Elezione diretta del governatore: si o no?

27 Novembre 2017
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Andrea Pubusa

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(Regionali Sardegna 2014, scheda: un vero puzzle)

Già prima dell’approvazione dell’emendamento sulla doppia preferenza di genere, in un incontro col Presidente Ganau, il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria ha prospettato una riforma integrale della Legge elettorale regionale. Insomma, l’emendamento volto a favorire il riequilibrio della presenza dei generi nell’Assemblea regionale inteso non come punto di arrivo, ma come base di partenza e stimolo per una nuova disciplina. Del resto, se la finalità dell’emendamento è l’attuazione della parità, il principio di eguaglianza richiede una revisione totale  della disciplina per dare al voto dei sardi un peso identico in entrata e in uscita, ossia al momento del voto e in quello dell’assegnazione dei seggi.
La posizione è stata colta dalla stampa sarda. La Nuova Sardegna ha riferito del documento del Comitato di iniziativa costituzionale e statutaria di Cagliari:  “C’è chi però va oltre la doppia preferenza di genere, perché «questa legge elettorale si trascina dietro anche molti altri errori». A sostenerlo è il comitato Costat […] che nella campagna referendaria di dicembre era sceso in campo in difesa della Costituzione e a favore del No. …Il sistema elettorale dovrà essere proporzionale e «senza più l’assurdità del premio di maggioranza». Dovrà poi essere garantita «la massima rappresentatività di partiti, territori e dei due generi senza alcuna discriminazione, ma senza neanche bisogno di correttivi studiati a tavolino». Secondo Costat, «il peso del voto di ciascun elettore dovrà essere uguale a quello degli altri, […] e non esiste una legge perfetta che possa garantire a priori la governabilità». E soprattutto – è scritto nel documento del comitato – «non può essere solo il via libera alla doppia preferenza di genere a cambiare la natura truffaldina della legge attuale che ha provocato solo danni». Perché «a suo tempo è stata pensata, anche con le soglie sbarramento che non dovranno più esserci, per danneggiare qualche partito avversario, mentre la nuova dovrà garantire il massimo della volontà di tutto il corpo elettorale».
Ora, al fine di imprimere una spinta forte al movimento della riforma occorre un chiarimento sui capisaldi della nuova legge, anzitutto sull’elezione del Governatore e sull’esistenza o meno di soglie di sbarramento. Su questi punti la  discussione è aperta anche fra quanti vogliono cambiare la legge vigente.
E’ proprio vero che l’indicazione diretta del Presidente della Regione è un’opzione non democratica? Aiuta questa posizione a entrare in sintonia con l’opinione popolare, condizione per incidere sulle decisioni? Personalmente credo di no, accogliendo le osservazioni di molti dei componenti il Comitato cagliaritano. Anzitutto, ormai l’elezione diretta è entrata nella consuetudine democratica. E’ vista come una scelta sottratta ai deteriori tatticismi di partito, che poi oggi sono consorterie intorno ad un personaggio più che organizzazioni di massa di stampo novecentesco. E, in questo nuovo ambiente politico frammentato, quale prospettiva ha il ritorno all’elezione del presidente in Consiglio, rimessa alla trattativa fra i gruppi consiliari? Non c’è il pericolo di un mal funzionamento delle istituzioni tale da screditarle irrimediabilmente? Non è meglio introdurre nella disciplina elementi che consentano un miglior andamento? Che scongiurino pericolosi sbandamenti, inerzie deleterie? La legge siciliana ha dimostrato che l’elezione diretta del presidente può non dar luogo ad un depotenziamento del Consiglio. In Sicilia il presidente ha oggi  una maggioranza di due seggi. Ciò vuol dire che deve sempre fare i conti col Consiglio. La stabilità è assicurata, oltre che dal piccolo premio costituito dal listino (sei consiglieri più il presidente, circa l’8%), dalla regola che le dimissioni del governatore eletto manda tutti a casa. Ma anche questa clausola è di per sé negativa? Non è peggio la continua conflittualità per il cambio del presidente. Ricordate il povero Palomba, assediato da molte parti, e soggetto a ben sei tentativi di disarcionamento e sostituzione?
L’importante è l’equilibrio complessivo fra Presidente, Giunta e Consiglio nell’epoca delle consorterie, in cui non conta l’interesse generale, ma quello delle singole satrapie. Tenendo conto della scomparsa dei partiti di stampo novecentesco, il temperamento della conflittualità permanente attraverso l’elezione diretta e un contestuale leggero rafforzamento della maggioranza, non depotenzia il Consiglio e la rappresentanza che è assicurata dal principio proporzionale, seppure leggermente corretto.
Si obietta ancora dai proporzionalisti puri: i voti devono essere tutti esattamente uguali in entrata e in uscita. Si può però ulteriormente osservare che sistemi proporzionali puri non ne sono mai esistiti. Almeno il raggiunmgimento di un quoziente pieno per partecipare alla distribuzione dei resti è sempre stato richiesto. Ricordate il PSIUP? Nel 1972 raccolse alla Camera 648.571 voti, pari all’1,9%, ma non ebbe seggi perché non ottenne un quoziente pieno. Anche questo è uno sbarramento che, in linea generale, è stato stimato pari al 2-3%. Quindi, si può prevedere l’uno o l’altro.
Le forze piccole indubbiamente svolgono un lavoro prezioso anche fuori dalla istituzioni, sono il sale della democrazia perché sollevano questioni d’avanguardia con libertà e decisione. Il divorzio e l’aborto ne sono un esempio. Tuttavia, se esse sono preziosissime nel sociale (si pensi ai Comitati  per il NO nel referendum), altrettanto non può dirsi meccanicamente nelle istituzioni. In queste, anzi, l’eccessiva frammentazione non è un bene, e dunque lo stimolo all’aggregazione sul piano elettorale non va visto negativamente. L’importante che non si tratti di una esclusione, come in Sardegna per la Lista della Murgia senza seggi con 75 mila voti,; dve trattarsi solo di un invito alla aggregazione di gruppi con programmi simili.
Insomma, quella elettorale è una materia delicata che va trattata con molta attenzione e ragionevolezza. Ed anche un Comitato che non voglia essere minoritario o fare interessi di parte, deve presentare una proposta equilibrata nell’interesse generale. Ci vuole duttilità nelle soluzioni entro principi irrinunciabili (rappresentatività, sovranità popolare, parità di genere, equilibrio fra territori). Le posizioni rigide e unilaterali, di solito, riducono alla predicazione nel deserto, vana e senza risultati. E per organismi sociali come i Comitati questa è la peggior condanna.

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