Città-globali e nuove forme di disuguaglianza sociale

11 Marzo 2018
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 Gianfranco Sabattini

La maggioranza della popolazione del mondo oggi vive nelle città, per cui si può dire che il modo di vivere urbano permea di sé e condiziona l’intera vita umana sul pianeta. La globalizzazione, col suo flusso di idee, uomini e capitali ha attribuito alle città una dimensione planetaria, dando origine alle città-globali (o città-mondo).
Un’analisi dell’impatto che la globalizzazione ha esercitato sulla riorganizzazione delle grandi città del mondo è offerta, tra i molti, da Anthony King con riferimento alla città di Londra. L’autore, docente presso la Columbia University di New York, in “Global cities. Post-imperialism and the internationalization of London”, descrive le tendenze evolutive che hanno caratterizzato la città di Londra; tendenze che hanno assunto il valore di paradigma, ovvero di modello di riferimento per valutare effetti positivi e negativi che le grandi città hanno causato sulla vita sociale dei Paesi ai quali appartengono.
Alla fine del diciassettesimo secolo, Londra era la maggiore città d’Europa e la sua struttura economica era, per la maggior parte, fondata sul commercio, piuttosto che sulle attività di trasformazione industriale. La conseguenza della prevalente attività commerciale è stata la costruzione della struttura portuale di Londra che, all’inizio del diciottesimo secolo, occupava circa un quarto della propria popolazione. L’espansione del commercio ha creato i presupposti per la crescente importanza della “City of London” e della sua trasformazione in una delle basi della rivoluzione industriale e, all’inizio del XIX secolo, nel centro di riferimento mondiale per le attività finanziarie.
Dopo il 1815, la combinazione degli effetti della rivoluzione industriale e di quelli della sconfitta di ogni forma di opposizione all’egemonia mondiale del Regno Unito ha avuto come esito l’emersione di una nuova forma di governance dell’economia mondiale, che ha imposto la costituzione di un centro direzionale cui demandare la funzione di regolatore i flussi degli scambi internazionali. Questo funzione, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, è stata svolta dalla “City”, potenziandosi con l’espansione della sua attività d’investimento all’interno del vasto impero britannico. L’importanza e il ruolo egemonico della “City” è durato per tutta la seconda metà del XIX secolo e per i primi anni del XX; le due guerre mondiali hanno segnato il suo ridimensionamento, durato lungo i primi decenni successivi al 1945.
La “City” ha però incominciato a ricuperare il suo ruolo internazionale a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso ed ha continuato a consolidarlo via via che è iniziato ad allargarsi e ad approfondirsi il processo di globalizzazione delle economie nazionali. La “City” ha potuto così ricuperare la propria antica funzione, specializzandosi nelle conduzione di attività finanziarie e di servizio, riuscendo a sostituire la dipendenza dalla sterlina con un suo più largo inserimento nel mercato internazionale dei capitali. In tal modo, la “City” ha potuto riproporre la sua internazionalizzazione, attraverso due vie: da un lato, concorrendo a rinforzare il grado di internazionalizzazione dell’economia del proprio Paese e, dall’altro lato, specializzandosi, più di ogni altro centro operativo del mondo, nella produzione di servizi per il mercato internazionale. In tal modo, essa ha potuto assicurarsi ritorni in termini di reddito, direttamente proporzionali alla crescita economica di tutti gli altri Paesi integrati nell’economia mondiale.
La crescita del volume degli scambi internazionali è stata considerata il miglior viatico per una continua espansione del ruolo della “City” nel mondo e per il continuo miglioramento delle sue fortune economiche e di quello delle istituzioni che in essa si sono concentrate. E’ per questa via che la “City” ha potuto identificarsi in un quartiere di Londra che non dipende dall’amministrazione comunale, in quanto costituisce una realtà a parte.
Si tratta di un’entità istituzionale a sé stante, espressa dalla “City of London Corporation”, che ha un suo sindaco, un suo organo consiliare composto da 100 membri, suoi magistrati e proprie forze dell’ordine. L’elezione dei consiglieri è prerogativa dei pochi residenti e dei rappresentanti delle molte istituzioni economiche presenti nell’area d’insediamento. Secondo molti osservatori, si tratta del più grande paradiso fiscale del pianeta che, se per un verso ha contribuito a rilanciare l’economia inglese, per un altro verso ha originato molti effetti negativi.
Questi ultimi sono derivati dal generale spostamento dell’attività economica verso un’economia di servizi e dal declino dell’industria manifatturiera. Il nuovo tipo di attività economiche prevalenti ha rimodellato l’offerta dei posti di lavoro; la nuova offerta ha risentito in maniera crescente del fatto che buona parte del processo produttivo, che tradizionalmente era svolto in fabbrica, si sia diviso, grazie all’avvento dell’informatica, tra i centri che forniscono i servizi altamente specializzati, da un lato, e un centro direttivo responsabile dell’organizzazione della loro produzione e distribuzione, dall’altro. In conseguenza di ciò, la nuova forma assunta dalla crescita economica, man mano che il processo di globalizzazione si è espanso ed approfondito, ha trasformato le caratteristiche del mercato del lavoro, il cui funzionamento è divenuto sempre più complesso, a causa, oltre che della presenza della crescente forza lavoro disoccupata, anche di quella di consistenti quote di manodopera immigrata.
La trasformazione dell’economia del Regno Unito in un’economia dominata dalla produzione di servizi ha avuto, inoltre, un impatto negativo sul piano distributivo; molte indagini compiute al riguardo, hanno rilevato che, a differenza di quanto è avvenuto nei residui comparti produttivi manifatturieri, le rimunerazioni sono cresciute solo in quelli produttivi di servizi; coloro che hanno condotto le rilevazioni concordano sul fatto che il venir meno della centralità delle attività manifatturiere ha posto fine al funzionamento del meccanismo distributivo fondato sul grande patto tra capitale e lavoro di keynesiana memoria. Sin tanto che le attività manifatturiere hanno avuto un peso rilevante nel processo di crescita, la distribuzione del prodotto sociale è avvenuta secondo una dinamica che vedeva coinvolti anche i comparti delle attività più periferiche dell’economia. Il meccanismo equitativo sul piano distributivo è stato interrotto dall’egemonia acquisita dai nuovi comparti produttivi specializzati solo nella produzione servizi.
Quanto è accaduto nel Regno Unito, con l’avvento della città-globale di Londra, non è che lo specchio di quanto è avvenuto in tutti gli altri Paesi in cui è prevalsa la tendenza a fondare la crescita sullo sviluppo delle attività produttrici di servizi, in funzione della dinamica del mercato globale. Non casualmente, l’attuale situazione economica e sociale attuale, oltre che politica, vissuta dal Regno Unito, presenta i sintomi di un altro grande sistema economico, quello degli Stati Uniti d’America, che ha privilegiato per lungo tempo la produzione di servizi a scapito delle attività manifatturiere.

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