Roberto Mirasola - Segr. prov. SI
Il voto del 4 marzo e’ stato un vero e proprio tsunami per le tentennanti forze di sinistra. Un’onda d’urto dirompente ha spazzato via tutte le ambiguità di questi ultimi anni travolgendo ciò che era rimasto della sinistra politica. Non illudiamoci il colpo e’ stato duro e non sarà facile risalire la china, a nulla servono poi ricette che ripropongono vecchi schemi con improbabili appelli all’unita’ di un csx ormai morto. L’elettorato ha punito chi ha portato avanti ricette che hanno di fatto impoverito le famiglie Italiane rendendo sempre più precario il lavoro, con salari sempre più bassi. Prima si volta pagina con chiarezza e meglio è.
Molti sostengono che si sia trattato di un voto contro l’Europa a discapito delle forze europeiste. Io non sono d’accordo con questa lettura, credo invece si sia voluta giustamente punire un’idea d’Europa sempre più centralista, impegnata a diffondere il verbo dell’austerità e sempre più lontana dall’Europa di Ventotene che invece deve essere una stella polare. Se dunque non riapriamo una riflessione che rimetta in discussione l’idea che il capitalismo possa essere governato, allora saremo destinati a sparire definitivamente. Non esistono terze vie ma esiste un ruolo guida ed e’ lo Stato in quanto portatore di un interesse collettivo a doverlo esercitare, l’economia non può che mettersi al servizio del bene comune e non il contrario. Non si può pensare che le multinazionali sottraggano gettito fiscale ai governi nazionali con l’aggravante di avvantaggiarsi del lavoro a quattro soldi grazie ai vantaggi predatori derivanti dalla delocalizzazione. La ricchezza deve essere redistribuita a favore dei tanti e non può essere appannaggio di pochi eletti. Questo è il compito che ci aspetta e non sarà per niente facile riconquistare la fiducia degli elettori che giustamente si sono sentiti traditi.
E in Sardegna? Se i cinque stelle hanno fatto il botto, se anche i quadri sindacali votano cinque stelle, allora vuol dire che il mantra del lavoro che aumenta e delle riforme messe in campo non poteva essere veritiero. Non è solo un problema di mancata comunicazione, la verità è che ci si è allontanati dai problemi reali delle persone che devono mettere insieme il pranzo con la cena. Basta con le mezze verità, bisogna interrogarsi su quale modello di sviluppo portare avanti, perché solo da questo può arrivare il lavoro. Abbiamo bisogno di sviluppo e non di assistenzialismo da parte dello Stato Centrale e non è mai troppo tardi ricordare che il nostro Statuto ha degli strumenti validi da utilizzare come l’art. 13 che così recita:” Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola.”
Di certo non abbiamo bisogno di industrie inquinanti e non più competitive che a scadenza ripropongono i soliti problemi di sopravvivenza. Dobbiamo essere noi i padroni del nostro destino puntando su un modello endogeno basato sulle peculiarità della Sardegna, la nostra isola non può essere terra di conquista per gruppi che portano avanti mere operazioni speculative. La ricchezza deve rimanere dove viene prodotta per essere reinvestita e non prendere invece i lidi di sedi legali straniere. Per poter far questo dobbiamo ripristinare un minimo di democrazia necessaria per poter aprire una discussione su temi così importanti. Ed allora non possiamo dimenticare che non è accettabile una legge elettorale che ha tenuto fuori dal consiglio regionale forze che rappresentavano più di centomila elettorali sardi e che avrebbero potuto e dovuto dare il loro contributo. Il ripristino della democrazia e’ una priorità e l’introduzione della doppia preferenza di genere non è di certo sufficiente. Per tutto questo abbiamo bisogno di una Regione forte, capace di delegare agli enti periferici competenze e poter dedicare quindi la sua attenzione ai rapporti con lo Stato Centrale e l’Europa. In un Europa dei popoli noi non dobbiamo essere assenti e in un contesto dove i fenomeni migratori tenderanno sempre di più ad aumentare, noi abbiamo il dovere di avere un ruolo e creare un ponte nel mediterraneo tra il nord e il sud del mondo. Il nostro non potrà che essere un ponte di pace e di dialogo tra culture.
La strada da percorrere dunque non è poca e non bisogna avere fretta nella ricomposizione di un unico partito a sinistra. Dobbiamo prenderci il tempo necessario affinché i “fondamentali” siano chiari a tutti senza nostalgie per un passato che ci ha visti più volte cadere in errore.
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