Identità e istituzioni in Sardegna: una ricerca interessante, ma monca

29 Giugno 2018
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Gianfranco Sabattini

Per i tipi di Maggioli Editore, è stato di recente pubblicato il volume “Identità e autonomia in Sardegna e Scozia”, curato da Gianmario Demuro, Francesco Mola e Ilenia Ruggiu. Il volume contiene i risultati di un progetto di ricerca finanziato dalla Regione autonoma della Sardegna, recante il titolo “Specialità e differenziazione in Sardegna. Uno studio interdisciplinare e comparato su identità, istituzioni e diritti”.
La ricerca ha avuto lo scopo di accertare l’opinione dei sardi “su quali modifiche di carattere strutturale e contenutistico fossero necessarie alla Sardegna per uscire dalla fase di transizione istituzionale in cui essa si trova ormai dal 1999”; anno, questo, in cui è stata approvata la legge costituzionale n. 1/1999, con la quale è stata introdotta l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni ed è iniziato l’iter della riforma del Titolo V della Costituzione repubblicana.
Tale riforma, com’è noto, ha implicato lo “smarrimento” della “specialità” dell’autonomia della Regione sarda, sia per l’aumento delle prerogative delle Regioni ordinarie, sia per gli effetti seguiti all’istituzione del federalismo fiscale, secondo quanto previsto dall’articolo n. 119, in virtù del quale i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno acquisito autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci. La crisi del concetto di specialità ha comportato, nell’opinione dei sardi, il radicarsi della necessità di una riforma dello Statuto vigente, basata sul modello catalano di autonomia (ma col pensiero rivolto anche al modello scozzese), al fine di assicurare alla Sardegna “la possibilità di attivare politiche differenziate”.
Con la pubblicazione dei risultati della ricerca, i curatori del volume, partendo dalla situazione descritta e dalla constatazione che la modifica dello Statuto sta vivendo un momento di stallo, hanno inteso contribuire a rilanciare il dibattito sulla riforma, andando a verificare, secondo loro in modo insolito rispetto alla “metodologia giuridica”, cosa pensino i sardi della propria autonomia, dando ad essi la parola “per capire su quale tipo di percezioni e di esigenze debba fondarsi una riforma dello Statuto”. Da qui la decisione di svolgere un’indagine statistica, sui cui risultati sono state fondate le riflessioni “giuridiche politologiche e sociologiche” contenute nei testi dei diversi autori inseriti nel volume, considerate utili ai fini del rilancio del dibattito sulla riforma statutaria.
Secondo i curatori, i risultati emersi dalla ricerca sono interessanti e degni di considerazione “da parte di qualsiasi orientamento politico che vorrà avanzare proposte di riforma dello Statuto”; ciò perché dall’indagine emergerebbero “dati molto netti e sorprendenti che andrebbero presi in considerazione anche per staccarsi da visioni piuttosto conservative e forse datate di identità”; ugualmente forte e netto sarebbe “il dato che emerge rispetto al senso di autonomia come vissuto dai sardi, che è forte e reclama istituzioni con più poteri e nel contempo considera la politica incapace di rappresentare adeguatamente la specialità”. I curatori concludono l’Introduzione al volume, affermando che “oggi le ‘ragioni della specialità’ appaiono quanto mai vive. Spetta a questo punto alla politica saperle cogliere e valorizzare per immettere nuova linfa al concetto di specialità”.
La ricerca e le finalità dalle quali è stata ispirata sono senz’altro da apprezzare, pur mostrando qualche “forzatura”, compiuta per dare maggior forza al valore dell’identità assunta a presidio della specialità, con l’assegnazione di un identico significato a risposte non necessariamente sovrapponibili (sul piano delle motivazioni, quanti sono favorevoli ad essere indipendenti dall’Italia, ma parte dell’Unione Europea, non sono certo omogenei a coloro che aspirano ad essere indipendenti sia dall’Italia che dall’Unione Europea); la ricerca presenta inoltre la “grave” lacuna di non aver accertato la volontà dei sardi riguardo al modo in cui il maggior potere decisionale, acquisibile attraverso il ricupero potenziato della originaria specialità, dovrebbe essere distribuito a livello subregionale. Per rendersi conto della lacuna è importante descrivere, sia pure sommariamente, la struttura del questionario utilizzato, idoneo ad accertare cosa pensino i sardi della loro autonomia, ma non anche a verificare come essi desidererebbero che l’autonomia fosse presidiata, fattualmente e giuridicamente, da un’articolazione delle istituzioni a livello subregionale.
