A tre mesi dal 4 marzo: il ritorno del dualismo optimates-populares?

21 Giugno 2018
4 Commenti


Lorenzo Marilotti

 

Con questa riflessione Lorenzo Marilotti, giovane e brillante neo laureato in Giurisisprudenza, inizia la collaborazione con Democraziaoggi. Per i populares della Sardegna una recluta di sicuro avvenire ed affidamento.

 

Riflettendo sull’attuale situazione politica in Italia, più mi sforzo di ragionare e più mi accorgo di quanto la realtà sia sfuggente, caotica, forse per il momento illeggibile. Ma, in un certo senso la confusione e l’incomprensione sono giustificate da una forte paura dell’ignoto. Del resto, infatti, in seguito alle elezioni del 4 marzo, il governo è stato formato da una inedita combinazione di forze, che, a suon di contratto di governo, di post ideologie, di elucubrazioni del prof. Della Cananea e di forni ha, oggettivamente, aggiunto una pagina nel libro della politica italiana. Nel bene e/o nel male.
Questa strana combinazione, definita “Frankenstein” da alcuni, è ancora sfuggente, ma ha un minimo comun denominatore: i suoi componenti, nessuno lo nega, sono populisti, ossia forze che, per intenti, comunicazione e struttura, si professano, o perlomeno si dichiarano, vicine alle istanze di una massa popolare dimenticata e tradita. E, contro questo “Frankenstein”, già cominciano ad assemblarsi forze (più o meno propense ad allearsi) che temono effetti nuovi ed imprevedibili delle politiche dell’inedito governo.
Alla luce di ciò, pur ribadendo la difficoltà a leggere la realtà attuale, ritengo che ci siano gli estremi per ritenere che si stia compiendo nuovamente un ciclo storico (ovviamente, non della grande ma della piccola Storia), con la consapevolezza, però, che la domanda se la Storia sia veramente ciclica rimarrà, probabilmente, sempre senza risposta. Ciò non toglie, tuttavia, che si possano trovare somiglianze o rimandi, all’interno del suo scorrere o, almeno, divertirsi a tentare di trovarli, liberando la fantasia (un po’ come facevano gli antichi che, guardando il cielo, scoprivano costellazioni).
Mi piacerebbe portare alla mente, di chi pensa che la situazione che stiamo vivendo sia nuova, l’estate del 79 a. C., nella quale il sistema di potere incontrastato facente capo a Lucio Cornelio Silla e alla nobiltà senatoria (Renzusconi?) cominciava a ridursi precipitosamente, alla luce anche del fallimento del sovvertimento totale dell’ordine costituzionale. Contemporaneamente si ingrossavano le fila degli oppositori a quel sistema di potere. Si riproponeva, così, lo schema tipico, nella Roma repubblicana, della contrapposizione tra optimates e populares. I primi erano i cosiddetti cives optimo iure, ossia i cittadini di rango sociale elevato (nobili esponenti della classe senatoria) conservatori per eccellenza ed interessati a mantenere leggi agrarie che avvantaggiassero le grandi proprietà latifondiste. I secondi, sovvertitori dell’ordine preesistente, erano chiamati in maniera spregiativa populares (con un significato assai simile al nostro populisti) e si proponevano la redistribuzione delle terre, l’eliminazione dei privilegi.
Alla morte di Silla, le forze in campo erano molto eterogenee. Se, infatti, molti nobili conservatori a lui ostili erano pronti ad allearsi con il “giglio magico” dei fedelissimi sillani, in nome della conservazione di un equilibrio di poteri a loro vantaggio, dall’altro lato, anche gli oppositori erano formati dalle compagini più disparate: tra le loro fila si potevano scorgere sopravvissuti alle proscrizioni sillane, plebei urbani, proprietari terrieri spossessati, “democratici” sostenitori del tribunato della plebe, l’esercito ormai proletarizzato, commercianti, equites (imprenditori) ma, anche nobili dissidenti che fomentavano il malcontento popolare per calcolo o sincera dedizione alla causa democratica.
A mio avviso, è proprio il modo di rapportarsi al malcontento popolare il centro della questione, oggi come allora, poiché tra i leader dei populares potevamo trovare il nobile Claudio Pulcro che, come testimonianza della sua lotta per i diritti della plebe, rinunciava al suo status di nobile e plebeizzava il suo nome in Clodio, ma, d’altro canto, non mancavano nemmeno leader pronti a cavalcare le paure delle masse per aumentare il proprio consenso personale (vorrei paragonare Salvini a Pompeo ma non lo faccio per rispetto verso Pompeo, anche se loro due hanno in comune uno strano strabismo che permette loro di combattere dal lato populista ma con lo sguardo rivolto ai conservatori e al potere costituito).
Con questa modesta suggestione classicheggiante, all’attuale forza presente nel governo populista, genuinamente vicina ai più deboli, rivolgo l’esortazione a non perdere la purezza degli intenti e a guardarsi bene le spalle dagli avventurieri “compagni di contratto”. Alla sinistra o sedicente sinistra (se c’è qualcuno ad ascoltare), chiedo di uscire fuori dalla trincea di un intellettualismo, magari anche interessante ma autoreferenziale, e di tornare a mischiarsi con il sano e vile popolo, reinterpretando in chiave democratico-solidaristica i lamenti delle masse (invece di liquidarli con disprezzo perché ignoranti). Solo uscendo dai quartieri a ztl, infatti, e scoprendo che fenomeni come la globalizzazione non comportano solo il poter andare a New York a 400€, sarà possibile evitare di trasformarsi in una compagine di optimates attenti solo a conservare i propri privilegi a scapito di chi soffre, perché il popolo avrà, di conseguenza, sempre più bisogno di populares. Ma, nella disperazione, sarà sempre meno in grado distinguere tra Clodio e Pompeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 commenti

