Regionali: al cappio della legge truffa stavolta finiscono Zedda e Desogus

8 Dicembre 2018
3 Commenti


Amsicora

 (la legge regionale elettorale truffa: stavolta a chi tocchera?)

Avviso ai naviganti democartici, di tutte le bandiere, tendenze e sfumature! Rendo noto a tutti, nessuno escluso, che in questa campagna elettorale regionale sarò ruvido e ispido, che dico? peggio!, sarò scontroso, urticante, intrattabile, dirò la mia senza reticenze, anche a rischio di scontentare qualche politico.
Vi confido, ma non fatene parola neanche in casa, che mi è giunta voce che qualcuno si è già risentito. Critica troppo netta, quasi aspra. Ma la critica, se argomentata, non è mai segno di inimicizia, al contrario è manifestazione di attenzione, è auspicio di correzione. Del resto, non sono i filosofi della scienza  a dire che la storia della verità coincide con la storia dell’errore? E’ la scoperta dell’errore e la sua correzione che ci dà una nuova acquisizione, una più fondata conoscenza, valida fino a prova contraria. E’ questo il moto della libera ricerca e del progresso. Ahime! Lo so qui non siamo nel mondo alto della filosofia, qui siamo terra-terra, ma il ragionamento vale anche nel pollaio regionale. Quindi, confermo, bando al buonismo!, sarò antipatico, ma a fin di bene e senza malanimo o inimicizia.
E allora, dico subito che quattro candidati presidenti contro l’unico del centrodestra sono troppi, è la via della sconfitta certa, sicura, matematica. Per essere chiari, democratici di tutte le tendenze!, Zedda e Desogus spaiati puntano ad arrivare secondi, Murgia e Maninchedda a superare lo sbarramento e ad avere il diritto di tribuna in Consiglio. Niente più! Così divisi, il centrodestra ha partita vinta, senza combattere. Salvini, come Cesare, potrà dire di rientro dalla terra sarda: veni, vidi, vici, andai, vidi, vinsi. Mi viene il sangue alla testa solo a pensarlo!
Zedda, foglia di fico del PD in liquefazione, si impiccherà, politicamente parlando, alla legge truffa elettorale pensata dal PD e da FI per far fuori il M5S. Agli apprendisti stregoni, spesso sfuggono di mano e si rivoltano contro se stessi i malefici ideati contro gli altri.  Il dato è questo: con una legge ipermaggioritaria, elaborata per un sistema bipolare, chi aggrega il massimo delle forze vince, gli altri, in ordine sparso, perdono. Porca miseria! Zedda e Desogus si stanno prendendo una bella responsabilità, di cui devono e dovranno rendere conto non ai loro iscritti, ma a tutti i sardi. Dai sondaggi che girano, il centrodestra sarebbe al 40% e poco più, solo Zedda e Desogus insieme sarebbero al 45%, con incremento di qualche punto con Murgia e Maninchedda. Il conto è presto fatto: Solinas e sopratutto Salvini, con un’alleanza PD-M5S, verrebbe malamente stoppato, andrebbe via dalla Sardegna con la coda fra le gambe.
Compagni ed amici, sarò franco: a me e alla maggior parte dei sardi che Zedda entri o non in Consiglio regionale poco frega e ancor meno che entrino i suoi amichetti. E che tange se Desogus, battuto da Solinas-Salvini, porti in via Roma una pattuglia di sconosiuti pentastellati? Idem per Murgia e Maninchedda. Per me ciò che conta, qui ed ora, è metter sù un progetto unitario che consenta di far sì che nella terra di Lussu e di Gramsci non vinca il lupo leghista. E per far questo non serve la bella faccia di Zedda, le regionarie di Desogus o is Primarias di Maninchedda. Serve mettere la Sardegna al posto delle loro rispettabili, ma piccole persone, anteporre a quello dei singoli, l’interesse generale dell’Isola. I sardi prima di ogni cosa.
