Andrea Pubusa
Il variopinto Comitato per l’insularità in Costituzione non è formato di testardi votati a sbattere la testa contro il muro senza ripensamenti. No, no, amici miei, nell’organismo ci sono teste pensanti, persone sagge che riflettono sugli errori e son pronti a fare ammenda e a mutare opinione. Bene, bene. Leggo che hanno aggiustato il tiro. Ora puntano ad una legge costituzionale d’iniziativa popolare. “Miriamo – ha detto l’Avv. Frongia – a fare una cosa mai intrapresa da nessuno nella storia costituzionale italiana”. Una primizia in assoluto! Raccogliere 50 mila firme in tutte le regioni per introdurre il principio di insularità nella Costituzione, meglio reintrodurre, posto che nel comma 3 dell’originario art. 119 il principio c’era già, ma fu precipitoamente cancellato nel 2001, silenti tutti, salvi alcuni di noi. Detto per inciso, quell’art. 119 costituzionalizzava la “questione meridionale” di Gramsci, Dorso e compagnia bella, e anche quella insulare, sempre sollevata dai grandi meridionalisti del passato. Cultura storica ed economico-sociale allo stato puro, signori miei, non cose orecchiate e lanciate per far gazzosa, non effervescenza propogandistica!
Ma torniamo alle nostre faccende. Il Comitato insulare sembra abbinare, a quella popolare nazionale, l’inziativa regionale, ossia una legge regionale d’iniziativa di revisione costituzionale. Strade entrambe, questa volta, percorribili, come abbiamo suggerito fin dall’inizio, in contrapposizione ad uno sgangherato referendum fine a se stesso, senza sbocco.
Bene gli aggiustamenti. Frongia parla ancora di ricorso al Tar, ma con minor convinzione. Sbattere la testa al muro, capisce anche lui, non è un esercizio entusiasmante, e per nulla mobilitante. Lascerei una via che, al più, porta all’iniziativa del procedimento di revisione costituzionale secondo l’art. 138 Cost. Per di più, senza trascurare il valore del supporto dell’iniziativa popolare, mi permetto di far osservare al Comitato che non basta il principio in Costituzione a risolvere ipso facto le questioni. I principi sono importanti, dettano una strada, individuano e imprimono un indirizzo, ma senza l’iniziativa popolare e istituzionale rimangono fine a se stessi, anzi vengono contraddetti dalla realta’, dalla costituzione materiale. Come altra volta ho detto, cogliendo uno spunto di Tonino Dessì, bisognerebbe riconsiderare l’art. 13 dello Statuto sardo. Prevede un piano per la Rinascita, ossia per lo sviluppo della Sardegna. Non è un piano una tantum, può essere rinnovato nel tempo, quando le necessità si presentano e pretendono soluzione. Il precedente, al di là dei consuntivi, evidenzia aspetti interessanti: un piano organico di sviluppo, sostenuto da Stato e Regione, con una forte spinta popolare. Ecco, forse, bisognerebbe rimettere in piedi un movimento a sostegno di una riedizione del Piano organico previsto dall’art. 13. Tutti i temi sollevati dai referendari insulari lì possono trovare collocazione. Insomma, lo strumento costituzionale esiste già ed è formidabile, bisognerebbe mettere in campo un movimento unitario ed esteso, su una piattaforma chiara. Anche qui, raschia, raschia, quali sono gli ingredienti necessari? Molto studio, molta proposta, molto movimento, molta tenacia, niente gazzosa. Capito, amici del Comitato insulare? Niente gazzosa, proprio niente, neanche un pochino, molto studio, molta proposta, molto movimento…niente propaganda. Amen!
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