  • 1 Aladin
    21 Giugno 2018 - 09:24

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=83625

  • 2 Danila De Lucia
    21 Giugno 2018 - 16:01

    Parallelo originale e acuto. Stile fluido per un argomento ostico. Una sorta di appello alla sopravvivenza nel Parlamento del nostro Paese. Peraltro utilizzando un italiano corretto e comprensibile.

  • 3 Tonino Dessì
    21 Giugno 2018 - 20:57

    È noto a molti quanto il paragone storico delle lotte tra il partito oligarchico e il partito democratico nell’Atene antica mi sia caro e quanto uno storico come Luciano Canfora vi abbia dedicato importanti studi ricchi di suggestivi riflessi sulla storia contemporanea. Per inciso già nella storia ateniese era presente fra i contemporanei la consapevolezza del rischio che dalla degenerazione dello scontro politico fra democratici e oligarchi producesse il principato populista (emblematica la figura di Pericle). La vicenda romana dell’ultimo complesso periodo della Repubblica è attraversata da tensioni analoghe, anch’esse già oggetto di discussione fra gli stessi protagonisti di allora), ma caratterizzata da una radicalità più risalente e per certi versi molto simile a vicende che hanno attraversato la storia europea fra il XIX e il XX secolo. A Roma infatti lo scontro ha in pieno i caratteri di lotta di classe. Il partito popolare è antico e trova le sue radici già nella secessione della plebe dei tempi di Menenio Agrippa. Tra i suoi fondatori ci sono i fratelli Gracchi e la riforma agraria e censuaria da loro propugnata. La reazione del periodo sillano genera una ulteriore radicalizzazione che con Mario a capo del partito popolare assume tutti i caratteri militari della guerra civile. Il “populismo” non è da subito un carattere prevalente della lotta politica (in questa fase è proprio un conflitto dai contorni classici, netti, dai contenuti economici, politici e istituzionali piuttosto definiti. Comincia a emergere però anche un populismo più conservatore (Cicerone e la sua retorica della difesa delle istituzioni della Repubblica, ma principalmente della funzione del Senato ormai non più solo aristocratico, bensì egemonizzato dai maggiori detentori della ricchezza non solo terriera, ma ormai commerciale, manifatturiera, finanziaria) è un populismo ribellista e “qualunquista” con connotati eversivi (Catilina). La risposta dei popolari sarà anch’essa “populista”, via via svincolata cioè dall’ancoraggio democratico e motore della transizione verso il principato. Anche Marco Antonio e Giulio Cesare infatti erano esponenti del partito popolare, ma la loro linea sarà ben più sganciata dalle istanze tribunizie e plebee del loro antecedente Mario. Il tema quindi è ricco di implicazioni sulla storia contemporanea (Marx e poi Gramsci si interrogarono sul “cesarismo”, il primo in riferimento a Napoleone il grande e a Napoleone III, il secondo in riferimento a Mussolini). Credo che ancora oggi questi temi mantengano viva attualità. Il populismo infatti scaturisce come componente costante delle crisi della democrazia, quando cioè la resistenza antidemocratica degli oligarchi provoca una reazione e dei ceti più colpiti economicamente e più compressi dalla mancanza di uno sbocco democratico delle crisi non pongono più neanch’essi lo sbocco democratico istituzionale al centro delle rivendicazioni, bensì un cambiamento dai connotati incerti. Spesso il risultato però è stata una pulsione al principato (Berlusconi, ma anche Renzi, il presidenzialismo, le riforme costituzionali ed elettorali maggioritarie e leaderistiche). Ora siamo in Italia in una fase nuova, quasi come analogamente ai compromissori e transitori triumvirati delle guerre civili romane fossimo a un duumvirato compromissorio, ma provvisorio fra Lega e M5S. Ancora è difficile prevedere quale sarà lo sbocco. Ma a differenza della storia greca e di quella romana, noi contemporanei italiani abbiamo un metro per valutare ogni questione in campo e ogni proposta di soluzione. Una Costituzione democratica dall’impianto definito e tutt’altro che superato.