Compagni ed amici, non paia ruvidezza, ma voglia di verità. Zedda rappresenta non un aggregato di forze ascendenti, ma un’accozzaglia di residui: del PD in dissoluzione, degli spezzoni della sinistra frantumati dalle loro lotte intestine, dal loro opportunismo fino ad essere ormai irrilevanti. Massimo è il capofila di Campo progressista, ormai esistente (si fa per dire) solo in Sardegna. di un PD sulla strada dell’ulteriore e finale scissione. Insomma - è doloroso dirlo - Massimo capeggia un coacervo di scarti d’elettorato. E Desogus? Sembra una brava persona, ma la legittimazione che gli viene da 450 voti presi in Regionarie clandestine è troppo poco per dargli l’investitura a governare l’isola e a rimuovere i suoi mali endemici e quelli aggiuntivi del governo Pigliaru. Maninchedda vuole nascondere la sua politica sempre all’ombra del potere (di centrosinistra o di centrodestra poco importa) con un’iniziativa “un clic per la Natzione“, che è risibile e impresentabile a persone di media serietà e cultura, in fondo - non me ne voglia Paolo - una presa per i fondelli. Murgia è dignitoso e preparato, ma si arrabatta a superare lo sbarramento del 5%.
Amici miei, rispetto a queste liste l’armata Brancaleone era una potenza! Eppure, eccetto il M5S, tutti gridano, all’indirizzo di Salvini, un giorno sì e l’altro pure, “al lupo fascista, al lupo fascista!“. Non credo che nelle regioni governate dalla Lega la preoccupazione fondamentale sia mettersi i gambali e usare olio di ricino e manganelli. Mi pare che il focus dei gruppi dirigenti leghisti sia centrato più sugli affari, grandi opere, appalti, sanità privata. Ma non nego che Salvini, coi suoi proclami infami e i suoi atti di governo, alimenti un humus pericoloso, perché crea un clima di intolleranza e di prevaricazione nei confronti dei diversi, che è un elemento fondante del fascismo. Quindi anche a me fa imbufalire solo l’idea che la terra di Lussu e Gramsci venga profanata dalla vittoria leghista. Ma sono già grandicello per prendere il fucile e andare in montagna, penso sia meno faticoso e più semplice resistere col voto. Compagni e compagne!, voglio una lista, capace di battere il lupo leghista! Siamo in tempo. Per farlo Zedda e Desogus devono smetterla di lavorare per arrivare secondi, e Maninchedda e Murgia per superare lo sbarramento. Ci vuole uno scatto di responsabilità. Uniti si arriva primi, si vince, senza perdere ciascuno la propria identità, per chi ne ha. Non credo che i rottami della ex sinistra possano saldarsi e rifondarsi nella sconfitta, nè che i pentastellati possano dare un contributo anche alla battaglia nazionale di contenimento della Lega lasciandola vincere a man bassa da noi. Maninchedda, se vince Salvini, la Natzione se la sogna, e Murgia tornerà a fare l’onesto e diligente funzionario europeo. Se vogliono sbattere la testa al muro, si accomodino. Io non ci sto!

