ragione c’è un problema psicologico e questa sarebbe la terapia.
- Sarà come dici, ma rimango dubbioso…
- Ricordi? Un periodo Biolchini e Cubeddu volevano gli incontri al bar nella piazza Yenne per parlare in sardo … Non basta. Ci vuol altro!
- Cioè?
- Hai visto questi giorni? Gli studenti scrivono e gridano “siamo tutti pastori” (pastorazzos), credo che questa sia una conquista importante quanto il prezzo del latte. Io a 15/18 anni non sopportavo tutto quel che era sardo; poi sono andato all’estero e lì, e all’università studiando storia con Sotgiu, ho cominciato a capire.
- Tu dici che la scuola è il punto di snodo per salvare il sardo. D’accordo. Ma pone il problema dei docenti. Devono essere parlanti, solo prof. o anche pastori, agricoltori, muratori etc.?
- I docenti devono essere parlanti, meglio se di lettere o di lingue, ma non solo. E’ evidente che potrebbero utilizzare dei collaboratori particolarmente adatti per pronuncia, dizione, chiarezza nell’espressione in lingua sarda e perfetti conoscitori del proprio dialetto; facile trovarne, fra anziani ma non troppo.
- Sicuramente anche nelle famiglie stesse degli alunni…
- Pensa quale “onore” per i parlanti entrare in classe per aiutare il docente nel testimoniare le giuste espressioni linguistiche della tradizione locale, sia nel lessico che nella fonetica.
- Capisco, tu dici intorno alla scuola creare un movimento che coinvolge anche le famiglie, il paese, il quartiere, concorrendo così a rendere il sardo di nuovo una lingua familiare e veicolare. Bello, ma difficle. Speriamo. Per parte mia penso a una “Giornata dell’orgoglio sardo”, in cui tutti parliamo in sardo, magari con una berritta in testa!
6 commenti
1 Aladin
3 Marzo 2019 - 10:27
Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=94097
2 Antoneddu Giuntini Aramu
3 Marzo 2019 - 12:13
Medas gratzias a Andria Pubusa e a Micheli Podda po custa bella arrejionáda.
Mi onoru de essiri amigu e cumpagiu de totu e duus in milli batallas po chi totus is populus de su mundu siant “liberus, rispetaus, ugualis”.
Medas gratzias a Andria e a is paesanus suus po su “Caminu de sa Liberadi” chi arregordat su sacrificiu de Sarbadore Cadeddu, martire de Palabanda e ghia in sa rebellìa de ” S’ Annu ‘12″, su famini de s’ annu’12, su 1812, annu de famini, de carestìa e puru annu de “Famini de Libertadi” ca s’ idea insoru fut cussu de ripiti s’ avolotu, sa ribellìa, de su 28 de abrili de su 1794.
In is iscolas andant istudiàdas siat sa lingua chi sa storia de custa terra nosta.
Arrisposta
Antoneddu stimau,
Seu deu a essi onorau de essi amigu tuu, chi as sempri battalau po sa justitzia sociali e po sa Sardigna nosta.
A tui e a totus annuntziu c’appu scrittu unu librixeddu po is marturis de Palabanda, chi bessiri a sa fini de arbili.
Annuntziu puru ca po sa di de sa Sardigna a Nuxis torraus a sa grutta de Tattinu abui Srabadori Cadeddu si fuda fuiu apustis de sa ribellia de s’annu ‘12.
A commenti narada Franciscu Cocco finzas a candu nosu sardus non torraus a chistionai cun orgoliu sa lingua nosta, non conosceus sa storia nosta e non poneus in is prazzas e arrugas is nominis de is patritottus nostus, non si podeus nai liberus.
A si bidi cun saludi.
Andria
3 ACASIONERI
4 Marzo 2019 - 14:25
Bell’intervista, caro Prof.
Mi permetto soltanto di evidenziare alcune novità che pare siano rimaste in ombra, soprattutto sul versante della legislazione.