  • 4 Tonino Dessì
    21 Giugno 2018 - 21:29

    Grazie a Lorenzo Marilotti per questa riflessione.
    È noto a molti quanto la vicenda ricorrente delle lotte tra il partito oligarchico e il partito democratico nella storia antica mi sia caro, quanto gli echi di queste tematiche siano stati più volte richiamati non solo da me su Democrazia Oggi e quanto uno storico come Luciano Canfora vi abbia dedicato importanti studi ricchi di suggestivi riflessi sulla storia contemporanea. Per inciso nella storia ateniese era presente già fra i contemporanei di allora la consapevolezza del rischio che la degenerazione dello scontro politico fra democratici e oligarchi producesse il principato “populista” (emblematica la figura di Pericle). La vicenda romana dell’ultimo, complesso periodo della Repubblica, è attraversata da tensioni analoghe (anch’esse già oggetto di discussione fra gli stessi protagonisti di allora), è caratterizzata da una radicalità analoga a quella ateniese e per certi versi molto simile a vicende che poi hanno attraversato la storia europea fra il XIX e il XX secolo. A Roma peraltro lo scontro ha inizialmente in pieno i caratteri di lotta di classe. Il partito popolare è antico e trova le sue radici già nella secessione della plebe dei tempi di Menenio Agrippa. Tra i suoi fondatori più famosi ci sono i fratelli Gracchi e fra i suoi cardini politico-programmatici le riforma agraria e censuaria da loro propugnate. La reazione del periodo sillano genera una ulteriore radicalizzazione, che con Mario a capo del partito popolare assume tutti i caratteri, anche militari, della guerra civile. Il “populismo” non classista non è da subito un carattere prevalente della lotta politica: in questa fase c’è proprio un conflitto dai contorni classisti netti, dai contenuti economici, politici e istituzionali piuttosto definiti. Comincia a emergere però anche un populismo conservatore moderato (Cicerone console e la sua retorica della stabilità attraverso la difesa delle istituzioni della Repubblica, ma di fatto, principalmente, della funzione del Senato, ormai non più solo aristocratico, bensì egemonizzato dai maggiori detentori della ricchezza non solo terriera, ma anche commerciale, manifatturiera, finanziaria) da un lato e un populismo ribellista e “qualunquista” con connotati eversivi (Catilina) dall’altro. La risposta dei popolari sarà anch’essa “populista”, via via svincolata cioè dall’ancoraggio democratico: in questa nuova veste essa sarà il motore della transizione verso il principato. Anche Marco Antonio e Giulio Cesare infatti erano esponenti del partito popolare, ma la loro linea appunto, più che popolare, sarà appunto “populista”, sempre più sganciata dalle istanze democratico-sociali tribunizie e plebee ancora rappresentate del loro predecessore Mario. Il tema è ricco di implicazioni sulla storia contemporanea (Marx e poi Gramsci si interrogarono sul “cesarismo”, il primo in riferimento a Napoleone il grande e a Napoleone III, il secondo in riferimento a Mussolini). Credo che ancora oggi questi temi mantengano viva attualità. Il “populismo” infatti scaturisce come componente costante delle crisi della democrazia, quando cioè la pulsione socialmente concentrazionaria e politicamente antidemocratica degli oligarchi provoca nei ceti più colpiti economicamente dalle crisi una reazione che non pone più neanch’essa lo sbocco democratico istituzionale al centro delle rivendicazioni, bensì evoca un cambiamento dai connotati incerti. Spesso il risultato però è stata una spinta al principato (Berlusconi, ma anche Renzi, in Sardegna Soru, il presidenzialismo, le riforme costituzionali ed elettorali maggioritarie e leaderistiche). Ora siamo, in Italia, in una fase nuova, quasi analoga ai compromissori e transitori triumvirati delle guerre civili romane, con un duumvirato compromissorio, ma provvisorio, fra Lega e M5S. Ancora è difficile prevedere quale sarà lo sbocco. Ma a differenza della storia greca e di quella romana, noi contemporanei italiani abbiamo un metro per valutare ogni questione in campo e ogni proposta di soluzione. Una Costituzione democratica dall’impianto definito e tutt’altro che superato.

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