Andrea Pubusa
Carbonia, città di minatori e di combattenti per il lavoro. Avevo 19 anni, ma quella lotta mi è rimasta nella memoria più di altre. Si aveva la sensazione forte di fare una battaglia per la sopravvivenza di Carbonia, a cui eravamo arrivati - ciascuno con la sua storia familiare - da tutti i comuni dell’Isola e da tutte le Regioni d’Italia. Eppure sentivamo questa città come nostra, perché le lotte sindacali e politiche i tanti momenti di vita associata, dallo sport ai passatempi, avevano cementato una vera comunità. Avevano creato una solidarietà, oggi rara, anche in città ben più antiche. Che il momento fosse decisivo lo si avvertiva dappertuttio, anche nei bar o nelle scuole, perfino al liceo classico e fra i figli dei dirigenti della miniera, di solito distaccati dalle vicende sociali.
Era il 1964, le miniere avevano subito un drastico ridimensionamento, la città si era svuotata, e non c’era speranza per il futuro. Il suono della sirena scandiva ancora l’alternarsi dei turni, alle 6 alle, 14 e alle 23, ma nelle strade d’accesso alla grande miniera non c’era più un fiume nero di uomini, ma poche centinaia di minatori silenziosi e preoccupati. Bisognava salvare il lavoro in pericolo. Fu così che - come ha scritto Daverio Giovannetti, uno dei leader del movimento operaio nel Sulcis-Iglesiente in un suo libro significativamente intitolato «E le sirene smisero di suonare» - Carbonia tornò ad essere «città di minatori e di combattenti nella dura lotta per il lavoro e il progresso». L’obiettivo della lotta era elementare: obbligare l’Enel, il nuovo ente nazionale per l’energia a utilizzare il carbone per la produzione di energia elettrica, come era sempre stato nei progetti di recupero e di valorizzazione delle miniere carbonifere. Contemporaneamente si chiedeva al ministero delle Partecipazioni statali di creare la Carbochimica, per la trasformazione del carbone in prodotti chimici capaci di stare sul mercato. C’erano però forti resistenze, alcune autorevoli per la serietà degli argomenti e dei sostenitori. Per esempio, quella di Riccardo Lombardi, primo prefetto di Milano liberata dal nazifascismo, ed autorevole esponente del centro-sinistra e del PSI. Lombardi, intellettuale di grande rigore e fascino, molto amato a sinistra, da fine economista quale era, sosteneva che l’Enel, come ogni altro ente statale, non poteva diventare un carrozzone, un ricovero di aziende decotte, pena il fallimento a lungo andare della nazionalizzazione, per la quale si era combattuta una battaglia campale e storica contro le destre e i settori economici privati.
In questo clima di dibattito anche nazionale, il 19 febbraio si svolge al Supercinema di Carbonia un’assemblea di tutti i sindaci e gli amministratori dei Comuni del bacino minerario. Lo stesso Consiglio regionale decide di impegnare su questo tema le rappresentanze nazionali dei partiti. La vertenza era stata aperta, due anni prima, alla costituzione dell’ENEL. C’erano poi dei casi simili: nel Valdarno ai minatori si diceva sì e in Sardegna no. Forse perché in Toscana erano una cinquantina, a Carbonia più di un migliaio. Ma la disparità di trattamento era ritenuta ingiustificata e qudsta convinzione accreceva la combattività e la rabbia nel bacino carbonifero. Insomma, si riteneva di avere un diritto alla sopravvivenza e lo Stato doveva garantirlo. Del resto il Carbone Sulcis era stato una delle risorse fondamentali per il Paese dopo la guerra fino all’avvento del petroli.