3 commenti

  • 1 Serenella
    8 Dicembre 2018 - 08:13

    Tutto perfetto!!!! Personalmente, spero nello scatto di responsabilità. Ci sarebbe spazio per tutti!! Spazio inteso come manifestazione della propria peculiarità che creerebbe, paradossalmente, unione e l’unione fa la forza, forza di riscattare tutti i sardi! Obiettivo comune contro un nemico comune!! Questo è lo step da elaborare ADESSO. Buona Festa, anche per chi non crede :)

  • 2 Aladin
    8 Dicembre 2018 - 10:23

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=90900

  • 3 Tonino Dessì
    8 Dicembre 2018 - 23:36

    Ciao, Andrea. Ho pubblicato su FB una riflessione sulla situazione francese. Mi sembra venuta bene. Te la mando per Democrazia Oggi. Fammi sapere. Ciao. Tonino.
    …………
    Appunti sulla rivolta dei gilets jaunes. La Francia parla all’Italia?

    Di Tonino Dessì.
    La rivolta di piazza francese viene a mio avviso tirata da giorni per la giacchetta, pardon, per il gilet, da troppe parti.
    Persino Trump ne va sponsorizzando i tratti “sovranisti” in chiave antieuropea.
    Francamente non sono in grado di capire quanto una lontana interferenza di tale provenienza possa influire sull’evoluzione del movimento, se non incoraggiando ulteriormente l’estrema destra a tentare di cavalcarla e di infiltrarla.
    Per converso si osservano anche convergenze con i gilets jaunes di movimenti studenteschi e di ambienti sindacali vicini alla CGT e al sindacalismo di base.
    Non vedo, nonostante tutto, spazi per un’evoluzione neofascista della scossa sociale francese, rispetto alla quale il lepenismo stesso sembra ai margini.
    Semmai mi pare assai difficile considerare ispirata a un approccio politicamente democratico e soprattutto efficacemente dialogante la reazione del Presidente Macron e del suo Governo.
    La rivolta ha avuto la sua scintila nell’aumento delle accise sui carburanti per autotrazione, inopinatamente presentato come misura di politica ecologica.
    Ma politiche ecologiche basate su balzelli che aggiungano gravami alle condizioni economiche di ceti sociali che si sentono già pesantemente gravati da politiche fiscali e salariali generalmente restrittive, in una condizione di ampliamento delle diseguaglianze che per un lungo periodo abbia favorito i più ricchi, non possono non provocare reazioni oppositive anche durissime.
    La presidenza Macron, al di là dell’iniziale cosmesi mediatica, è una presidenza “centrista”, debole e credo ormai destinata a un insuccesso ineluttabile.
    Tornando alla rivolta, alcuni tratti evidenti dovrebbero far riflettere anche chi cerca di tirarla politicamente verso destra in Italia.
    Questa rivolta, per quanto al momento indubbiamente “bianca” dal punto di vista “etnico”, non si rivolge infatti verso “il basso”, nemmeno verso concittadini figli dell’immigrazione, neppure ha come bersaglio gli immigrati.
    Si scontra invece direttamente col potere politico, visto come interprete e difensore degli interessi dei poteri economici e finanziari.
    Se proprio dovessi speculare sulla situazione italiana guardando a quella francese, forse mi azzarderei a dire che la nostra specifica dinamica politica ha prodotto una situazione nella quale la formazione di una coalizione fra Lega e M5S è capitata proprio “opportunamente” per evitare uno scontro simile a quello francese.
    Questa nostra coalizione infatti, più o meno consapevolmente, sta indirizzando lo scontro sociale non sul bersaglio grosso (certo, meno facile da individuare nell’intreccio camaleontico dei poteri “forti” italiani, di quanto non sia nella più netta divisione in classi francese), bensì verso il basso (profughi, migranti, immigrati, rom, emarginati, homeless, accattoni) e orizzontalmente, introducendo cunei e divisioni nell’ambito dei ceti di condizione economica bassa, medio-bassa, media, sia su questioni afferenti allo stato sociale, sia su questioni afferenti ai diritti civili.
    C’è anche, nell’impostazione della politica economica e finanziaria del Governo italiano, una abbastanza rozza convinzione di poter attenuare le tensioni con misure che non ridistribuiscono la ricchezza “prodotta”, bensì distribuiscono risorse finanziarie virtuali derivanti dall’aumento del rapporto fra deficit e PIL.
    In realtà un centrismo piuttosto neodemocristiano, benché spostato a destra anche con qualche tratto feroce (ma non del tutto inedito), sembra il connotato del populismo all’italiana.
    È uno scenario senz’altro mistificatorio, assai lontano dalla capacità e direi anche dalla volontà di affrontare le questioni sociali strutturali italiane.
    Ma se può contare, come del resto accade in Francia, sull’inesistenza di una credibile opposizione partitica progressista e di sinistra, non sarei così sicuro che non finisca per impattare prima o poi su reazioni sociali oppositive, anche radicali, aventi radici, motivazioni e obiettivi analoghi a quelli francesi.
    Un caldo suggerimento agli analisti, infine.
    La Francia è l’ultimo Paese europeo a poter accusare la UE delle proprie condizioni attuali. Ha goduto di franchigie politiche, finanziarie, economiche, ben superiori a quelle mai concesse all’Italia quale che ne fosse il Governo pro tempore.
    Non affidate perciò alla geopolitica internazionale o anche solo europea la spiegazione di quanto accade nei singoli Paesi. Si rischia di cadere in illusioni ottiche ideologiche e poco realistiche.
    Meglio stare ai fatti nella loro concretezza.

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