Emanuele Pes
Continuiamo la riflessione sulla vicenda catalana pubblicando l’opinione di Emanuele Pes.
Tra le molte opinioni sulla situazione catalana il giudizio che in assoluto mi lascia più perplesso è quello che definisce il quadro in cui agiscono le autorità della Generalitat come fuori dall’ordine costituzionale e per ciò stesso eversivo, rivoluzionario, dimensione nella quale varrebbero solo i rapporti di forza e non più obblighi vincolanti per le parti in causa. Dal momento che il numero di rivoluzionari non è così cospicuo, in genere questa constatazione è la premessa di un caveat rivolto agli indipendentisti, ma in qualche caso (meritevole di studio clinico) anche di un consenso/compiacimento verso l’utilizzo dei manganelli o di strumenti più preoccupanti di repressione. Si può certamente discutere delle forzature che sono state compiute nel Parlamento di Barcellona, della mancata previsione di un quorum, dei tempi di discussione etc. però bisognerebbe essere consapevoli del fatto che non si è trattato di un fulmine improvviso nel cielo sereno della vita democratica spagnola. Ormai sono quasi dieci anni che lo Stato, su impulso decisivo del Partito Popolare, prepara, alimentandolo, lo scontro con le istituzioni autonomistiche catalane. Chiediamoci dunque cosa sia veramente eversivo o almeno, sul piano delle successione dei fatti, quali siano stati i motivi che hanno spinto la Generalitat a compiere questi passi. In caso contrario c’è il rischio che nella nostra discussione rimaniamo prigionieri del mito assoluto della sovranità dello Stato e della liceità oggettiva delle sue azioni. E, per di più, che alla sovranità della Stato conferiamo anche l’utilizzo esclusivo delle mere parole referendum, autodeterminazione etc. Io non sono riuscito ancora a individuare i mezzi finanziari, istituzionali e di coercizione che dovrebbero permettere agli atti di Carles Puigdemont, del suo governo e del Parlamento di trasformarsi in potere pubblico che si mette in contrapposizione e nega il potere statale. Può essere contestata forse la disobbedienza delle cariche elettive e di governo della Generalitat alla sospensione delle leggi per l’indipendenza decisa dal Tribunale costituzionale, forse –ma non è detto- può essere contestato l’utilizzo di fondi pubblici per l’organizzazione del referendum. Ma tutte le funzioni della sovranità in Catalogna sono rimaste saldamente in mano allo Stato, senza che nessuno le mettesse in discussione. A meno che non consideriamo eversivo il fatto che dei cittadini, anche molti cittadini, abbiano organizzato e messo una scheda dentro un’urna in un referendum che non produce effetti se non politici. Allora perché volergli attribuire necessariamente un carattere eversivo, fuori dall’ordine di una possibile interlocuzione e trattativa di natura politica?
Il problema si porrebbe in termini diversi per la dichiarazione d’indipendenza perché può investire anche chi non ha partecipato al referendum. Ma se, per di più sospesa, essa non impedisce, limita, condiziona l’esercizio dei poteri statali, se non ha ricadute e non lede o modifica i diritti dei cittadini, non cambia la loro vita nei rapporti con lo Stato e con la Generalitat, in che misura può essere definita eversiva? Certo si apre una fase di tensione, di incertezza che può preannunciare una rottura. Ma una dichiarazione che rimane inoperante può giustificare l’arresto del governo catalano?
Sulla novità, invece, delle manifestazioni che si sono tenute negli ultimi giorni io penso che si debba prendere a riferimento soprattutto la mobilitazione di sabato, in tutta la Spagna, caratterizzata dall’utilizzo del bianco come simbolo di pace e di dialogo. Ma la manifestazione che si è svolta domenica a Barcellona, per quanto rappresentativa di orientamenti della società catalana, vedeva al proprio interno anche una nutrita presenza di fascisti, di cui tutta la stampa internazionale ha dato conto. La questione vera comunque si pone è che un problema politico non si può risolvere contrapponendo manifestazione a manifestazione, l’una annulla l’altra, l’altra è più partecipata dell’una. Le manifestazioni di questi giorni rappresentano invece la testimonianza più eloquente del fatto che è necessario far esprimere i cittadini con un voto garantito dalla Generalitat e dallo Stato. Senza una consultazione riconosciuta e vincolante i rapporti tra la Catalogna e lo Stato spagnolo non sono in grado di reggere. Così come non è in grado di reggere la Costituzione del ‘78. Che ha garantito la transizione democratica ma non è una Costituzione nata dalla vittoria sul fascismo. Sono evidentemente altri gli equilibri che ne hanno garantito il funzionamento negli anni ’80 e ’90, fino alla degenerazione di questi ultimi anni. Prendiamo il caso del Tribunale Costituzionale, che in questi giorni ha avuto la sua ovvia rilevanza. Il TC vede nella sua composizione