Nel mese di ottobre si ha un primo segnale positivo, quando il presidente della giunta regionale comunichò l’impegno dell’Enel ad assorbire la Carbosarda: ma il 29 dello stesso mese un decreto del presidente della Repubblica trasferisce all’Enel solo la miniera di Nuraxi Figus. si capisce che quello era il momento giusto per agire con compatezza. Tutti sono pronti a dare una mano, anche i commercianti, legati a doppo filo nel loro destino ai minatori. In quel clima concitato muore improvvisamente a Roma Mario Granella, giovane leader sardista di Carbonia, assessore nella Giunta presieduta dal socialista Aldo Lai, in delegazione nella capitale per trattare il passaggio all’Enel delle miniere. Il fatto ha avuto larga eco e il funerale fu un momento di grande e commossa mobilitazione. Per noi studenti questo tragico fatto fu un grande stimolo alla lotta perché il figlio di Mario, Egidio Granella, era uno studente delle scuole superiori molto conosciuto e benvoluto. In questo clima di grande mobilitazione, il 9 aprile del 1965 parte la marcia dei minatori su Cagliari, per smuovere il governo. Il corteo, capeggiato dai minatori, andò ingrossandosi mentre attraversava i paesi, molti manifestavano solidarietà, altri si univano alla marcia, talora anche per brevi percorsi. Le popolazioni davano ai minatori assistenza e generi di conforto. A Cagliari, molti di noi studenti universitari di Carbonia e del Sulcis, raggiungemmo chi il padre minatore o il genitore di un amico o un’amica o il vicino di casa.
Fu questa risposta forte, decisa e compatta che indusse Andreotti ad assumere l’impegno di convincere l’Enel ad accettare la rivendicazione dei minatori, e il 14 aprile il consiglio d’amministrazione dell’Enel deliberò per l’assorbimento totale delle miniere del bacino. La sera in Piazza Roma a Carbonia ci fu una grande manifestazione spontanea e dal municipio parlarono i leader sindacali e politici. La Piazza è immensa, ma fu riempita fin nelle strade laterali, come avveniva nei comizi di Palmiro Togliatti o in quelli rimasti memorabili di Pietro Nenni e di Sandro Pertini.
Le miniere furono assorbite, ma non salvate. Il lento declino era inarrestabile e i bacini sono stati chiusi, ma la marcia su Cagliari del 1965 così come lo sciopero di 72 giorni del 1948, sono rimasti mitici, almeno per la nostra generazione. Oggi se ne è persa memoria. Ecco perché è utile che Sandro Mantega, col taglio del giornalista, rievochi quella marcia e quel clima, sentendo i protagonisti ancora in vita. Lo fa con un bel libro “Senza sole né stelle“ e con un film. Mantega poi, con efficacia, intorno alla marcia e ai suoi protagonisti, ricostruisce il duro lavoro della miniera, la estrema pericolosità di operare a meno 400. E ancora, storie nella storia, le vicende veramente drammatiche dei protagonisti, ex servi pastori, orfani in famiglie numerose, al lavoro da bambini, e in miniera sotto i vent’anni. Una storia sociale avvincente, di cui non si deve perdere memoria, anche per non dimenticare su quali spalle ha poggiato la ripresa democratica dell’Italia. In continuità con le presentazioni di Carbonia, Gonnesa eCagliari, ad ini<iativa dall’Ass. culturale le Sorgenti, se ne parlerà sabato 21 ottobre alle 18 al Centro sociale di Nuxis, alla presenza di uno dei protagonisti della Marcia, Albino Ollargiu, che lì è nato oltre 90 anni or sono.
2 commenti
1 Marcella
21 Ottobre 2017 - 08:20
La ringrazio per aver rievocato quei fatti li ha raccontati con estrema chiarezza.Io ho vissuto quei giorni avevo solo 9 anni e li ricordo proprio così.
2 Oggi sabato 21 ottobre 2017 | Aladin Pensiero
21 Ottobre 2017 - 09:43
[…] La lunga marcia che salvò Carbonia 21 Ottobre 2017 Andrea Pubusa su Democraziaoggi. […]
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