Gianfranco Sabattini
La collana “La Memoria Ritrovata”, che raccoglie i risultati delle ricerche documentarie di un gruppo di studiosi che fanno riferimento al Dipartimento di Scienze sociali e delle istituzioni e al Dipartimento di Storia, beni culturali e territorio dell’Università degli studi di Cagliari, offre ai sardi un nuovo volume che tratta un argomento particolarmente “sensibile” per la Sardegna: la storia tormentata dell’evoluzione delle Università isolane, in particolare di quella di Cagliari, la quale, sin dal suo nascere, ha sofferto di una vita tormentata, per status giuridico, penuria di mezzi e subalternità a decisioni esterne in fatto di arruolamento dei propri docenti; caratteri, questi, che si sono trascinati ai danni della Sardegna sino ai nostri giorni.
Il nuovo volume, titolato “La riscoperta dei saperi. Il pareggiamento dell’Università di Cagliari”, curato da Mariangela Rapetti, reca un saggio introduttivo di Giancarlo Nonnoi, dal titolo “Un Ateneo in bilico tra sopravvivenza e sviluppo”, nel quale l’autore narra le vicende riguardanti il cosiddetto pareggiamento dell’Ateneo cagliaritano rispetto alle altre più prestigiose università italiane. La parificazione è stata ottenuta nel 1901 sulla base di una Convenzione siglata tra il Ministro della Pubblica Istruzione e i rappresentanti della Provincia e del Comune di Cagliari; Convenzione che, convertita in legge nel 1902, con produzione di effetti a partire dall’anno accademico 1902/1903, ha sancito definitivamente l’allineamento della Regia Università di Cagliari a quelle di Torino, Pavia e Milano, alle quali comunque “veniva riservato, da diversi punti di vista, un trattamento migliore”.
Il nuovo volume della collana “La Memoria Ritrovata”, sulla base dei materiali conservati presso l’Archivio Storico dell’Università di Cagliari, narra appunto delle vicende sfavorevoli che, per molti anni, hanno caratterizzato la vita dell’Ateneo riguardanti il suo declassamento e il successivo pareggiamento, occorsi in un arco di tempo compreso tra il 1862 e il 1902.
Numerose ricerche hanno accertato che la fondazione delle due università sarde, e di quella cagliaritana in particolare, è avvenuta a seguito di un processo che si è a lungo protratto nel tempo; processo, questo, che ha avuto inizio nel corso della dominazione aragonese dell’Isola, intorno a un periodo che si colloca verso la metà del XVI secolo. In quel torno di tempo, veniva indirizzata al sovrano l’istanza di apertura di uno “Studio Generale” nella capitale del “Capo di sotto” (Sardegna meridionale), il cui scopo “avrebbe dovuto rispondere non solo all’esigenza di migliorare la diffusione della cultura e dell’istruzione fra le élite sarde ma anche quella di rafforzare e accrescere il prestigio di una città in espansione oltre le mura del castello e dei suoi borghi”. Con il sostegno del Consiglio civico, che si impegnava ad accollarsi l’onere dell’istituzione e del funzionamento dello Studio Generale, l’istanza è stata accolta dai tre bracci del Parlamento del Regno di Sardegna (quello reale, quello ecclesiastico e quello militare) nel 1553/1554.
Le difficoltà al funzionamento dello “Studio” sono insorte da subito, per via delle tensioni nate con la Compagnia di Gesù, a causa delle propensione di questa a conservare il monopolio dell’istruzione superiore impartita nell’Isola. Sta di fatto che, una volta concessa la possibilità di aprire a Cagliari uno “Studio Generale” per i sardi, ottenuta l’approvazione papale con la Bolla del 2 febbraio 1607 e promulgato infine l’atto regio di fondazione nell’ottobre del 1620, il portone dell’Ateneo ha potuto essere aperto effettivamente solo sul finire dell’estate del 1626, al termine di un’aspra contrapposizione tra il Consiglio civico e la Compagnia di Gesù; contrapposizione che aveva ad “oggetto, da un lato, la copertura delle cattedre e, dall’altro, la natura del compenso da riconoscere ai docenti appartenenti all’ordine ignaziano”.
Si comprende così come al grande sforzo profuso per sostenere l’apertura dello “Studio” subentrassero svariati conflitti. di natura istituzionale, finanziaria e organizzativa. Sul piano istituzionale, l’avvio dell’attività universitaria veniva ostacolato dal contrasto nato tra la municipalità della città e l’Archidiodesi sul diritto di designazione del rettore dello “Studio”; sotto l’aspetto economico, l’attività di docenza stentava ad iniziare per le inadempienze sul versamento delle quote di finanziamento, in quanto sia lo stamento ecclesiastico che quello feudale mancavano di tenere fede ai loro impegni, non versando le quote di mantenimento per le quali si erano obbligati; sul piano organizzativo; infine, l’attività dell’Ateneo stentava a prendere il via per il conseguente scarso impegno col quale i docenti avrebbero dovuto svolgere il loro ruolo, a causa della bassa e non continua rimunerazione dei loro servizi.