La composizione del questionario, decisa col contributo di un gruppo di lavoro multidisciplinare, si articola in tre sezioni, la prima delle quali è stata destinata a rilevare i dati strutturali dei soggetti intervistati, compresi in un campione della “popolazione residente in Sardegna con età non inferiore ai quindici anni”. Un’altra sezione è stata suddivisa in tre “macro categorie” di argomenti (la prima, volta ad accertare i sentimenti identitari degli intervistati; la seconda, recante le domande indirizzate ad accertare l’opinione circa le “istituzioni, i partiti politici, la rappresentanza e la visione futura della Sardegna come Regione parte dell’Italia”. La terza macro categoria, infine, è stata orientata ad appurare lo stato dell’opinione pubblica regionale riguardo ai rapporti Stato-Regione dal punto di vista economico). L’ultima sezione del questionario, secondo il gruppo di lavoro “meramente tecnica”, è stata utilizzata per esporre sinteticamente ciò che, a parere del “gruppo”, è possibile dedurre dalle risposte degli intervistati: ovvero, che i sardi, fortemente interessati ai “temi legati all’identità”, hanno manifestato un altrettanto forte interesse “nei confronti di aspetti istituzionali spesso lasciati ai decisori politici”. Ciò ha spinto il gruppo di lavoro multidisciplinare, cui si deve la costruzione del questionario e la sua somministrazione al campione della popolazione sarda, ad affermare che dai risultati complessivi della ricerca emergerebbe “uno scenario meritevole di attenzione da parte delle istituzioni”, validamente utilizzabile per risolvere i problemi che maggiormente interessano i sardi, con riferimento, sia alla Sardegna di oggi, che a quella di domani.
Per esprimere una valutazione su questa conclusione, occorre considerare i risultati che sono emersi dalle risposte degli intervistati alle domande che compongono la seconda sezione del questionario, in particolare a quelle comprese nella seconda “macro categoria” di argomenti (concernenti l’opinione dei sardi sulle istituzioni, i partiti politici, la rappresentanza e la visione futura della Sardegna come Regione parte dell’Italia).
Tenuto conto del fatto positivo che può essere tratto dai risultati delle risposte riguardanti la prima sezione del questionario (quella volta ad accertare il sentimento identitario dei sardi), da cui è emerso che, per la maggior parte dei sardi, “un’identità non esclude l’altra”, nel senso che. per sorreggere la specialità regionale sancita nello Statuto, non occorre necessariamente essere nato in Sardegna, in quanto i sardi si sentono portatori di una identità plurale, integrata nelle istituzioni in cui è “incarnata” l’autonomia: oltre che sardi, quindi, italiani, europei e cittadini del mondo, con buona pace per tutti coloro che sono sempre impegnati ad invocare per il popolo sardo un modello identitario, quale può essere quello catalano o quello scozzese, non fondato sulla natura e qualità delle istituzioni). Tenuto conto di tutto ciò, viene però da chiedersi quale opinione hanno espresso i sardi in merito alle istituzioni, alla distribuzione dei poteri tra di esse e alla visione futura della loro terra come Regione parte dell’Italia?
Secondo il gruppo di lavoro interdisciplinare che ha condotto la ricerca, sembrerebbe che, relativamente alle questioni più importanti per l’Isola (ristrette dal questionario unicamente alle materie di fisco, sanità, istruzione e affari europei, i sardi siano favorevoli all’attribuzione del potere decisionale al Consiglio regionale per quanto riguarda fisco, sanità, e istruzione, lasciando all’Unione Europea la competenza per gli affari europei.
Inoltre, riguardo al coinvolgimento delle istituzioni locali nell’esercizio del potere decisionale del Consiglio Regionale sulle materie oggetto dell’indagine, il gruppo di lavoro si limita a riferire che le risposte alle domande del questionario esprimerebbero che, per i sardi, i Consigli comunali e provinciali debbano essere coinvolti prevalentemente nelle questioni fiscali e in misura minore in quelle sanitarie. Sulla fiducia nella rappresentanza politica, infine, i sardi, com’era da aspettarsi, si sono espressi quasi all’unanimità in modo negativo, denunciando una profonda percezione delle difficoltà dei politici sardi, e con essi delle istituzioni regionali, a gestire l’autonomia.