una larga predominanza di nomine di marca PP, e in minor misura PSOE. Non è assimilabile alla Corte costituzionale italiana: in Spagna ci troviamo di fronte a: 8 proposte parlamentari, 4 per ciascun ramo; 2 proposte governative; 2 proposte riservate all’organo di governo della magistratura. I giudici del Tribunale Costituzionale possono essere iscritti a partiti politici (la limitazione riguarda solo gli incarichi direttivi), una possibilità che nel ’78 fu in generale difesa dalle sinistre, anche per la magistratura ordinaria, ma che oggi a fronte alla nomina esclusiva del PP e, ricordiamo, anche del PSOE, diventa uno strumento non di spartizione (si trattasse solo di spartizione!) ma di direzione politica dell’organo. Non solo, è da anni che il PP cerca di trasferire le competenze dell’esecutivo e degli organi legislativi, di intervento sulle autorità autonomistiche al Tribunale costituzionale per evitare di esercitarle sul piano parlamentare. Nel 2015 su proposta del PP è stata approvata una riforma che ha conferito poteri sanzionatori al Tribunale costituzionale per sospendere dalle loro funzioni le cariche pubbliche che non avessero dato seguito alle sentenze dello stesso Tribunale. Norma evidentemente progettata per intervenire in Catalogna (all’epoca il presidente era Artur Mas) e chiaro tentativo di “esternalizzare” almeno in parte l’art. 155 evitando così la discussione parlamentare. Anche le operazioni di polizia del 1 d’ottobre sono state dirette dalla magistratura su richiesta del Tribunale costituzionale. Dei pestaggi quindi non esiste formalmente una responsabilità politica. Al massimo un eccesso commesso dalle forze dell’ordine durante operazioni ordinate dalla magistratura. Si tratta di un caso esemplare del modello di “non governo” Rajoy, che non ha bisogno della fiducia, della maggioranza in Parlamento e attua attraverso settori consistenti di società civile (di destra profonda) che è la vera regolatrice dell’economia, del sistema informativo, della stessa magistratura ordinaria e costituzionale: l’ordinamento spagnolo è già altro da quello che è stato scritto nel 1978. Ecco, allora di fronte alla grande forzatura compiuta dallo Stato spagnolo, la dichiarazione unilaterale d’indipendenza ha il senso di dare atto del fatto che almeno due milioni di catalane e catalani non vogliono essere cittadini spagnoli. Si rimetta questa espressione al confronto politico, perché possa essere trovata una soluzione condivisa tra cittadine e cittadini della Catalogna e non si ceda alle tentazioni consapevoli o irriflesse dello stato d’eccezione e della repressione.
Coda di riflessione riguardante le ricadute tra di noi: l’obbiettivo del movimento democratico catalano è l’indipendenza, ma al di là delle questioni della sovranità e appunto dell’indipendenza ciò che è veramente in gioco è il rimodellamento di questi ultimi anni del rapporto tra Stato e autonomie. Sono temi che, a parte alcune situazioni di maggiore consapevolezza, ci sfuggono. Avremo difficoltà molto serie a dare un giudizio condiviso sui prossimi referendum consultivi in Veneto e Lombardia. Emergono alcuni nodi che erano presenti nel corso della campagna referendaria per il no al tentativo di riforma costituzionale di Renzi. Nodi che sarebbe stato sbagliato affrontare in quel momento, ma che comunque adesso ci ritroviamo. A me non è sembrato di rilevare posizioni contraddittorie di chi all’epoca ha sostenuto il Sì alla riforma costituzionale di Renzi e oggi vedrebbe con favore l’autoderminazione della Catalogna. A livello nazionale, invece mi è sembrata più evidente la posizione di compagni che durante la campagna per il no al referendum costituzionale, sostenevano che la parte riguardante il ridimensionamento delle competenze delle regioni ordinarie si sarebbe potuta volentieri votare se il referendum fosse stato articolato per quesiti distinti, e taccio dei giudizi sulle regioni a statuto speciale, ai quali adesso viene l’orticaria di fronte al dibattito sull’autodeterminazione catalana.
2 commenti
1 admin
11 Ottobre 2017 - 03:30
Andrea Pubusa
In senso tecnico-giuridico si definisce “rivoluzione” la modifica della Costituzione al di fuori e contro i principi e il dettato della Costituzione vigente. In Spagna esiste il principio della indissolubilità, come in Italia, un principio immodificabile annche con il procedimento di revisione costituzionale. In conseguenza, la rottura dell’unità statuale può avvenire solo in via di fatto, ossia rivoluzionaria in senso giuridico. Bisogna saperlo per le conseguenze e le reazioni che la rottura può comportare. Poi le valutazioni e le opinioni possono essere diverse.
2 Oggi mercoledì 11 ottobre 2017 | Aladin Pensiero
11 Ottobre 2017 - 08:07
[…] Catalogna. E’ eversiva l’azione della Generalitat? 11 Ottobre 2017 Emanuele Pes su Democraziaoggi. […]
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