Dopo l’inizio dell’attività dello “Studio”, questi aspetti negativi si sono acuiti e amplificati, per via delle crisi economico-sociali e politiche che hanno investito la Sardegna e l’Europa, cui si sono aggiunti anche gli effetti negativi della peste che, proveniente dalla Spagna, ha colpito la Sardegna tra il 1652 e il 1657. Dopo gli effetti immediati della pestilenza, sono sopravvenuti anche quelli dovuti al declino demografico provocato dalla peste nel lungo periodo.
Tutto ciò, osserva Nonnoi, non poteva non influire negativamente sulle sorti dell’Ateneo, al punto che, all’inizio del XVIII secolo, i locali dell’Università erano “utilizzati come caserma e scuderia per le truppe”. Per questo – sottolinea Nonnoi – “il quadro non incoraggiante che si trovarono di fronte i Piemontesi, allorché nel 1720, in virtù di nuove acquisizione territoriali fissate dai trattati internazionali che sancirono la fine delle Guerra di successione spagnola, subetrarono definitivamente agli Spagnoli nella dominazione dell’Isola”.
Tra le misure che i Piemontesi immediatamente hanno adottato vi è stata quella di procedere ad una rifondazione delle università sarde, che a Cagliari è avvenuta nel 1764 con l’apertura della “Regia Università”. Lo scopo è stato quello di procedere alla “deispanizzazione” della cultura sarda, producendo - afferma Nonnoi – “una significativa incrinatura del paradigma municipalistico, che era stato all’origine dell’Università di Cagliari e del suo modus vivendi“ nel corso del suo primo secolo di vita, nel senso che i provvedimenti piemontesi hanno segnato una “statalizzazione” dell’università cagliaritana.
Ciò è avvenuto attraverso l’inaugurazione di “un’articolata politica di assegnazione e di trasferimento di decime e di prebende che andavano a sommarsi ai precedenti sostegni finanziari”, per cui gran parte dei costi di mantenimento dell’Ateneo, che fino a quel momento erano gravati sulle scarse risorse della municipalità sono passati a carico dello Stato piemontese. A ciò va aggiunto che gli stessi provvedimenti assunti dai Piemontesi hanno anche consentito di rimuovere l’annoso contenzioso tra l’Arcivescovado e il Consiglio cittadino, con la soppressione della figura del rettore e la sua sostituzione con un organo collegiale, il “Magistrato sopra gli studi”, cui è stato affidato “il governo di tutti gli aspetti della vita universitaria: normativi, didattici, curriculari, di vigilanza, disciplinari, etc. Il Magistrato rispondeva direttamente al governo di Torino e tra i suoi compiti vi era quello, tenuto in gran conto, dalle autorità centrali, di redigere alla fine di ogni anno accademico una Relazione da far pervenire nella capitale”.
La rifondazione dell’Ateneo cagliaritano da parte dei Piemontesi ha avuto però pesanti implicazioni negative sulla crescita culturale dell’Isola, per aver compromesso radicalmente l’originario rapporto con le élite politiche e culturali della città, con l’”esonero, salvo alcune eccezioni, dei professori locali”, rimpiazzati da una “colonia di dotti”, selezionata dalla “Segreteria di Stato e di Guerra” di Torino.
La peculiarità del processo rifondativo non va tanto ricercato – osserva giustamente Nonnoi – “nelle nuove risorse intellettuali spedite espressamente in Sardegna”, quanto nel fatto che ai “professori forestieri” venisse richiesto di infondere nella “studiosa gioventù” isolana gli “argomenti e i temi da sviluppare, gli autori a cui attenersi e i testi da indicare ai discepoli per il completamento della preparazione”, secondo specifici “Piani” rispondenti ai desiderata governativi. In tal modo, il rinnovamento degli studi universitari, pur avendo prodotto rispetto al passato un cambiamento notevole, sul piano finanziario e organizzativo, su quello didattico i contenuti dei “Piani didattici” miravano a contenere ciò che sarebbe potuto risultare come “aperture eccessive” nei confronto delle idee illuministiche e a suggerire la trattazione di argomenti tradizionali e legati al passato.
Tuttavia, nell’ateneo cagliaritano, sebbene riformato e modernizzato, le iscrizioni sono risultate assai contenute, in quanto hanno continuato a pesare “sulla quotidianità della vita studentesca i preesistenti rapporti sociali, le consuetudini e i ritmi di una società a base contadina con un’economia per molti aspetti di sussistenza e arcaica”. Ciò ha comportato che le gravi condizioni economiche in cui versava la Sardegna e che i Piemontesi non riuscivano a favorire la rimozione, “invece di ricevere dalla rifondazione dell’Ateneo un contributo al loro superamento”, hanno finito “per retroagire e interferire negativamente fino a ridimensionare la portata e gli effetti che ci si attendeva dalla nuova università e dalla missione per la quale era stata concepita e realizzata”.
