In Sardegna c’è chi spreca anche la bellezza

5 Settembre 2017
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Andrea Pubusa

 

 

Quando si rientra dalle ferie ognuno fa sempre un consuntivo. Cosa ci ha colpito di più durante le vacanze? E le impressioni possono essere le più varie. Non so a voi, ma a me quest’anno ha colpito in generale l’aumento della maleducazione e dell’arroganza, del teppismo; nel piccolo, ho riflettuto sul modo differente di taluni comuni e delle rispettive comunità di rapportarsi al fenomeno turistico. Anche perché - come dicono gli economisti, primo fra tutti il nostro Gianfranco Sabattini - venuta meno la grande industria - ormai lo sviluppo dev’essere prevalentemente fondato sulle risorse locali, sull’iniziativa intelligente di comuni e popolazioni. Ecco allora il punto. Luoghi baciati dalla natura come Chia (Domus de Maria) o come P. Pino (S. Anna Arresi) hanno un ritorno visibilmente diverso dall’afflusso di turisti rispetto ad altri, magari con spiagge meno rinomate. E’ il caso di Pula, che trent’anni fa era un paesino di poche pretese, con qualche bar più simile alle bettole che ai locali eleganti delle città, le vie con le vecchie case paesane senza abbellimenti, i negozi dismessi e per la clientela locale, che, per le cose più importanti, puntava su Cagliari. Ricordo bene che, quando mi recavo a Pula in Pretura, o, da consigliere regionale, per riunioni di partito, questa era la situazione, anche se la sezione comunista era molto vivace e attiva. E ora? Ora Pula è un piacevole centro turistico, come Villasimius. Piste ciclabili verso la spiaggia, bei bar, grandi pizzerie e ristoranti, negozi eleganti, un bell’artigianto sardo in esposizione, strade centrali chiuse al traffico, iniziative culturali e di svago, che vanno ben oltre il rinomato cartellone del Teatro romano di Nora. Eppure molta della gente che la sera trovate a Pula la mattina è al mare a Chia o ha casa lì  o a S. Margherita. Perché non va a Domus de Maria? Perchè questo paese in nulla è cambiato da quando era un piccolo centro isolato. Stessi bar, stessi negozietti di vicinato, poche iniziative, se non le sagre, tutte uguali, tutti gli anni, dalla pecora alla vitella, al porchetto. Una palla! Is callonis! File enormi per mangiare i soliti malloreddus alla campidanese, con un pezzetto di formaggio e un bicchiere di vino. E gli altri giorni? Nulla di nulla. A Domus de Maria non c’è neppure un passeggio. Lo svago è al Chia Laguna, dove però vige l’extraterritorialità e tutto ciò che connsumi ingrassa la finanziaria titolare del villaggio turistico. Stesso discorso, spostandoci di una trentina di km. per S. Anna Arresi. Molta affluenza di turisti a P. Pino, zero o quasi a S. Anna, dove lo svago c’è solo i primi di settembre per gli amanti del Jazz nell’appuntamento sotto il nuraghe. Ed anche questo sempre più disertato dal pubblico sulcitano e sardo per la piega molto specialistica che ha assunto. Pochi intimi, addetti ai lavori, poco popolo di cultura musicale ordinaria, come la mia. Oramai chi si vuol divertire lo scansa.
Chi sta a P. Pino la sera non sa che fare. Un mortorio, con iniziative perfino irritanti per il basso profilo, come il karaoke o simili.
Riflettendo sul fenomeno, mi è venuto da pensare che i pulesi, da un lato, e i mariesi e gli arresini, dall’altro, discendono da tribù nuragiche diverse, cantoni distinti. I primi chiusi e privi d’iniziativa, gli altri, forse per le influenze cagliaritane, più attivi e coraggiosi.
Questo fenomeno è riscontrabile anche da altre parti in Sardegna, dove forse la diversa discendenza, presenta, in paesi contermini, popolazioni d’indole diversa nel bene e nel male.
Sia ben chiaro la sagra popolare non va disprezzata. Da che mondo è mondo sono sempre esistite: nel mondo greco e romano le dionisie e i baccanali, per tacere di tante altre. Il mondo contadino ne prevedeva più d’una nella pause imposte dai cicli agrari. Ma è evidente che le sagre attuali non ne sono neanche una copia sbiadita e spesso si svolgono con sciatteria e senza cura. Per questo in esse vien meno l’elemento culturale che dà loro senso, che le rende affascinanti: sono semplici mangiate a basso costo, tutte uguali, senza anima. Non basta, troppo poco per animare il popolo dei vacanzieri che vuole anche  e sopratutto cultura. Neanche un piccolo mattone nella costruzione di uno sviluppo autocentrato.
Morale della favola: ci sono tanti paesi in Sardegna baciati dalla natura, ma privi d’iniziativa. I loro giovani vanno a cercar fortuna altrove, mentre potrebbero star bene in bidda. Amen.

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