Reddito di dignità per fermare l’esodo dei giovani

18 Dicembre 2017
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 Piero Bevilacqua Il Manifesto 8.12.2017

 Nel Convegno sul Lavoro, organizzato dal Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria di Cagliari il 4-5 ottobre. fra l’altro. sopratutto per merito di Giangranco Sabattini, si è discusso del reddito di cittadinanza o dividendo sociale come rimedio alla crescente robotizzazione del lavoro e al conseguente incremento della disoccupazione. Ci sembra pertanto utile riferire di un’altra assemblea in cui si è discusso del controverso tema, onde trarne motivi di approfondimento in vista di un Convegno specifico sull’argomento.

 Disoccupazione giovanile al 40% della forza-lavoro, 1,2 milioni che non studiano, né lavorano, l’occupazione delle donne al 31% – spreco colossale – oltre il 46% a rischio di povertà ed esclusione sociale.
Ma il motivo dominante dell’allarme sociale è stato soprattutto uno: la fuga della gioventù meridionale. E non è senza ragioni. Oltre 600 mila emigrati tra il 2002 e il 2014.
Se ne è discusso in una affollata assemblea che mi sento politicamente obbligato a raccontare perché nasce da una iniziativa personale.
E’ inevitabile perciò che parli in prima persona dell’incontro del 2 dicembre, a Lametia Terme, in Calabria, organizzato grazie all’aiuto logistico di Gianni Speranza, ex sindaco per due legislature della città, e all’ospitalità di don Giacomo Panizza, nella sede (sottratta alla ‘ndrangheta) da lui diretta per fini filantropici, una sorprendente assemblea.
Un’assemblea sorprendente perché affollata di centinaia di persone: intellettuali, vecchi militanti, padri di famiglia, un po’ di giovani.
Sorprendente per la passione e la lucidità delle analisi di chi è intervenuto, per il desiderio di verità che si sentiva nell’aria. E soprattutto per il moto di rivolta contro questo intollerabile contrasto, che ogni cittadino vive, tra l’arretramento progressivo e implacabile delle condizioni della vita e la narrazione da romanzo rosa dei media e del potere, impegnati nell’unico compito di mascherarlo.
In diverso modo sono stati denunciati i problemi da interminabile dopoguerra che vive il nostro Sud. E il grande esodo degli ultimi anni rappresenta una emorragia rovinosa, non solo perché il Mezzogiorno, come il resto d’Italia, si va configurando come un paese di anziani, ma perché si perdono le energie vitali di una società.
Chi conosce un poco la storia del Mezzogiorno sa che esso è stato letteralmente spolpato dall’emigrazione.
La più grande predazione coloniale subita dal Sud nel corso del XX secolo è stata la perdita delle sue migliori intelligenze ed energie, andate a rinvigorire le realtà del resto d’Italia e del mondo. Chi lamenta il perdurante dualismo Nord-Sud, magari per imputarlo razzisticamente ai meridionali, non può dimenticare questo decisivo svantaggio storico.
Ebbene, la ripresa in grande di questo fenomeno non appare più tollerabile. E occorre bollare come menzogne elettorali dei governi e dei suoi partiti – al di là delle solite mance – le promesse di svolta implicite nell’esaltazione della crescita del Pil. Chi dice che con queste percentuali di incremento cambierà qualcosa nella realtà del Mezzogiorno, mente.
Va fatta una considerazione generale. Mai nella storia secolare del capitalismo le imprese avevano avuto tanto denaro a buon mercato, mai tanta forza lavoro, anche qualificata, docile e rassegnata a propria disposizione. Eppure gli investimenti languono, ovunque, quando non arretrano. In Italia sono scesi a un tasso medio annuo del 4,4% (nel Sud -6,6%) tra il 2008 -14. E l’orizzonte non è roseo per le sorti dell’occupazione.
Avanzano, a una velocità che sorprende anche gli esperti, innovazioni tecnologiche sostitutive di lavoro vivo che restringeranno drammaticamente l’occupazione.
Occorre dunque un nuovo dinamico protagonismo del potere pubblico, soggetto di investimenti e redistributore della ricchezza. Ma occorre fare dannatamente presto: il tempo rende i poveri sempre più poveri, i fenomeni economici e sociali hanno una velocità doppia o tripla rispetto alla capacità operativa della politica.
E la strada più immediata per fermare l’emorragia che dissangua l’intero Paese è un reddito di dignità per la nostra gioventù.
Un salario minimo mensile produrrebbe immediatamente infiniti vantaggi: alcuni dei nostri ragazzi potrebbero continuare con più agio i loro studi e ricerche, iscriversi all’Università, altri potrebbero intraprendere attività d’impresa da soli o in cooperativa, potrebbero impegnarsi nel volontariato, nella tessitura di rapporti solidali senza cui la coesione sociale si disfa.
E un po’ più di reddito spesso integrerebbe quello della pensione del nonno che mantiene una intera famiglia.
A chi obietta che mancano i soldi ricordiamo che – dati presentati dall’Osservatorio Milex alla Camera dei deputati il 15.2.2017 – l’Italia spende per la difesa 23 miliardi di € l’anno, 64 milioni al giorno e 15 di questi vanno in spese per armamenti. 15 milioni al giorno destinati alla guerra. Con evidente oltraggio dell’art.11 della Costituzione, perché facciamo parte della Nato.
Ma la Nato, dopo il crollo dell’Urss e lo scioglimento del Patto di Varsavia, non ha più ragione di esistere.
Essa esiste invece più aggressiva di prima, perché serve ad alimentare l’immenso apparato industriale e militare degli Usa, bisognoso di vendere i propri prodotti di morte rinfocolando i sentimenti antirussi degli Stati un tempo satelliti, generando guerre o intervenendo nei vari conflitti in Medio Oriente e in Africa.
La Nato oggi e ancora più pericolosamente con la Presidenza Trump, è il motore dell’aggressività militare e del disordine politico internazionale.
Uscirne è un atto di pace, favorisce la formazione di una difesa europea, libera risorse preziose per il nostro Paese che si sta disgregando.

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