Secondo Gianmario Demuro, autore di uno dei testi che accompagnano il commento dei risultati della ricerca, l’interpretazione che di essi, da un punto di vista giuridico (e si potrebbe aggiungere anche politico) può essere data, è che in Sardegna “vi sia una forte rivendicazione di maggiore rappresentanza politica, da sempre il principale veicolo dell’identità e della specialità”, percepite e interiorizzate dai sardi in funzione della crescita economica e dello sviluppo qualitativo dell’Isola.
Il fatto che la ricerca non abbia appurato le ragioni della bassa fiducia dei sardi sui propri rappresentanti politici e sulle istituzioni regionali costituisce la “grave” lacuna, della quale si è detto, dell’intera ricerca; lacuna che limita fortemente lo scopo dell’indagine, ovvero la conoscenza dell’opinione dei sardi riguardo al come essi vorrebbero che l’eventuale riforma dello Statuto vigente avvenisse, per il ricupero potenziato della autonomia speciale della loro Regione; ciò a supporto di una maggior tutela della propria identità, fondata sulla qualità di una crescita e di uno sviluppo che la distribuzione del potere decisionale fra le varie istituzioni nelle quali si è sinora sostanziata l’autonomia non ha saputo assicurare.
Cosa avrebbe dovuto investigare la ricerca, riguardo al problema dell’identità e dell’autonomia in Sardegna, per accertare l’opinione dei sardi circa il modo migliore per supportare la prima (l’identità) e utilizzare il potenziamento della seconda (l’autonomia), con l’obiettivo di perseguire la realizzazione di una crescita stabile dell’area regionale ed uno sviluppo più equo e diffuso a livello territoriale? Sicuramente, parte fondamentale nell’oggetto dell’indagine avrebbe dovuto essere il modo in cui affrontare l’ideazione di una riforma dello Statuto in grado di coinvolgere nei processi decisionali le comunità locali, attraverso una più appropriata organizzazione dell’Istituto regionale, sottraendo l’intera società sarda alla “confusione” venutasi a creare dopo la bocciatura del referendum sulla riforma costituzionale, quindi con l’adozione, da parte della Regione, di un ordinamento degli enti locali diverso da quello adottato.
Per uscire dalla confusione e dall’incertezza, una possibile organizzazione istituzionale, per una regione come la Sardegna (quindi, per la generalità delle regioni meridionali) non può che essere finalizzata alla rimozione dei due grandi limiti che hanno bloccato la crescita e lo sviluppo: l’inefficienza delle istituzioni locali, da un lato, e la mancanza di un adeguato supporto sociale da parte delle comunità locali a un’azione politica autonoma degli enti territoriali, orientata al superamento dell’arretratezza, dall’altro lato. Ma come rimuovere questi limiti?
La risposta non può prescindere dalla considerazione che, fino all’abolizione dell’intervento straordinario, tutto ciò che è stato pensato e realizzato, per la rimozione dello stato di arretratezza delle regioni meridionali, è stato “calato dall’alto”; ciò ha contribuito a creare una “contraddizione” che ha negato ogni validità operativa alle politiche di crescita e sviluppo poste in essere.
Allo stato attuale, perciò, la discontinuità, rispetto al passato, dell’organizzazione istituzionale della Sardegna dovrebbe essere orientata a garantire la partecipazione delle società civili locali alla formulazione delle scelte per la promozione della crescita e dello sviluppo, intendendo tale partecipazione come momento centrale di auto-formazione ed auto-realizzazione dell’intera popolazione sarda.
Tutto ciò nella prospettiva di poter rafforzare la capacità di auto-organizzarsi, per accrescere la volontà di cambiare la situazione attuale; in ultima istanza, la riforma dello Statuto vigente dovrebbe prefigurare un approccio alla crescita ed allo sviluppo dell’Isola, attraverso una distribuzione territoriale dei poteri istituzionali idonea a consentire la realizzazione di ciò che da sempre è mancato: la formazione di autonome soggettività locali. Ciò però implica il superamento del centralismo decisionale, sinora privilegiato a livello regionale; motivo, questo, che è alla base della percezione, da parte della popolazione sarda, dei limiti con cui i politici e le istituzioni regionali hanno fino ad ora gestito l’autonomia istituzionale.

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