La legge regionale n. 26 del 1997 è stata abrogata dalla legge regionale n. 22 del 2018 (Disciplina della politica linguistica regionale), approvata anche in seguito all’entrata in vigore del D. lgs n. 16 del 2016, di attuazione dello Statuto speciale, che ha trasferito alla Regione importanti funzioni in materia di lingua sarda e catalana.
La legge regionale prevede ora una disciplina organica che tocca molti ambiti considerati nell’intervista, compresi numerosi e complessi interventi in ambito scolastico.
4 Antonio Vargiu
6 Marzo 2019 - 18:39
Cumprendu su problema chi tocat a totus. Ma comenti feus po abandonai onniunu sa lìngua sua po diventai una sceti? calli però? totus funt cunvintus po sa lìngua leteraria logudoresa! ma poita deu mi domandu! e su campidanesu? sa lìngua prus fueddada in totu sa sardennia benit at a essi abandonada perdendu unu patrimoniu de cultura chi depeus inveci allogai. Deu ia a essi de su pareri chi donniunu alloghit sa lingua sua ca est scrita in su coru de nonnus nostus. Seu de acordiu chi si usit un’unica ortografia gramaticalli. Grazia a totus e unu salludu de coru. Antonio Vargiu Nurri
5 Michele Podda
7 Marzo 2019 - 16:56
A Acasioneri - D’accordo, la legge 22 ultima costituisce un passo avanti nella ridondante legislazione sulla lingua sarda, ma resta timidamente “in ombra”, in quanto insiste ancora sulla salvaguardia e valorizzazione, cosa già detta e ridetta infinite volte nel passato e che mai ha costituito un effettivo cambiamento di marcia sulla questione. L’aspetto più rilevante? Che non parla di “due lingue”, come alcuni chiedevano, ma di UNA LINGUA SARDA, costituita da tanti dialetti quante sono le comunità isolane. Come chiarito ampiamente, se non vi sarà l’insegnamento obbligatorio del sardo in tutte le scuole dell’isola, esso resterà sempre elemento marginale che andrà impoverendosi gradualmente fino a scomparire del tutto; è facile constatarlo giorno per giorno.
A Antonio Vargiu - Sa chistione de “cale limba sarda” non tenet fine, no acabbat mai, e po li dare importu no est in cue chi tocat a batallare. Ite amus de chircare? Su sardu de ponner in iscola lu tenimus bivu e sìncheru in donnia bidda de Sardinna, e cussu depet intrare in iscola totue. E tando “donniunu alloghit sa lingua sua ca est scrita in su coru de nonnus nostus”. Cussa est sa limba sarda de beras, UNA E PINTA. Cun s’iscola imparamus medas cosas, puru a l’iscrier cun grabbu e assentu.TOTUS. S’inditu zustu mi paret chi lu dat craru craru Mialinu Pira: issu po iscrier “Sos Sinnos” no est andau a chircare allargu meda, at iscritu in bithichesu, pintu e lintu.
6 ACASIONERI
27 Marzo 2019 - 13:09
Gentile Michele Podda,
La legge regionale n. 22 del 2018 è una legge moderna sulle minoranze che garantisce, qualora attuata con rigore, l’effettività dei diritti linguistici, anche e soprattutto sul versante scolastico.
Per il resto, basterebbe un sommario sguardo allo Statuto sardo per rendersi conto che invocare l’obbligatorietà dell’insegnamento è abbastanza inutile, se non per un esercizio di stanca retorica dal quale, a mio modestissimo avviso, tutto il movimento linguistico dovrebbe astenersi. In assenza di una revisione costituzionale ai sensi dell’articolo 54 dello Statuto, peraltro auspicabile, sardo e catalano continuano ad esser assoggettati alla disciplina generale della legge 482 del 1999 per quel che attiene i principi, compreso quello della volontarietà su cui è imperniata tutta la legislazione sulle minoranze (con rilevanti eccezioni relative, prima di tutto, alla comunità francofona valdostana e tedesca dell’alto adige).
Cordiali saluti.
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