La situazione degli studi universitari nell’Isola non è migliorata, né con il trasferimento a Cagliari, alla fine del XVIII secolo, della Corte torinese in fuga dal Piemonte dopo l’occupazione da parte delle truppe napoleoniche, né con la cosiddetta “fusione perfetta”, con la quale, nel 1847, il Regno di Sardegna ha cessato d’essere parte di uno Stato composto per divenire componente di uno Stato unitario (comprendendo oltre l’Isola, anche il Piemonte, la Savoia, Nizza, e l’ex Repubblica di Genova), che ha assunto un ruolo-guida nella conduzione del processo di unificazione dell’Italia. Con ciò e con la creazione del Ministero della pubblica istruzione, il mantenimento dell’Ateneo cittadino ha cessato definitivamente di dipendere, sia pure in parte, dalle risorse locali, in quanto tutti i costi sono passati a carico dell’erario statale.
All’indomani della raggiunta unità nazionale e della nascita del Regno d’Italia, tutti gli Atenei esistenti negli Stati pre-unitari sono stati riordinati, nel 1862, per “esigenze di cassa” e suddivisi in due classi, con l’Università di Cagliari collocata, assieme a quelle di Genova, Catania, Messina, Modena, Parma e Siena nella lista delle università di secondo grado.
Il declassamento ha provocato da subito un forte malcontento, innescando dure reazioni da parte delle forze culturali e politiche locali; si dovrà attendere l’inizio del XX secolo perché, come già si è detto, tra il Ministero della pubblica istruzione del Regno d’Italia e i rappresentanti della Provincia e del Comune di Cagliari venisse siglata la Convenzione per il pareggiamento dell’Università Cagliaritana a quelle di prima classe. Tuttavia, il “modus vivendi” della vita universitaria nella capitale dell’Isola vedrà riproporsi sotto altra veste il fenomeno dell’assenteismo dei docenti, dovuto alla continuazione della subalternità delle università isolane (assieme a tutte quelle delle regioni meridionali) rispetto alle università forti del Paese. Questa subalternità, per via dei “meccanismi perversi” coi quali veniva selezionato il personale docente destinato a ricoprire le cattedre d’insegnamento, causerà il corrispondente fenomeno del “pendolarismo” e impedirà una proficua partecipazione del personale docente locale alla crescita e allo sviluppo delle università regionali, quindi alla crescita e allo sviluppo della società e dell’economia della Sardegna e di tutto quanto il Sud del Paese.
Dal saggio di Nonnoi sulle tormentate vicende che hanno caratterizzato l’Ateneo cagliaritano possono essere tratte le seguenti conclusioni. In primo luogo, l’istituzione dell’Università a Cagliari è stato il risultato di due esigenze apparentemente contrapposte ma, in realtà, convergenti: l’una espressa dall’interesse dei ceti urbani a garantire una professione (civile o religiosa) ai loro “rampolli”, senza doversi sobbarcare le spese di studi in Italia o in Spagna; l’altra determinata dall’esigenza da parte della dominazione spagnola di chiudere i regni sotto la sua giurisdizione alle “infezioni riformiste” e tenere sotto controllo la formazione delle élite locali. Insomma, un piano non molto progressista, anzi per molti aspetti reazionario e conservativo.
In secondo luogo, l’esigenza del controllo politico-sociale è risultata presente anche nella rifondazione piemontese, la quale, a quanto si sa, è stata un’operazione dirigistica e concepita interamente a Torino o da parte di funzionari piemontesi trasferiti nell’Isola. Naturalmente, queste vocazioni autoritarie non hanno impedito (eterogenesi dei fini) agli studi di “innescare” processi di modernizzazione politica e sociale tra le nuove generazioni dei sardi.
Infine, un punto di debolezza del sistema universitario sardo, sempre rimarcato dai “riformatori” di ieri e di oggi, ha riguardato l’esistenza di due atenei in un’isola, considerati sovrabbondanti per un territorio scarsamente popolato. La scarsa consistenza della popolazione universitaria cagliaritana in molte delle fasi della storia isolana ha infatti contribuito a rafforzare nei “dominatori venuti dal mare” la convinzione che occorresse, per ragioni economiche, operare una “reductio ad unum” dell’istruzione superiore. Nella vicenda del declassamento ed i tempi lunghi che sono stati necessari per il pareggiamento dell’Ateneo cagliaritano, questi due fattori, anche quando non dichiarati esplicitamente, hanno costituito una delle ragioni sottostanti l’intera vicenda.
1 commento
1 Aladin
13 Maggio 2018 - 09:48
Ripreso da Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=82464
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